giovedì 9 giugno 2016

Fantasmi

Fantasmi


"Perchè lo fai?"
"Io... Non lo so... Non so nemmeno se sono io che comando, o..."



In quella notte di luna piena la sua sagoma si stagliava forte e facile da distinguere. Lei vide il corvo poco prima di esplodere, mentre lo sovrastava dall'alto, la mano guantata di lei premuta sulla bocca di lui, che in tutto questo pareva ridacchiare a occhi chiusi. Poi lei parve avere delle strane fitte e quasi si accascio in debito d'aria. Lui se ne accorse e l'abbracciò. Poco dopo anche la sua serata si colorò di stelle variopinte e fugaci. E rimasero abbracciati tutto il tempo, a guardarsi e a sussurrarsi cose carine. Lei pareva più tranquilla e felice del solito, lui un pò meno, ma non era una novità. C'era sempre qualche spettro dietro i suoi occhi e cominciava a spuntargli qualche capello bianco.

Erano al limitare di una foresta, una delle tante, per lui erano tutte uguali: alberi, erba, animaletti, inciampare, starnuti. Nient'altro. Lei era più bendisposta, si fermava a parlare con animali, cercava e raccoglieva piante e fiori. Sembrava una bambina. Lui amava guardarla mentre lo faceva, sentiva quasi un pizzicore agli occhi ogni volta. E si teneva la pancia, pronto a vomitare da un momento all'altro, ma non succedeva mai: come stare appesi ad un filo sull'abisso, ma sapendo che il filo è indistruttibile... Nonostante ciò non ti fidi e hai paura di cadere. Solo la vicinanza di lei, o almeno lui credeva così, riusciva a distoglierlo dalle sue cose.

Aveva un bellissimo sorriso, i capelli rossicci erano cresciuti un pò e, mano a mano che passava il tempo, lui la trovava più bella (o almeno così credeva). Quel giorno si era pure messa un bel rossetto carnoso, a lui piaceva. La guardava intensamente scacciando i mostri che gli assediavano il cervello, quasi che avendola davanti lei potesse distruggere con una delle sue magie i suoi problemi. Si ritrovò ad abbracciarla mordicchiandole i capelli e lei si mise a ridere come un piccolo bebè infagottato. Vestitisi, decisero di rimettersi in cammino. Lei cominciò a parlargli del corvo che aveva visto e lui si fece pensieroso. Poco lui disse quello di cui avevano paura entrambi.

"Probabilmente è un messaggio per qualcuno che sta in quella città... Ci aspettano, probabilmente."
"Pare l'unico centro abitato dei dintorni e ovviamente noi non abbiamo provviste o altro..."

Lui si controllò le piastre dell'armatura e il cinturone con la spada: era un pò scomodo portare una spada così lunga alla cintura (e spesso strisciava per terra), tenerla sulla schiena avrebbe reso difficile sfoderarla velocemente in caso di attacco. Aveva fatto le prove e nove volte su dieci la lama rimaneva nel fodero per metà nonostante lui stendesse il braccio al massimo. Teneva la mano sinistra sull'impugnatura per controbilanciare il peso della lama. Lei invece saltellava col suo bastone che all'occorrenza fungeva da torcia, il suo mantello non nascondeva benissimo le sue forme, forse a causa del caldo.

Nonostante tutto la città appariva ben lontana da loro, probabilmente ci sarebbero arrivati l'indomani, ma potevano ancora camminare. Poco dopo incontrarono una figura incappucciata camminare con una certa fretta in città, le si avvicinarono istintivamente e questa si girò. Alesja la riconobbe subito, era una delle sue amiche e colleghe della Congrega, una vita fa. Lui si mise ad origliare, non volendo rovinare il momento fra le due e non essendo nemmeno troppo interessato. Parlarono di cosa era successo nel frattempo, di quanto tempo fosse passato, di ricordi vari. Tante risate. Poco dopo la nuova arrivata si interessò a lui.

"Ma quello è il tipo per cui lasciasti la C- mmpf!"
"Lascialo stare, in questo momento è un pò scorbutico, dimmi ancora di te!"

