domenica 8 dicembre 2013

Scarecrown, Parte Terza

Scarecrown, Parte Terza

Rip their flesh
Burn their hearts
Stab them in the eyes
Rape their women as they cry
Kill their servants
Burn their homes
Till there's no blood left to spill
Hail and Kill
Power and dominion are taken by the will
By divine right hail and kill.”

    - Manowar

Roberto era una persona con problemi. Era ossessionato. In tutti i sensi. E da tante cose. Probabilmente era una persona instabile emotivamente e lui lo sapeva. Nessuno sapeva come passava le sue giornate né cosa faceva. Si faceva vedere solo alle prove e manifestava strani comportamenti, anche se non dannosi. Soffriva di incubi. Incubi terrificanti che lo facevano svegliare urlante nel cuore della notte e non gli permettevano un sonno ristoratore. Solo la luce solare poneva fine ai suoi tormenti. Per questo appariva emaciato e con grosse occhiaie. Ed era solo l'inizio... Era sempre schivato da tutti a causa del suo pessimo odore e dalla sua “brutta persona”. La tipica persona contro cui i genitori, quando sei piccolo, ti mettono in guardia. Magro come un chiodo e trasandato, ecco come si mostrava al mondo. Si era unito al gruppo avendo semplicemente letto l'annuncio sul giornale. Aveva detto che faceva per lui.

Nel suo sguardo trovavi sempre paura o quantomento inquietudine. Sembravava oppresso da tutti i mali del mondo. Amava definirsi come una persona che porta un masso sempre più grande ogni giorno che passa. E questo nelle pochissime volte che parlava. Si trovava a suo agio solo nella sala prove, come se quel postribolo schifoso e sporco fosse un rifugio sicuro o un utero (non materno) protettivo. Gli altri membri del gruppo pensavano che quando suonava appariva posseduto, come se fosse entrato in uno stato di trance estatica o qualcosa del genere, nessuno ne sapeva molto sull'argomento ma molti dicevano che sarebbe stato un argomento di un prossimo concept album. Roberto entrava nella sala e sembrava uno zombie, aveva la tachicardia e la faccia di uno che aveva schivato l'inferno, poi imbracciava il basso e diventava lo sciamano del nero acciaio urlante, uno sciamano muto e con la testa sempre china ma che trasmetteva energie da vendere.

Un giorno Roberto arrivò in sala portando dei fogli scritti. Raoul diede loro un'occhiata. Presentavano cancellature, sovrascritture, scarabocchi e, pareva, tracce di liquido rosso. Si capiva poco ma con un po' di sforzo le frasi prendevano forma. Raoul provò a leggere e sottopose il tutto agli altri. Poi, pochissimi minuti dopo, Roberto prese la parola e chiese a Raoul di cantarla solo con l'arrangiamento del basso, improvvisando e provando a dargli l'impronta che Roberto pensava fosse giusta. Prepararono l'equipaggiamento ma Raoul fermò tutto. Ebbe come un'intuizione e implorò Roberto di dare istruzioni a tutti riguardo le parti di ognuno.

<< La prima esecuzione non può essere sprecata così, proviamola tutti insieme. >> Ci riuscirono solo tre giorni dopo. Alle successive prove.

Roberto arrivò con la sua andatura da nonmorto come sempre e si preparò a suonare, come tutti. Raoul prese il microfono e si schiarì la voce. Si sentiva entusiasta e anche un po' preoccupato, era davvero ottimo materiale. E iniziò la performance.

**

Ne uscirono tutti esausti e cambiati. Il sudore imperlava la fronte di ognuno e la ragazza del chitarrista, presente come sempre, sembrò perdere i sensi. Tutti si sederono.

<< E' stato allucinante, ha un nome? >> Qualcuno chiese.

<< L'ho scritta senza pensare al titolo. >>

<< Di cosa parla? >>

<< Di me e di tutti voi. Di tutto. >>

<< La chiamiamo Scarecrown, come il nostro gruppo. Che ne dite? >> Tutti assentirono.

<< Perchè Markus è dentro di noi. >> Assentì Roberto.

E la discussione finì lì. Da quel momento Roberto divenne il principale fautore dei testi. In realtà, a differenza di molti gruppi in cui la stesura dei testi era solo di alcuni membri, tutti facevano qualcosa e partecipavano alla creazione. Quello fu l'unico caso in cui la canzone fu scritta da uno solo del gruppo. Sarebbe finita nel loro primo cd. Poi tutti si salutarono, rinfrancati dalla nuova esperienza catartica. Roberto se ne andò per ultimo come sempre. Era di nuovo ora di tornare nel suo inferno personale fatto di incubi, desideri repressi e altro. Uscì dalla sala, situata sotto un cinema abbandonato, e si avviò alla fermata del bus. Lo vide partire per andare via e non disse nulla, come se fosse abituato. Subito si diresse a casa immergendosi nella città oscura. Alberi, viali, case in cemento e una chiesa diroccata davanti a lui sembravano il suo benvenuto, il suo assaggio di dolore prima del dolore vero.

Blood and death are waiting like a raven in the sky
I was born to die
Hear me while I live
As I look into your eyes
None shall hear a lie
Power and dominion are taken by the will
By divine right hail and kill.”

