giovedì 31 gennaio 2019

Canzone degli Uomini del Nord

Canzone degli Uomini del Nord


"Salpiamo
verso lidi remoti,
adempiendo ai voti
l'onde baciamo.

Salpiamo
con l'animo afflitto,
le Norne l'han scritto,
alla pugn'andiamo.

Salpiamo
verso guerra e dolore,
a sangue e valore,
nulla temiamo.

Salpiamo.
Nel muro di scudi,
Monocolo, non ci deludi.
L'acciaio, noi abbracciamo.

Salpiamo
nella sala del Padre di Tutti
al bere, cantare, ai rutti.
Il Tonante, noi ringraziamo.

Salpiamo
verso la morte,
oltre alle porte.
Alle mogli, pensiamo.

Salpiamo.
Ti dico addio,
oh amore mio.
Coi ricordi nel cuore, cadiamo.

mercoledì 23 gennaio 2019

Il Lungo Sonno, Parte 2

Il Lungo Sonno, Parte 2


Il Possente, quindi, tornò nella Sala del Trono, raccogliendo il suo elmo alato, simbolo della sua persona al pari del Mjolnir, il mistico maglio di Uru. E nel farlo, rifletteva. Chi poteva essere? Quale forza mitica e atavica era riuscito a scuoterlo dal suo esilio mentale? Era tutto molto soffuso: anche a lui stesso era difficile comprendere le ragioni profonde che lo avevano portato a "dormire". Semplicemente, un giorno aveva deciso che era abbastanza. Vero è che, a suo dire, non è mai stato adatto al comando, se non altro a quello della più grande delle Città. Il suo cuore non aveva remore e dubbi, Balder avrebbe regnato bene, esattamente come successo finora. Thor, però, era sempre stato la Divinità eletta per i cuori umili, per i deboli e il volgo comune e, come tale, avrebbe riposto le suddette al di sopra di ogni cosa, persino al di sopra di Asgard. Il Figlio di Odino mise mano al maglio e si sentì subito meglio.

Il Principe di Asgard aveva vissuto indefiniti anni, probabilmente era morto e risorto più volte e aveva visto moltissime cose. Aveva perforato il confine dei signo ed era tornato indietro, aveva camminato sul sole e combattuto le più grandi abominazioni anche solo pensabili. Ed era sempre tornato, senza mai soccombere. Mettere mano alla sua arma d'elezione, anche dopo millenni, eoni, era sempre come la prima volta: era come se una scarica di fuoco vivo, di energia, fluisse dentro di lui in un attimo. Si sentiva completo, come non era possibile altrimenti. Ricordava, nelle sue peregrinazioni oniriche, anche di una realtà in cui aveva perso un braccio, sostituito da uno artificiale, fatto di Uru. Pensò subito che potesse essere solo un'assurdità: gli Dei non erano mortali, non potevano essere feriti in maniera così blanda. Fu sul punto di andare, quando pensò alla sua Signora, Lady Sif. Forse era il caso di salutarla. Si diresse perciò nei suoi appartamenti e bussò con la gentilezza di un bambino. Nessuna risposta.

- Mia Signora...

Entrò, aprendo la porta. La stanza era deserta, l'armatura non al suo posto. La sua Signora era evidentemente in missione, chissà dove. Potrebbe andare a cercarla... In tutti i Nove Regni non ci sarebbe stato posto in cui lei potesse essere nascosta alla sua presenza, volente o nolente. Sarebbe una bellissima impresa, probabilmente degna dei canti dei migliori scaldi di tutti i Reami. Ma non poteva, nemmeno l'amore, se anche lo fosse stato, era superiore ai suoi obblighi. Il Dio del Tuono, tuttavia, non vedeva tutto ciò come una costrizione, ma una benedizione. Lui aveva uno scopo, ed era contento di conoscerlo praticamente da sempre. Lui era benedetto da un obiettivo, in un universo in cui la vita sembrava scorrere per inerzia. E così decise. Mosse leggermente la sua arma, aprendo un portale. Vi entrò e deboli folate di vento cosmico fecero cadere uno dei vestiti della Bella Sif, dai capelli corvini. Il Tonante scomparve, come se non fosse mai esistito. Subito dopo, una donna entrò nella stanza. Il suo pianto addolorato e pieno di colpa, si disse, aveva scosso le fondamenta del Palazzo degli AEsir.

Altrove, molto lontano da lì, in mezzo a delle rovine diroccate e a scheletri di autovetture e palazzi, apparve una figura imponente.