Alesja le aveva tappato la bocca con una mano, tenendola ferma per mezzo minuto, fra risa soffocate e lo sguardo improvvisamente interessato di Otiv. Il piacevole calore scacciò per un attimo le sue elucubrazioni, poi le due continuarono a parlare. Dieci minuti dopo la nuova arrivata scomparve senza che lui se ne accorgesse. Lei gli si avvicinò toccandolo gentilmente e sussurrandogli delle cose all'orecchio, cose un pò strane, sia per lei che per lui. Continuarono a camminare e poco dopo decisero di accamparsi in una casetta fatiscente trovata nel bel mezzo del nulla.

"Non mi ha detto perchè anche lei ha lasciato, almeno apparentemente, la Congrega. Ha farfugliato scuse stupide ogni volta che gliel'ho chiesto. Diceva di avere fretta." Aveva detto Alesja poco prima.
"Ma come ho fatto a non vederla sparire? La strada è tutta dritta e non credo che avesse altro obiettivo che la città vicina."
"Lei era bravetta in questo, infiltrazioni, furtività e raccolta di informazioni. All'occorrenza svanisce alla vista. L'unica cosa che mi parve autentica era la sua fretta!"



"O cosa?"
"O qualcun altro."



L'indomani si svegliarono di buon mattino, nulla di nuovo sotto il sole: lui un pò spento e lei felice come un coniglietto. Si diressero subito alle porte della città. Videro le guardie al cancello, armate di alabarde ed elmi a punta. Lui le raccomandò di far parlare lui e di non usare la magia, dato il rischio e il fatto che probabilmente li aspettavano. Camminando Otiv digrignava i denti, preso dai suoi pensieri non purissimi e lei se ne accorse tirandogli una gomitata sul fianco, lui rise. Mentalmente sperò che quel periodo di pensiero instabile finisse velocemente, ma più ci pensava più quello gli si avvinghiava addosso. Il solito circolo vizioso.

Fermati dalle guardie lui tirò fuori delle monete e le condì con una bugia. Le guardie mangiarono tutto facilmente e la coppia entrò in città. Scoprirono praticamente subito che si chiamava Odil-Oraznatac, lei rise al nome. Per rilassarsi si misero a camminare osservando le vetrine, i cappucci ben calati in testa. E continuarono così per un bel pò, poi si fermarono a bere qualcosa. Infine notarono una cosa strana: in quella che pareva essere la piazza cittadina si stava formando un assembramento di persone. Capirono di cosa si trattava vedendo il patibolo. Si sa che le persone sono attirate dall'orrido, nonostante tutto e loro non facevano eccezione. 

Il caldo si faceva soffocante mentre loro, schiacciati dalla calca, osservavano in silenzio degli uomini con delle maschere nere portare sul palco una figura in catene, Alesja riconobbe quasi subito i suoi capelli castani e si strinse a lui sgranando gli occhi. Otiv riconobbe la ragazza del giorno prima e tutto, per un attimo, gli parve irreale e stupido. ciononostane misero la testa sbavante della condannata, vestita solo di stracci, sul ceppo, preparando le spade. Alesja cominciò a battere i denti mormorando qualcosa, combattuta. poi si staccò da lui dirigendosi in prima fila, per osservare bene o forse per provare a fermare tutto, lui la afferrò per le spalle.

"No." Sussurrò.

Lei fu sul punto di protestare e liberarsi, ma lui l'abbracciò da dietro, le disse qualcosa all'orecchio, lei scosse la testa, poi l'abbassò. Rimase lì, imprigionata dal suo uomo, impotente. Intanto qualcuno si mise a leggere i capi d'accusa, Otiv sentì le parole "tradimento" e "fuga", poi notò che il bastone di lei cominciava a lampeggiare, segno che nella maga si stava risvegliando qualcosa. Le tappò la bocca con fermezza stringendola ancora di più a se. subito sentì una mano guantata di lei combattere contro la morsa che le impediva di muovere le labbra, poi le lacrime di lei sulla sua mano. La baciò sul collo, sulle spalle, delicatamente. Poi, appena vide la spada alzarsi le girò la testa di botto, guardandola così negli occhi. Lei li aveva rossi e gonfi. Le liberò le labbra e andarono via, senza preoccuparsi troppo di niente.

