venerdì 17 aprile 2020

A Qualsiasi Costo

Questo racconto è stato scritto per la "Gara Letteraria: Archivio del Manicomio", del "Creature Antiche Vivono Ancora"". GDR.

A Qualunque Costo

E' il 04 Giugno del 1952. Sono il dottor John Randall e ci troviamo all'Ospedale Psichiatrico "Santa Vipera degli Addolorati" di Nouvielle. Questa è la registrazione del trattamento, il numero 66, somministrato alla paziente Alexis Leppington e vale come un documento ufficiale.

J: Bene, possiamo iniziare.
A: Mi chiamo Alexis Leppington e... Dannazione, sarà la centesima volta che lo ripeto: a cosa serve?
J: Tutto ha uno scopo, Alex, anche se non riesci a vederlo. Ti prego di tornare in carreggiata.
A: Va bene... Dicevo, sono Alexis Leppington e sono quì perchè sono malata.
J: Puoi essere più specifica?
A: Ho visto un fantasma e, quindi, ho deciso fosse il caso di rinchiudermi in questo manicomio.
J: Non esagerare. E poi, ti correggo, "credi di aver visto un fantasma". Tu stessa ti sei resa conto del problema e sei corsa ai ripari. E' da ammirare.
A: Si, certo, come no. Del resto, mica lo ha visto lei. Se sono venuta quì è perchè... Oh, al diavolo. I miei problemi sono iniziati con... Si sentono sillabe senza senso e la voce sembra rompersi in un pianto.
J: Abbiamo tutto il tempo.
A: Josh. Tutto è iniziato con Josh. Io lo amavo, credo di amarlo ancora e sono sufficientemente sicura che non amerò mai nessun altro in questo modo. Anzi, forse non amerò nessuno e basta.
J: Come avete iniziato a frequentarvi?
A: Come tutte le persone normali: amici di amici. Era il solito tipo "strano", nonostante tutto. Musicista, appassionato di folklore di popoli lontani e, nemmeno a dirlo, di storie dell'orrore. Tuttavia, almeno i primi tempi, riusciva a tenersi per sè queste sue fissazioni.
J: Quando è cambiato qualcosa?
A: Qualche mese dopo. Con l'intimità, s'è sciolto. Era sempre triste, ansioso e nevrotico... Aveva bisogno di una spalla su cui piangere e di conforto. E, nonostante tutto, sapeva farlo anche lui, con me. Sebbene, spesso si finisse a fare a gara a chi stava peggio.
J: Continua a descriverlo.
A: Maledettamente sensibile, insicuro e instabile. Intelligente da dar fastidio. A letto un totale e inutile incapace, anche se era affettuoso come un bambino. Ogni tanto, però, tirava fuori...
J: Può bastare.
A: Aspetti. C'è dell'altro... Facevamo delle "cose" a letto, cose tra noi. Servirà per dopo. Dicevamo, aveva passioni strane e leggeva un sacco di libri. Se non suonava quella maledetta tromba, maldestramente, credo fosse un musicista mediocre, leggeva. Di tutto e di più. Fu una sera d'estate che mi raccontò di quella storia di fantasmi giapponese, quella del tizio che promette all'altro che si sarebbe fatto vivo la Notte di Capodanno, a qualunque costo. Mi rifiuto di raccontarla nuovamente.
J: Va bene. Le cose, però, sfuggirono di mano.
A: Le coppie litigano sempre e noi non facevamo eccezione, ma problemi seri, direi, non ne abbiamo mai avuti. Se non che, come si sa, morì qualche anno dopo. Una malattia mortale che aveva nascosto a tutti, anche a quella vipera di sua madre. Morì in pochi giorni, sparendo dalla mia vita velocemente come era apparso. Ovviamente... Non la presi bene.
J: Ci mancherebbe.
A: Iniziai a prendere medicine per dormire, frequentai chiese e strizzacervelli, spesso insieme. Ero sempre a farmi la stessa domanda: "perchè?". Come se saperla potesse darmi la pace. Avevo deciso che non meritavo tanta sofferenza e mi ritrovai a sognarlo, a chiedere agli Dei o a Satana, a chiunque, di riportarmelo indietro. Che avrei dato tutto... So che sembra strano, da come ne ho parlato, ma, come dire... Mi capiva. Io avevo bisogno di una persona amorevole. Iniziano a sentirsi sospiri di sigaretta. Forse, il mio, era solo egoismo.
J: Poi?
A: Poi avvenne il fattaccio. Suonarono alla porta ed era lui. Vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, ma con un cappello che gli copriva il viso. Ma SAPEVO che era lui, sebbene il suo odore sembrasse "strano". Provai a gridare, ma mi tappò la bocca con la mano, poi mi portò sul divano e...
J: Sembra un'aggressione sessuale, raccontata così.
A: Si, è vero. Ma era uno dei nostri... "giochi". Per questo, la cosa divenne ancora più incredibile ai miei occhi. Josh era morto, ma era indiscutibilmente lui quello con cui stavo giacendo. Quindi, che fare? In lacrime, mi lasciai andare e, poco dopo, mi svegliai nel mio letto.
J: Forse è stato un sogno. Sei tu che lo hai evocato.
A: Ma sentivo il suo contatto, la sua pelle fredda... Il suo respiro cadenzato, le sue manie... Era tutto lì. E, quel giorno, mi aveva stretto fortissimo i polsi. Al risveglio, me li ritrovai doloranti.