La polvere galleggiante e il vento non sembravano toccarlo. Il suo mantello rosso scarlatto era al di sopra della debole terra di Midgard e nemmeno svolazzava per il vento. Era lì, ma allo stesso tempo no. Il grido di aiuto che aveva sentito lo aveva legittimato a spogliarsi dei panni dell umiltà, per indossare quelli dell'autorevolezza. In quel momento era più vicino ad un padrone che ad un amico. E quale effetto potevano fare semplici effetti climatici e sporcizia al più grande Signore degli Elementi? E brillava di luce divina, in quel posto ombroso. Il sole sembrava coperto da nubi arancioni e ovunque c'era solo desolazione. La sua amata Midgard sembrava una latrina. Questo lo addolorò, ma non cambiò espressione. Si lasciò guidare dall'istinto, come un cane che segue il fiuto. Avrebbe trovato la fonte della preghiera, avrebbe giurato non sarebbe stata molto lontana. Chi aveva causato quella sciagura? Perchè non vedeva nessuno? Chi aveva potuto spegnere le luci di quella mirabolante città? Sembrava uno di quei pianeti discarica che tante volte aveva visto nei suoi viaggi.

Davanti a lui, però, ecco apparire due luci rosse: inbdubbiamente degli occhi. Ma appartenevano a qualcosa di non umano. Non appena il Tonante si avvicinò, lentamente, notò dei colori familiari. Giallo e rosso. Il Dio non aveva perso la memoria, per nulla. A causa di questo si ritrovò subito a pensare alla cosa più ovvia. Ma, nel tempo di questi pensierei, la figura imponente si fece vedere, in tutta la sua grandezza. A Thor ricordò vagamente il distruttore, anche se un pò più grezzo, essendo privo della magia mistica della sua terra e, anche, delle forme gentili forgiate dagli Dei. Sembrava in tutto e per tutto un'armatura del suo amico Tony, solo mille volte più grande. L'istinto, inoltre, stava suggerendo al Tonante che la luminescenza minacciosa degli occhi non fosse una cosa positiva. Ancora in dubbio sulla faccenda, allungò una mano, come a voler parlare. Ma la macchina, in un attimo, forse percependolo tramite sensori, emise un singulto. In seguito una salva di missili partì dall'esoscheletro, colpendo ogni centimetro del corpo del Dio, in un attimo. La figura divina si ricoprì dei fumi dell'esplosione, mentre l'automa lanciava una nuova arma. Un raggio luminoso, rosso, scaturì dal suo petto, diretto verso il Figlio di Odino. L'esplosione che ne scaturì fece crollare degli alberi lì vicino e ridusse le macerie antistanti a polvere.

Probabilmente una tale scarica di danni, così repentina, avrebbe potuto sopraffare il più forte dei mortali o il mostro più spaventoso. Qualcuno avrebbe potuto dire che sarebbero stati in grado di ferire persino esseri superiori... Ma in quel momento, e soprattutto contro quell'avversario, l'esito fu differente. Dal fumo della battaglia, si stagliò di nuovo la sagoma del Dio del Tuono, senza nessun danno, nemmeno il suo mantello si era sgualcito. Come poteva essere altrimenti? Come poteva una banale macchina anche solo "pensare" di lasciare il minimo segno sull'Araldo del Fulmine? Ma il Dio non perse tempo e scomparve. Il suo volo a velocità inumana lo portò nel ventro della bestia, perforata da un possente colpo del suo maglio mistico. Una volta all'interno, a colpi di martello, si fece strada nel corpo della creatura, in apprensione, dato che aveva paura ci fosse un mortale dentro. Ma non trovò niente e ormai, a causa del suo attacco interno, il nemico era ridotto in pezzi. Non riusciva a capire, ora più che mai era roso dal dubbio. Su un pezzo di lamiera, vi erano scritte le lettere "DemiGod-Killer MK". Il nome del modello era mutilato, probabilmente il resto del codice alfanumerico era in giro per la zona, forse in più parti. Ma l'Asgardiano non notò le parole, perso in voli pindarici della mente.