Non si mossero dalla locanda, tranne che per mangiare e dormire, tutto il giorno. Non parlarono, ogni tanto si stringevano, era come se fosse finito qualcosa per lei. Come se avesse visto coi suoi occhi cosa le toccava se falliva. In realtà sapeva già, ma tra sapere e vedere c'è sempre tanta differenza. mangiarono poco e quella notte lei tenne illuminato il suo bastone, nonostante il caldo. Non volevano stare al buio.
L'indomani iniziò una strana catena di eventi.



"Chi?"
"Non lo so: un altro me forse. Un piccolo bombarolo che vuole far saltare le mie fondamenta."



Per prima cosa, camminando, notarono una figura apparire e svanire al limite del loro campo visivo, poi la stessa apparire vicino i vicoli, la videro svoltare. Succedeva sempre quando, probabilmente, potevano vederla solo loro due. Lui ricordava bene i talenti della maga morta e ovviamente ne parlò con lei, che rispose di non sapere nulla e di non avere voglia di parlarne. Inconsciamente seguirono quelle tracce tutto il giorno, veniva loro naturale. Come stare in una bosco e trovare delle frecce disegnate sugli alberi, chi non le seguirebbe... Lui non aveva il coraggio di dirle che probabilmente inseguivano solo fantasmi della loro mente e lei non voleva credere che la sua amica fosse morta. E continuavano.

Arrivarono davanti un edificio imponente, senza insegna o nome. La porta era aperta... E ovviamente entrarono.

Dentro sentirono come di essere arrivati in un'altra dimensione o realtà (anche se lui avrebbe giurato di sentirsi così da quando il viaggio era iniziato). Nemmeno si girarono, tanto sapevano che la porta si sarebbe chiusa sola. Davanti a loro si ergeva una maestosa scalinata che andava in alto, ai lati vasi di fiori e colonne malmesse. La sala era tutta circolare (nonostante da fuori l'edificio paresse squadrato), ma a parte la scala non vi era nient'altro. E iniziarono a salirla sapendo che qualcuno li stava instradando. La scala a metà si divideva in due bracci, uno che andava a destra e l'altro a sinistra. Istintivamente Alesja andò in quello mancino, Otiv scelse l'altro. 

Si reincontrarono al piano di sopra e procedettero tenendosi per mano, il cristallo sul bastone di lei luccicava come un piccolo sole. Davanti a loro un pavimento a scacchiera che si allungava in avanti per parecchi metri. La maga mise un piede su una mattonella bianca, lui non si mosse; poi, muovendosi solo su quelle bianche, arrivò davanti ad una porta. Gli disse di camminare solo sulle nere, ma lui parve non capire. Provò a chiedere spiegazioni, ma lo sguardo di lei non ammetteva repliche, cominciò a battere i piedi per terra con impazienza, gonfiando le sue guance. Lui eseguì e presto si trovò vicino a lei, che gli indicò le scale da cui erano venuti.

"Guardi ma non osservi, tanto per cambiare." Disse. La rampa che lei aveva scelto aveva il corrimano bianco, viceversa il suo lo aveva nero. 
"Me ne ero accorto!" Mentì. Lei non rise.

Davanti a loro stendeva un corridoio lunghissimo e illuminato da candele messe ai lati. Lei sussurrò qualcosa indicando, di volta in volta, delle candele più o meno vicine. Ogni volta che ne indicava una, quella tremolava leggermente . Lui la guardò interrogativo, poi sfoderò la spada. La maga disse tre, una lacrima le scivolò dall'occhio. Due, prese il bastone con entrambe le mani. Lui impugnò la spada con due mani, si girò di fianco ponendo la spalla sinistra in avanti, la punta della lama sfiorava terra, inspirò. UNO. Alesja urlò, aggrottando le sopracciglia e sollevando il bastone davanti a lei con entrambe le mani.