J: Autosuggestione, oppure ti sei adoperata da sola.
A: Indubbiamente. Ma successe altre volte. Così tante che credevo di essere impazzita. La voce sembra cambiare tono, diventando più stridula. Era lui, il mio Josh, eppure... Era così freddo, i suoi occhi così blu. Era un sogno: un sogno e un incubo insieme. Mi sentivo felice, ma impaurita... Cosa fare? Ma lo lasciai fare.
J: O, meglio, hai iniziato a darti da fare su te stessa.
A: Dopo chissà quante volte, glielo dissi: "Non posso continuare a stare con un morto! Dannazione, vattene!" L'avevo ormai compreso, stavo amando un morto vivente. Il dottore non riesce a reprimere un risolino. L'amore mi aveva reso cieca, ma, col tempo, persino un idiota l'avrebbe compreso. Lo mandai via.
J: E "lui"?
A: Mi rispose in un modo che non volevo. "Tu mi hai chiamato!" Aveva urlato, ricordandomi di quella stramaledetta fiaba. "Ci siamo scambiati amore eterno e io sto saldando la mia parte! Sono quello che vuoi, ma non basta più!" Diceva, col suo solito modo nervoso di parlare... Pare che, certe cose, nemmeno la morte le può cambiare.
J: Ti prego, finiscila di parlarne come se fosse successo davvero.
A: Lei era lì, dottore? Silenzio. Il suo pragmatismo è asfissiante. Ma, ad ogni modo, lo mandai via.
J: Ma "lui" continuò a farsi vedere.
A: Si, ovunque. Al supermercato, in Chiesa, a lavoro, nei miei sogni e sotto la mia finestra. Aveva iniziato a spiarmi, lo vedevo ovunque. Iniziai davvero a preoccuparmi, non potendo più dire a me stessa che me lo stavo inventando (perchè ci avevo provato!). Tornò il panico da fine del mondo, anche se per motivi diversi, e smisi nuovamente di dormire. Iniziò la tiritera di medici e medicine, prima di andare alla Stazione di Polizia.
J: Non andò bene, vero?
A: Evitiamo di parlarne... Sento ancora le risate. E non era cambiato niente. Urlava "Ti Amo" alle finestre, mi aggrediva mentre facevo la spesa, mi spiava in bagno... Alexis sembra aver iniziato a piangere, seppur sommessamente. Io lo amavo, capite? Lo amo ancora, ma... E' diverso. E' morto, diamine! Che se ne torni nella sua bara di merda! Singhiozzi.
J: Quì sei al sicuro, Alex. 
A: Come fai a svegliarti la mattina, vedendo il tuo amore morto davanti alla porta di casa? Come? A raccontarmi sempre quella maledetta storia di fantasmi, per tormentarmi! Urla di pianto. Maledizione! 
J: Poi cosa avvenne?
A: Non potendolo allontanare, me ne andai io. Venni quì, sperando di risolvere il maledetto problema. Quì evadere è difficile, per cui, ho pensato, raggiungermi era difficile. E per un pò, ebbi ragione. Venni ricoverata per le solite cause: isteria femminile, nevrosi e tutto il resto, ma mi andava bene. Non vedevo più Josh. 
J: Cosa è successo una settimana fa?
A: Ero nel mio letto, stavo prendendo sonno... E l'ho visto. Era un'ombra pallida, evanescente, ai piedi del mio letto. Con la sua solita espressione e il cappello in mano. Sembrava triste. Io avevo talmente tanta paura che mi paralizzai, mandandogli maledizioni dal silenzio della mia mente. Ma lui si avvicinò, fino a toccarmi. Il suo tocco sembrava quello dell'acqua ghiacciata del Nord. Mi disse: "Hai visto? Sono tornato, te l'avevo promesso! Come in quella storia!" Urlai, arrivarono gli infermieri e... E... Mi avete fritto il cervello. Friggete sempre il cervello di tutti. Ma, da come sto ora, deduco che il voltaggio fosse basso. Spero lo aumentiate, così sarò libera.
J: Ma, se muori, non ti ritroveresti nel suo stesso "regno"?
A: Come, scusi?
J: Dicevo, se morissi, poi con chi passerei il mio tempo? Silenzio, lungo un minuto. Alexis inizia a respirare pensatemente. E' successo ancora?
A: Certo. Sembra il ritmo di respiro di uno in preda al panico. Molte notti... Lo vedo nella mia stenza, pallido come uno spettro. Deve aver venduto il suo corpo al DIAVOLO così da poter superare le pareti come un fantasma. Come...
J: Come la storia, sì. Il samurai, imprigionato dai nemici, per evadere dalla prigione e superare tutti quei chilometri, si era tagliato il ventre. Da spirito aveva mantenuto fede alla promessa. Ammirevole.
A: Come ha detto? Ma si sta sentendo?
J: L'ora sta per terminare, si affretti.
A: E' tornato altre volte... Mi tocca con quelle sue mani CONGELATE, mi tocca ovunque. E' successo anche stanotte. Io... Mi aiuti!
J: Cosa potrei mai fare? Dovresti accettare il suo amore. 
A: Porca puttana, è impazzito! Eppure lei è il medico!
J: Il MIO amore! "A qualunque costo", come ti dissi! Eccomi!
Alexis urla, si sente rumore di colpi, tavoli che sbattono e grida soffocate. Poi, silenzio.