E mentre rifletteva, cercando una soluzione, una nuova minaccia apparve all'orizzonte: una schiera di altri droni, tutti uguali a quello appena distrutto. Camminavano uniti, come un esercito, con lo stesso ritmo e passo. E, sopra di loro, figure umane volanti. Non solo... Anche ai fianchi e davanti ai robot vi erano piccole figure umane: ne sembravano i comandanti.
Fu allore che Thor comprese almeno una cosa, dell'intera faccenda: gli Eroi di Midgard gli stavano dando il benvenuto.
Con le armi.

mercoledì 16 gennaio 2019

Il Lungo Sonno, Parte 1

Il Lungo Sonno, Parte 1


Una figura è seduta su uno scranno d'Oro. Una figura imponente. Una lunga massa di capelli biondi è riversata sul suo viso, in ombra; muscoli così possenti da poter sollevare tutti gli Universi. Mantello rosso scarlatto, con bordi in pelle d'ermellino, a rimarcare la sua regalità; un elmo dotato di ali è appoggiato sul suo grembo. Sul petto sei borchie che sembrano illuminate dal flebile lucore della stanza. La sua testa giace appoggiata sul dorso della sua mano destra, chiusa a pugno. Un piedistallo, alla sua sinistra, sostiene un oggetto, un martello. Il suo manico è più corto di come dovrebbe e alcune scritte, minuscole, paiono lampeggiare a secondi alterni. Piccole scariche blu sembrano ricoprire quest'arma, "la migliore dei Nove Regni" direbbe qualcuno.
Ma a ben vedere, la figura sullo scranno e l'arma paiono condividere "qualcosa", come se fossero fatti dello stesso materiale, o fossero una cosa sola.
La figura, nella solitudine della stanza, Sogna.


Lo hanno chiamato con molti nomi.

Þórr, Donar, Þūnor, Þór, Tórur, Tor, Tonger, Ásaþórr, Vingthor. Il Figlio di Odino, l'Amico degli Uomini, l'Uccisore di Giganti, il Più Forte di Asgard, il Possente, il Difensore della Città Dorata, il Martellatore. Il Dio dei Fulmini, del Lampo. Il Dio del Tuono.

Thor.

Un Nome che è una Leggenda. Un immortale, la cui vita non è nemmeno paragonabile a quella dei delicati Uomini, da Lui difesi. Un Guerriero Nato. Un Condottiero di Eserciti, la cui Collera può essere Grande. E impietosa.
Ora è in contemplazione. Nella sua mente, un caleidoscopio di Vite, vicende, avvenimenti, avversari, rinunce, amori e rancori. Forse non tutto appartiene a Lui stesso, dato che persino Lui è un sasso in una distesa di sabbia infinita, seppure unico. In quel momento, tuttavia, sembra in grado di trascendere i (pochi) limiti dati persino agli Dei.
In quel momento, Thor vede il Grande Disegno.

Vede un sè stesso "giovane" (possono, quindi, anche gli Dei essere giovani?) sulla prua di una nave-drago, a incitare dei guerrieri vestiti di pelli e cuoio, armati di asce, spade e scudi rotondi. Vede se stesso combattere contro divinità di altri popoli.
Vede sè stesso combattere giganti, fatti di fuoco e di ghiaccio, ed elfi dalla pelle scura.
Insieme ad amici mortali combatte minacce cosmiche, Titani dalla pelle viola e Serpenti del Mondo. Ma la sua storia va oltre.
Più in là, nel futuro diremmo (quale futuro?), qualcuno avrebbe fondato una Chiesa in suo onore, avrebbe ripopolato una Midgard senza vita e avrebbe persino scoperto di poter sentire, sebbene rare volte, il gusto amaro della sconfitta.
Una visione molto più sfocata della altre lo ritraeva come un Dio vendicatore, armato di ascia, che passava in rassegna il cosmo alla ricerca della propria Vendetta.
Osservò altri "se stesso", con forme e storie diverse. Perchè un Dio del Tuono c'era sempre.
Molti uomini scrivevano di lui, o hanno scritto, o scriveranno.
Ebbe anche un fugace lampo di una storia poco credibile: il suo posto preso da una donna dai capelli biondi, che liberava la sua Terra dal pericolo.

No, decise. Non tutte potevano essere vere. Alcune erano illusioni, parti della sua mente.
Poi, di colpo, aprì gli occhi.


Due zaffiri apparvero al di sotto della massa dorata. Lineamenti duri si mossero impercettibilmente e il Figlio di Odino ruppe la stasi. Sembrava nella Sala del Trono di Asgard, dove, credeva di ricordare, voleva riposarsi per un momento. Eppure sembravano passati mille anni, o pochi secondi. Fuori era notte e la fortezza sembrava deserta, ma così non poteva essere. Il leggero torpore dell'uomo venne ancora una volta scosso da qualcosa, apparentemente la stessa "cosa" che lo aveva fatto svegliare. Sembrava un richiamo, una voce nel buio. Non riusciva a capire cos'era, però. Continuava a volare via.
Thor si alzò e, senza prendere il suo martello, si diresse per i corridoi, salendo scale e aprendo porte. Trovò il Prode Balder, chino su quello che sembrava un messaggio vergato su pergamena.