"LUX FERO!" Dalla gemma del bastone scaturì un'onda luminosa che rischiarò il corridoio nella sua interezza, rivelando un'ombra nera davanti a lei, gli artigli metallici che grondavano veleno. Lui strinse gli occhi e non perse tempo: l'armatura a piastre cigolò mentre la spada tagliava letteralmente in due l'ombra, in un istante. Intestini e sangue caldo inondarono il pavimento. La figura ebbe solo il tempo di dire "la mia padrona vi..." prima di morire. Non ebbero nemmeno la voglia di controllare il viso per bene, sapevano chi era. Ma almeno questa volta era morta per davvero.
Lei si incupì, ma continuarono mano nella mano.

"Da chi stiamo andando?" Chiese lui.
"Ayivlis, una maga molto temuta. Ogni tanto si faceva vedere all'accademia, sceglieva qualche apprendista e scompariva."
"Cosa insegnava loro? E perchè sei sicura sia lei?"
"La risposta alle tue domande è la medesima: magia mentale. Illusioni, psicocinesi, viaggi astrali. Se si può pensare, lei lo sa fare. Ci andrai a nozze."
Lui deglutì a fatica, era di nuovo in balia della sua testa. Ma probabilmente non aveva mai smesso.

Una porta davanti a loro. C'era sempre un'altra porta, dopo. Lei spinse i battenti, si trovarono in una stanza spoglia. Al centro di essa un qualcosa simile ad un altare (o un tavolo) di marmo. Finestre chiuse e coperte dalle tende su ogni lato. Otiv, senza pensarci fece un passo, non vide Alesja sgranare gli occhi, nè si accorse di quando lei lo colpì con la spalla per spostarlo. Ma così facendo lei mise il piede nella trappola che probabilmente era destinata a lui. Lui si girò barcollando verso di lei, dopo aver sentito un rumore assordante. Lei era immobile in una posizione innaturale, quella che aveva assunto mettendo il piede sulla mattonella sbagliata, poteva muovere solo gli occhi, lui sfoderò la spada guardandosi intorno.

"Devo sbrigarmi o lei si libererà!" Disse una voce, Otiv non capì da dove. "Ecco quì la mia fuggiasca, quella che consideravo una figlia, in compagnia del suo cavaliere che, da quanto posso capire, è parecchio tormentato. O semplicemente un complessato in depressione. ora vedremo! Figliolo, ti consiglio di non muovere il tuo bel coltello o la tua amichetta farà una brutta fine!" 

Detto ciò si materializzò dietro di lei una figura anziana e rugosa, ma che lasciava intendere una bellezza cancellata dall'età. Dal vestito largo prese un oggetto, una striscia nera (sembrava cuoio) che terminava in una cinghia. Nell'esatta metà della cinghia vi era attaccata, da un lato, una palla di uno strano cristallo rossastro. Dall'altro lato la striscia presentava la lettera S incisa. Otiv capì al volo, era la S di Silentium. La vecchia inserì la pallina rossastra nella bocca di Alesja, pressando la striscia sulla sua faccia, quindi chiuse le cinghie dietro la sua testa strettamente. 

"Claustrum!" mormorò poco dopo, serrando la cinghia con la magia. Poi prese un coltello e lo puntò alla gola di Alesja, che, mugolando, aveva fatto cadere il bastone e teneva le mani guantate su quelle della vecchia, in un tentativo disperato di difesa.

"Momento spiegone, facciamola breve, ho voglia di farvi male. Parlo principalmente a te, burattino di ferro. Questo giocattolo serve all'accademia per punire le allieve che esagerano a usare la lingua, che sia per usare la magia o semplicemente perchè sono rumorose. L'ho chiuso con una formula magica, perciò credo tu sappia che l'unico modo per aprirlo è usare un'altra formula. Non sai nulla di magia, lo leggo nella tua bella testa caotica, e lei, come vedi, non può dire alcunchè. Perciò non fare cazzate e fammi divertire! Noi vecchi siamo capricciosi."