lunedì 17 febbraio 2020

La Ballata di Beta Ray Bill

Si tratta di una riscrittura del famoso esordio del personaggio Beta Ray Bill, scritto da Walter Simonson su "The Mighty Thor" negli anni '80.


Nella Zona Blu della Luna, Uatu osserva l'Universo. E vede molte cose, ricorda molte cose. Quest'oggi, l'Osservatore (così viene chiamato) ha rivolto i suoi occhi sulla Terra. Per il computo terrestre, siamo nell'Undicesimo Secolo.






Il Bardo Einar, chiamato a officiare il Banchetto in onore del suo nuovo Jarl, entrò nella Sala dell'Idromele. La sua barba era unita in una treccia, mentre aveva la testa quasi completamente calva, pur non sembrando eccessivamente vecchio. Forse i capelli gli erano caduti.
Aveva portato con sè solo una Lira e i propri vestiti. Iniziò a scaldarsi le dita sulle corde dello strumento, raccontando barzellette sconce e bevendo dal corno che gli era stato donato. Rideva.
Poi, all'improvviso, si fece mortalmente serio: era l'inizio di una grandiosa Saga.

"Il mondo che noi chiamiamo Midgard,
altro non è che una piccola barca
immersa in un mare di tenebra.
Questo è ben risaputo da Dei e sapienti."

Questo iniziò a cantare e, presto, parte dell'assemblea iniziò a fantasticare sui mondi aldilà delle stelle, o vicini ad esse. Alcuni si chiesero di cosa stesse parlando, ma nessuno osò parlare.
E, poi, iniziò la storia.



Alle soglie del Bifrost, Heimdall osservava. Il passato e il futuro, i mondi. Vide qualcosa e una strana espressione si fece largo sul suo volto. Si appuntò la visione nella mente, deciso a riferirla al momento opportuno.
Più tardi, quel giorno, Thor tornò dalla sua battuta di caccia, trascinandosi, con una corda, i trofei ottenuti: quattro o cinque teste colossali di Jotnar. Ti saluto, Heimdall. Disse, con aria truce. I miei saluti, Tonante. Se non ti è troppo disturbo, ho qualcosa da comunicarti. E gli riferì della visione.
Il Dio, scosso eppure felice, partì alla volta di Midgard. Egli mulinò il suo martello, il Mistico Mjolnir, e si ritrovò, in un lampo, su Midgard. Era in una delle sue città più grandi.