- Manowar


Passavano poche macchine mentre camminava per il viale alberato. Grandi strade correvano alla sua sinistra, immergendosi in un orizzonte lontanissimo. Notte da lupi o da cani, pensava. Lui, nel suo chiodo, e il suo basso nella custodia, come un cavaliere errante (ovviamente senza destriero) e la sua spada. Provava a camminare fiero ma tremava per il freddo. Incrociava sempre senzatetto. Molti avevano cartelli o supplicavano. L'unico a cui diede soldi stava suonando un violino che pareva aver molti più anni del nonno di Roberto. Solidarietà fra musicisti? E continuava a camminare, la strada di casa era lontana e lui era quasi contento di aver perso il mezzo pubblico. E intanto ripensava a poco prima.

Mi chiamo Markus, canticchiava nella sua mente. Sono nato in un giorno di pioggia, strappato da un utero infernale a cui non voglio tornare e gettato in un mondo di violenza e dolore. Le auto passavano e cercava il rimbombo della batteria nei suoi passi, la luna lo guardava da dietro le nuvole deboli. Gli occhi gli prudevano. Fin dalla prima infanzia ho conosciuto solo sangue e mani sbucciate. Nasi rotti e stomaci brontolanti. Era un mondo di miseria in cui solo chi era più forte o più dotato o succhiava più cazzi riusciva a fare quello che voleva. Una lunga notte davanti a lui e il pensiero che le prove sarebbero state solo due giorni più avanti. Due giorni infiniti in una “prigione” oscura. L'aveva scelta lui? Non voleva ricordarlo.

Risse per il pane, ho cavato un occhio a otto anni e avevo gonfiato di botte una ragazzina a sei perchè mi aveva rubato le scarpe. Ho ucciso un cane per mangiarlo quando avevo nove anni e a dieci mi sentivo già pronto per impugnare una spada. Il trono del terrore. Faceva freddo nei suoi ricordi. Un freddo impercettibile che faceva venire lacrime ghiacciate agli occhi. Si sentiva poco a suo agio, dritto con la schiena e il petto in fuori, come se temesse di dover combattere con qualcuno. Voleva perdersi, ritrovarsi dall'altra parte del mondo. Era quasi arrivato a metà. 'Uccidete in nome del nostro dio e del vostro signore e tutte le porte vi saranno aperte. In questa selva oscura l'unica cosa che vi può salvare è l'acciaio. Il metallico stridio del grigi metallo sulla carne urlante. Siete soldati. E siete morti.' Il mio primo giorno di leva andò via così. Poi venne la guerra.

Una guerra come tante, combattuta da persone che non avevano ben chiari i motivi che li portavano a morire. Uccisi molte persone nella mia prima battaglia, molti erano vecchi. Dall'altra parte della strada una donna, forse una puttana, camminava e lo guardava con strani occhi. Scelgo quella con gli occhi verdi, la stordisco colpendola con l'impugnatura della spada, mi cade ai piedi gorgogliante. Godi puttana, sei la mia prima vergine. Nel suo delirio allucinato vide se stesso passare la strada e imbracciare il basso come un bastone. Vide se stesso colpire quella donna sul naso e violarla ancora incosciente. Questa è la mia vita ora. Forse mi piace. Poi si scosse, non era successo nulla. Lui era fermo, con un'erezione visibile e gli occhi allucinati. Forse no, ma è quella che ho scelto. Una vita per il trono del terrore.

Uccidere era bello, era l'unica cosa che mi distoglieva dal mio dolore. E tutti sanno che non c'è modo migliore per guarire dal proprio male che dare altro male ad un altro. Amava suonare Roberto, evadeva. Aveva fatto molti errori nella sua vita e non era mai stato contento della sua situazione. Guardava gli altri sempre con desiderio. Voleva lasciare la sua pelle come un serpente ed entrare negli altri. Morii in un giorno di pioggia e un saggio contadino usò il mio cadavere ancora in decomposizione, con tanto di armatura e spada come spaventapasseri. Poi di lì, in un giorno di pioggia, passò uno stregone ubriaco che decise di farmi rivivere come morto ambulante. Morire e ricominciare a vivere una vita nuova, magari migliore. Sicuramente diversa. Un altro masso e un'altra motivazione di vita.

Il mio nuovo utero non aveva nulla di infernale e io mi sentivo diverso. Ero composto di stracci e vestiti vecchi tenuti insieme dal solido acciaio della mia armatura, la spada arrugginita. Stracci di persone che avrei amato e che avrei voluto essere. Io come moltitudine, la mia personalità scomparsa. Solo il terrore era rimasto, ma era riservato agli altri. Ormai era arrivato, prese le chiavi e aprì il portone. Poi le scale. Le vie buie gli avevano fatto credere che un cambiamento fosse possibile, come ogni sera dopo le prove. Guardò il suo basso nella custodia con una lacrima. La spada nelle mie mani cercherà altro sangue e soprattutto quello del mio creatore. Perchè ho bisogno di uno scopo e questo mi sembra nobile. Il trono del terrore, ecco cosa è rimasto. Terrore e odio. Quell'odio che brucia le interiora.

Roberto voleva uccidere un sacco di persone ma non lo faceva. Si chiedeva spesso il perchè. Girò la chiave entrando in casa. L'inferno si apriva a lui e la sua testa non riusciva a non pensare che ad una cosa: Il mio nome è Markus... E piangeva.



Now I bring salvation, punishment and pain,

The Hammer of Hate is our Fate.

    - Manowar