Otiv rilassò la posizione e aspettò altre parole, non sapendo cosa fare.

"Ora dico a te. signorinella. Ho una voglia matta di farti soffrire. La congrega mi ha offerto non sai quanti dindini per riportarti a casa, ma ho detto loro che lo avrei fatto gratis se mi permettevano di torturarti e ucciderti con le mie mani. E indovina un pò? Hanno acconsentito! Potrei farti a pezzi e mangiarti o infilarti nella farfallina ogni genere di schifezza dotata di denti, ma il destino mi ha aiutato portando quì questo bel bambolotto addolorato. perciò sai cosa voglio fare, vero?" Alesja sgranò gli occhi cercando di protestare, con scarsi risultati. "Tu ora te ne stai buona a guardare il tuo amorino diventare matto e probabilmente morire, poi toccherà a te." 

Poi la vecchia puntò il suo dito nodoso su Otiv dicendo "Iter Stellae!". Lui sentì un'improvvisa debolezza alle gambe. Cominciò ad accasciarsi a terra, partendo dalle ginocchia. Poco prima di chiudere gli occhi notò Alesja muovere gli occhi a destra e a sinistra, sgranandoli e mugolando. Con gli occhi gli indicò il suo bastone pulsante. Con quest'immagine stampata a fuoco nella mente, Otiv perse i sensi. La vecchia allontanò il coltello e si allontanò dalla giovane. Quest'ultima mise mano al gingillo, alle cinghie, ma sapeva che non poteva fare niente, perciò si avvicinò a Otiv, chinandosi e sfiorandolo col naso, il suo respiro caldo. Sentì gli occhi farsi lucidi. Poi Ayivlis la chiamò indicandole quella specie di altare.

Alesja si alzò senza aver nemmeno la forza di arrabbiarsi, asciugandosi gli occhi coi guanti, si avvicinò al tavolo sfiorandolo. Sopra di esso si era materializzato un paesaggio innevato in miniatura, pieno di omini, gallerie e altri portenti. Come conferma ai suoi pensieri, uno di quegli omini era Otiv. E si guardava intorno. "Goditelo nella tua impotenza..." Disse la vecchia con gli occhi spiritati di eccitazione. Occhi che esprimevano l'estasi dell'unico potere vero e possibile, quello di fare del male agli altri.



"Uccidilo!"
"Certo... Ma... Come si uccide un fantasma?"



Otiv si trovava in un sentiero scavato in mezzo a montagne altissime, nevicava ma non aveva freddo. Dal suo sentiero si dipanava un numero possibilmente indefinito e/o infinito di strade e corridoi angusti. E caverne. Ed era pieno di alberi. All'orizzonte davanti a lui vedeva un sole dal colore indefinito, pulsante e fermo, come la stella polare. Sfoderò la spada e iniziò a camminare completamente a caso, facendosi guidare solo dall'istinto, dato che non sapeva niente: nè dove si trovava, nè perchè. Ovviamente non sapeva cosa doveva fare. Era perso nei meandri di un labirinto. Non sapeva come ci era arrivato, era un neonato buttato a capofitto nella vita. Seguì una strada a caso, uccise dei mostri che gli vennero incontro: orchi che che si sputacchiavano i piedi.

Arrivò ad una caverna: dentro vi erano delle donne seminude legate in vari modi, la bocca chiusa da bavagli dalle forme più strane, i loro occhi espressivi. Lui sentì la virilità. Fu sul punto di entrare, forse in un universo alternativo o chissà dove sarebbe entrato, ma il suo sguardo andò a quel sole ed esso gli diede sicurezza. A destra la caverna, a sinistra il sole; la scelta era difficile. Facendosi quasi violenza, scelse il sole. Per un tempo indefinito uccise altri esseri: orecchie a punta, persone con gli occhi a mandorla, donne bellissime, uomini che conosceva, tutti svanivano come aria al tocco della sua spada. Il loro sangue era fatto di etere, In un'altra caverna vide un uomo.