"Fra molti eoni, dovete sapere,
i mortali vivranno in grandi palazzi di vetro.
Chini su tavole,
senza mai deliziarsi con la guerra o la navigazione."

Così narrava Einar il Bardo.



Arrivato nella Grande Mela, Thor alzò gli occhi al cielo, senza vedere nulla. Eppure il Guardiano non poteva essersi sbagliato, motivo per cui partì verso la volta celeste, arrivando nello spazio aereo di Midgard. Lì, tra satelliti e detriti stellari, rimase in attesa e, pochi istanti dopo, vide l'immensa nave. Era davvero imponente, dotata di diversi cannoni. Il vascello più grande che il Tonante avesse mai visto.
Fermati! Disse a gran voce, eppure con un filo di incertezza. Non intaccherai la dolce Midgard! Il Tonante ti ordina di fermarti! Urlò. La sua voce potente venne udita da molti, persino sul pianeta vicino. Di certo anche dal pilota (o dai piloti) della nave. Ma non successe niente.
Thor, allora, si lanciò verso il mezzo, deciso ad artigliarne il rostro con le sue potenti mani. E così fu, il Dio fermò la nave da guerra e nulla poterono i suoi potenti razzi. DICOTI NO! Tuonò. Poi, con l'ausilio del possente maglio, il Tonante colpì il suo bersaglio con una scarica di fulmini. La nave parve arrestarsi. Dubbioso, il Dio si lanciò all'interno del carapace, sfondandone la fiancata a mani nude.


Cavi, tubi e schermi. Questo vide, ma andò avanti.
Il paesaggio tecnologico venne invaso da capsule trasparenti. In ognuna di esse, un essere vivente dormiente: erano in criogenesi. Non può essere... Disse Thor, trovandosi come in un sogno. Lui aveva già visto tutto questo.
Poi incontrò l'unica persona non dormiente della nave, il suo pilota. Un energumeno alto quasi quanto il Tonante, con uno strano muso deturpato come quello di un cavallo, eppure dotato di denti assassini. La sua armatura era un coacervo di cavi, acciaio ed elettricità. Tu! Urlò. Sei un demone come tutti gli altri! Assaggerai la mia ira! Disse e, a quelle parole, Thor capì che il loro era un rapporto "asimmetrico". Lui ricordava, ma l'altro no. E se ne rattristò. Fermati, guerriero! Lo supplicò. Ma non volle saperne e le loro mani si intrecciarono in una contesa di forza. Thor, conoscendo bene l'avversario, non lo sottovalutò nemmeno per un istante. Lo colpì col martello, mandandolo lungo disteso. Non c'è bisogno di combattere, ascoltami! Disse, ma l'altro era già in piedi. Bill! Continuò e, a sentire quel nome, l'altro ebbe un tentennamento. Come conosci il mio nome, demone? E ripartì la zuffa.

Thor venne colpito da un pugno che avrebbe polverizzato un carro armato, volando via. Il suo martello cadde vicino al suo avversario, eppure il Tonante non fece nulla per riprenderlo. Anzi, uno strano sorriso si aprì sul suo volto. Tutto combacia... Sussurrò a se stesso, mentre l'altro impugnava il suo maglio. E' una grande arma, la tua, demone! La prenderò in prestito! E fece forza, sollevando l'arma. Si dimostrò degno sin dal primo istante, come Thor sapeva già. E la metamorfosi iniziò in un lampo: luci investirono il corpo dell'essere, che venne ricoperto di un'armatura tale e quale a quella del Tonante.
Il Dio Alieno del Tuono! Il Possente Korbinita!
Quale mirabolante potenza! La mia gente sarà salva! Poi si rivolse a Thor. E tu sarai il primo! E si avventò sul Tonante. Lottarono per il possesso dell'arma, mentre il Figlio di Odino si rammaricava. Sperava che il Mjolnir avrebbe sbloccato "le memorie dormienti". E invece nulla. Padre, urlò! E' tuo figlio che ti parla! Punta il tuo sguardo su questa magnifica astronave e aiutami a dirimere questa inutile farsa! Lo sentirono fino ai confini dell'Universo. Passarono alcuni attimi, persi tra urla e muscoli. Poi, entrambi, sparirono.


"Lo straniero abituato era
alla bellezza e alla gloria.
Eppure, nulla poteva prepararlo
all'imponenza di Valaskjalf."