- Fratello mio... Disse il Possente.
- Mio Lord Thor, finalmente vi siete svegliato. Rispose
- Cos'è successo? Io... Non terminò la frase.
- Tante cose, mio sire. Ma, se bene ho inteso la vostra domanda e la vostra espressione, credo di non potervi dare una spiegazione soddisfacente.
- Balder, soccorrimi, credo di impazzire... Era una vera richiesta d'aiuto, la sua.
- Farò quel che potrò: in realtà, pensavamo che voi poteste darci una mano a capire cosa vi succedeva. Un giorno, molto tempo fa, avete detto di aver bisogno di una pausa e vi siete diretto verso la Sala del Trono. Pensavamo... Pausa.
- Continua.
- Pensavamo fosse qualcosa di simile al Sonno di Odino... Non sapevamo davvero cosa fare, perciò nessuno è venuto a disturbarvi. Anche i saggi che abbiamo consultato hanno dato il medesimo responso: quello di attendere.
- Attendere? Saggi? Balder... Dov'è mio Padre?
- Non ricordate proprio niente?
- Fratello, io ricordo troppo.

Balder, il Prode, si prese del tempo per pensare, cercando al contempo di mascherare il suo disappunto. Thor non gliel'aveva ordinato, eppure nell'aria sentiva una certa pesantezza: il suo signore desiderava risposte, subito.

- Dal momento che credete di essere preda di amnesia, ecco tutto quanto. Vostro padre, il Padre di Tutti Odino, un giorno di molti anni fa è partito, in esilio volontario. Non ha mai spiegato con accuratezza per quale motivo lo voleva fare, anche se continuava a dire che era per "acquisire saggezza". Cos'altro potrà mai imparare l'Onnipotente Odino? Ma Thor gli fece segno di continuare.
Se ne è andato, lasciando il comando a Voi, che avete regnato con saggezza e giustizia per diverso tempo. Questo, finchè non avete deciso di "riposarvi".
Il discorso lo toccava dentro, Balder lo aveva convinto.
Ma permettetemi di chiedere: cosa è successo? Era davvero il Sonno di Odino? Possedete, quindi, anche la sua Forza? Il Padre di Tutti è forse... Ma venne interrotto.
- Caro Balder, non sono diverso da quando mi sono assopito. Non so niente di Odino nè altro. Sono, nè più nè meno, lo stesso che ero prima di eclissarmi. Forse avevo davvero bisogno di una pausa, credo di vedere le cose con maggiore chiarezza. Un pensiero l'aveva attraversato, di colpo: ora sapeva. Dimmi, fratello, come vanno le cose qui?
- Non così male: i Vanir sembrano più calmi del solito e persino i Giganti sembrano presi da altro. Ora che ci penso, pare tutto troppo calmo.
- Sono sicuro che sei un monarca migliore di me, Prode Balder. Continua il tuo lavoro, io devo andare a Midgard.
- A Midgard, mio signore? Perchè mai?
- Balder, dov'è il mio fratellastro?
- Non ne abbiamo notizia da diverso tempo, non sappiamo dove sia. Ma, rispondete...
- Una preghiera. Rispose Thor, solenne.
- Una preghiera? Ripetè.
- Si, una preghiera. Forse la più forte che abbia mai sentito. Una preghiera collettiva, fortissima, che è stata capace di scuotermi dal torpore che ho volontariamente abbracciato.
- Da Midgard...
- Esatto, Prode Balder! Una richiesta dal Reame di Mezzo.
- E quindi tornerete lì...
- E' così. Thor torna sempre a Midgard!

martedì 1 gennaio 2019

Il Vampiro che Tossiva

Il Vampiro che Tossiva


"Si aggirava per casa,
nella magione,
la sua prigione, 
mentre l'Astro volgeva all'ingiù.

Si aggirava per casa,
nero vestito, cupo cipiglio,
di vestaglia ghermito, dentro il giaciglio,
le stanze fredde, e il suo cuore di più.

Si aggirava per casa,
guardiano di niente, pellegrino inerte,
annebbiata la mente, nelle stanze deserte.

Si aggirava per casa,
e tossiva, tossiva.
Le finestre, dentro una stiva.

Tossiva, tossiva.
Ricordava com'era
la sua anima viva."