Era lui. Si teneva la pancia e tirava pugni al muro, lo sfondo sfocato fatto di figure filiformi grigiastre, anche lui era grigio. Ma scelse il sole. Si ritrovò davanti un'altra caverna: un uomo, forse di nuovo lui, con un foglio di carta in mano, un attestato forse. La carriera che gli sarebbe spettata se fosse rimasto a casa, senza seguire lei. Una vita dettata da scelte diverse. Una vita forse allettante. Uccise altri esseri che nemmeno vide, aveva gli occhi stanchi e le gambe arrancavano. Nella prossima vide un'altra donna: il viso lo ricordava appena, era appena abbozzato. 

Si vedevano capelli e occhi, ma era intermittente, inafferrabile. Quel viso ultimamente faceva capolino nella sua mente, apparentemente a caso, e lui ogni volta lo scacciava. Ma quello tornava. E lo scacciava, si faceva più o meno forte, lo feriva. Lui ci combatteva ma ogni volta perdeva. Sapeva di doverlo ignorare ma non sapeva come, anche se ogni tanto riusciva. Come faceva con tutti gli spettri delle altre caverne. Sapeva cosa fare ma non sapeva come. La sua vita pendeva da una parte, puoi forse sconfiggere la gravità? Si chiedeva in quel mondo da sogno. Poi, altrove, vide una donna saggia parlargli, vide lui in guerra, a lavorare.

Vide un uomo con lo sguardo spento farfugliare qualcosa, poi un uomo poco più grande di lui vivere in una bella casa lontano da li. Vide vecchi amici, amiche, posti e storie. Anche quella sicuramente era solo una storia creata da qualcun altro, lo sapeva. Un sadico. Vide molte altre cose, rimaneva all'entrata delle caverne per poco o tanto tempo, non sapeva. E ogni volta sceglieva il sole. O almeno così credeva, dato che non sapeva niente. Tutta la vita non sapeva niente. Forse solo che seguire il sole era una cosa buona. Poi le caverne parvero finire o non le vedeva comunque più e arrivò al sole tanto vicino da quasi toccarlo. Era attaccato ad una cosa lunga, girandosi vide una donna coi capelli rossi, la bocca tappata da una striscia nera con una lettera sopra. Poi una vecchia.

Ma rimase sul sole. E capì tutto all'improvviso, o lo aveva sempre saputo. Il sole del bastone di Alesja, pulsante, mai spento per chissà quale ragione. E decise di averne abbastanza. Perciò si svegliò, o così credeva. Era tutto così ovattato. Alesja aveva gli occhi sgranati, probabilmente non credeva a quello che aveva visto. La vecchia peggio di lei, probabilmente nessuno era mai uscito da quel labirinto fatto di fantasmi. Lui sfoderò la spada e si avvicinò alla vecchia. Si dissero qualcosa, la vecchia urlò una parola: si aprì una serratura, cadde qualcosa a terra. Alesja si massaggiava la faccia e le guance, gli occhi lanciavano fuoco. Poi un urlo, sangue e una cosa rossa pulsante cadde a terra. La vecchia sanguinava dalla bocca mutilata.

"E' tua disse." Poi andò a vomitare poco più in là. Aveva vinto? Aveva perso? Che era successo? Non lo sapeva. Ma per qualche motivo guardando lei si sentiva bene. E voleva sentirsi sempre così bene. O almeno credeva. 
Non si girò mai, ma sapeva che la sua compagna si stava sfogando. Urla, ululati e odio pervasero la stanza, condirono il suo vomito di paura. Una paura strana, ma ora voleva smettere di pensare. E quasi ci riuscì.



"Non credo si possano uccidere. credo si possano ignorare. Ma non so farlo."
"Ti aiuterò, permettimi di farlo."
"Si... Scusa per tutto."
"Smettila di scusarti o te le suono."
"Credo di amarti."
"Lo so."



La battaglia non era finita, era rimandata in eterno. Ma lui voleva credere che lei lo avrebbe salvato, come ogni volta.

Dedicato a Lilith