Alcuni avevano perso interessa in quella folle storia. Ma lo Jarl pareva interessato e ascoltava con un orecchio solo, l'altro dedicato ai sussurri di una vergine dai capelli biondi.



Erano nella Sala del Trono, tra i Dodici.
Tutti videro cosa stava accadendo: Thor e un misterioso alieno avvinghiati in una presa di lotta, come nel racconto della Vecchia Eili nel Castello di Utgard-Loki. Ora basta. Disse con calma Odino e Thor si fermò all'istante. L'altro provò a continuare la lotta, ma quel tono imperioso di voce aveva risvegliato in lui qualcosa. Senza contare l'ovvia autorevolezza del Padre di Tutti.
Siete tutti demoni! Disse l'alieno, sconvolto. Vi ucciderò tutti! Ma la mano di Odino, dolcemente, si era mossa e il martello finì nelle sue mani. Egli lo soppesò, soddisfatto. Bill del Pianeta Korbin, cessa questa guerra insensata. Non hai motivo di continuarla. Disse. Era successo nuovamente! Il guerriero si avventò sul regnante, al limite della sopportazione mentale e, ad un passo da Odino, si fermò, come pietrificato. Odino si alzò, lo sguardo di un padre affettuoso. Sei un grande guerriero, Bill. L'onore scorre potente in te. Sei, invero, il fratello di mio Figlio. Bill si inginocchiò, distrutto nel corpo e nello spirito. Qualcosa si era svegliato, ma ancora non bastava. Osservò l'unico occhio di Odino, cercando una risposta.

Tu e la tua gente avete abbandonato la vostra casa, insidiata dai demoni del fuoco. La tua nave, Skuttlebutt, è stata costruita per essere un'Arca della Salvezza. Sempre in viaggio, per tutto il cosmo, per cercare una nuova casa. Un destino davvero crudele. Bill piangeva in silenzio, la mano del Monocolo poggiata sulla sua spalla. Ma serviva un Guardiano. La parola finale suonò come una campana a morto. I più prestanti tra i maschi della tua gente vennero scelti per sostenere delle prove disumane. Più della metà di loro, morì. Durante la seconda prova, il numero diminuì ancora. E ancora e ancora. Al termine delle prove, rimase una mezza dozzina di candidati. Poi iniziò l'esame finale, il più atroce. Dottori, preti e ingegneri agirono sul vostro corpo. Distrussero la vostra anima e il vostro corpo, vi impiantarono nuovi organi, innesti contro natura. Sperimentaste ogni sfumatura concepibile del dolore. E infine... Odino si fermò. Cosa successe? Chiese. Bill non aveva la forza per parlare, così sussurrò solamente. Rimasi... solo... io... Solo in pochi, però, lo sentirono. Tu, il migliore dei Korbiniti, eppure superiore e diverso da loro, sei diventato il Custode della tua gente, ibernata nella grande Arca. Disse. E' per questo che hai potuto sollevare il Mistico Mjolnir. La tua sofferenza e la tua forza d'animo ti ha reso un pari di un Dio. Bill si mise in piedi, lentamente. Un Dio... Pensò a voce alta. Thor, invisibile e silente fino a quel momento, mise la sua mano sull'altra spalla del Korbinita. Padre e figlio stavano confortando lo stanco guerriero allo stesso modo. Chi sei, Bill? Chiese Thor. Sono Beta Ray Bill, il Difensore di Korbin... Iniziò a dire. Ma non solo. Disse Thor, sempre più affranto. Sono il pilota di Skuttlebutt... Mormorò. Il Tonante perse le speranze, ma Odino era di tutt'altra opinione.

Nella sala entrarono due nani. Essi erano i famosi Brokki ed Eitri. Uno di loro portava tra le mani un cofanetto di legno di frassino. A testa bassa, entrambi si avvicinarono al Re e si inginocchiarono, porgendo il misterioso regalo. Uno dei due, quello a mani vuote, parlò. Siamo riusciti nell'impresa, Padre di Tutti. Sentenziò. Abbiamo replicato la leggenda. Thor, allora, improvvisamente comprese e fece di tutto per non far trasparire il suo entusiasmo: come sempre, Odino sapeva tutto. Dopodichè, entrambi gli esseri, simili a bambini, si spostarono vicino al Trono di Odino. Quest'ultimo aprì la scatola, da cui scaturì una luce dorata accecante. Odino girò il contenitore, aperto, verso Bill ed egli ne vide il contenuto. La prima cosa che fece fu far cadere Mjolnir per terra. Si sentì, dunque, un gran tonfo. Lì dentro vi era "Lo Spezzatempeste", il martello dorato gemello di Mjolnir. Bill, caduto in estasi, quasi mosso da una volontà superiore, mise le mani sul martello e lo sollevò senza sforzo. Lo osservò per un lungo minuto, poi spalancò la bocca e guardò tutta l'assemblea. Chi sei, Bill? Chiese Odino. Thor si unì alla richiesta. Chi sei? Bill li guardò entrambi, poi spostò il martello sopra la sua testa con forza. Un tuono si sentì in lontananza. Sono Beta Ray Bill, possessore dello Spezzatempeste! Urlò al mondo, mentre un nuovo tuono si sentiva in lontananza. Ma più di tutti... Disse, girandosi verso Thor. ... Sono tuo fratello. Disse, porgendogli la mano. Thor, commosso, gliela strinse e, poco dopo, si abbracciarono. Poi l'alieno si girò verso Odino, abbassando il capo. Mi dispiace, Padre di Tutti. Io... Ancora non so bene cosa è successo. Disse. Non hai nulla da farti perdonare, figliolo. Hai tenuto fede alla tua promessa. Sentenziò. Quanto al resto, è una strana novità per tutti e la stiamo ancora studiando. Eppure molti, in quella stanza, non sapevano di cosa si stava parlando.


"I due fratelli, insieme sul Carro,
andarono verso i confini della Galassia.
Con loro vi era anche la sposa del Tonante
e tutti loro si ricoprirono di Gloria.

Combatterono i demoni di fuoco,
misero a soqquadro l'universo.
Eppure, tutto ciò era già avvenuto
in un altro tempo e luogo.

Era, tuttavia, solo l'inizio.
Il prode guerriero straniero,
Fratello di Sangue del Tonante,
divenne di casa ad Asgard.

Anche se, come sappiamo,
la sua casa è ancora lassù, tra le stelle."

Così il Bardo Einar terminò il suo racconto. E la sua lira si fermò. Gli astanti, sconvolti, gli chiesero come sapesse tutte queste cose, come le avesse inventate, come e quando erano accadute. Einar, sogghignando, riprese lo strumento.

"Fra molto tempo a partire da ora,
quando gli uomini perderanno la testa,
si consumerà la vicenda dei Fratelli del Tuono.
Come ho testè narrato."

"Che cosa dobbiamo imparare da questa storia?" Gli chiesero in molti.
La lira tornò a suonare.

"La gloria e l'onore, come sapete,
possono nascere ovunque e in chiunque.
Che vi sia d'aiuto, dunque, signore e signori,
a tirar fuori il meglio da voi stessi.

E, raddoppio, non cercate l'aiuto degli Dei,
ma scavate in voi stessi, come fece il prode Guerriero.
Perchè, come si sa,
gli Dei aiutano chi si aiuta da sè."

"Ancora, ancora!" Chiedono gli astanti, mentre lo Jarl, un pò indispettito, prende la parola. "Ci hai narrato di un essere proveniente da altri mondi che si dimostra pari del nostro Dio Thor. Non inviso alla Casa di Odino, ma, anzi, amato. Ebbene, io non credo ad una sola parola di quello che hai detto." Einar cercò di giustificarsi: raccontò di come sognò la vicenda in una sera d'inverno, di quanto gli fosse apparsa vivida. Ma, ciò, a nulla valse e venne cacciato a pedate.
Einar, trovatosi sotto la neve, di notte, sospirò, stringendosi nella pelliccia. Guardò il cielo, notando una luce. Era davvero la nave Skuttlebutt come immaginava? O, altrimenti, cosa poteva essere?
Dubbioso, si incamminò, deciso a non morire di freddo.

Nessuno lo vide mai più.







Uatu, al contrario dello Jarl, trovò la storia molto interessante e, volgendo lo sguardo ad Asgard, lo incrociò con quello di Heimdall, dotato di una vista simile alla sua. L'Osservatore si chiese se potesse essere davvero possibile una storia simile.

Secoli dopo, quando effettivamente avvenne, Uatu ne rimase davvero felice. L'ennesima stranezza di quel pianeta azzurro. Pensò, ormai abituato "a certe cose".