martedì 30 ottobre 2012

Scarecrown, Parte Prima

Scarecrown, Parte Prima

Non c'è nulla che avvicini le persone più in fretta di una triste e malinconica comprensione.“

    - Milan Kundera



Ho deciso. Ci chiameremo Scarecrown.”

Dissero tutti che il nome era davvero fico.



**



Tutto partì da Raoul. Un ragazzo di circa vent'anni che era incazzato circa quattordici ore al giorno (le altre dieci dormiva). Ma era un'incazzatura strana perchè non trapelava. Con altri era sorridente, disponibile, acido solo quando serviva. Raramente divertente, dato che non aveva la capacità di far ridere. Aveva però una spiccata ironia e soprattutto autoironia. Forse l'incazzatura derivava proprio dalla scarsa autostima. Viveva in uno stato di perenne agitazione e fermento. Non era felice, ma questo non è strano: la felicità è come la salute, la devi mantenere, non conquistare. E lui viveva questa situazione da solo. Non voleva parlarne con nessuno, voleva viverla appieno senza chiedere ausilio a nessuno convinto, forse, che l'avrebbe reso più forte. Ma in realtà non ci credeva nemmeno lui. Una combinazione di timidezza, celata misantropia o odio per la debolezza (soprattutto la propria) lo costringeva dietro le proprie mura interiori. Un po' se la vantava. “Il lupo solitario.”

Inutile dire che il suo successo con le donne era pari allo zero. Era anche abbastanza brutto (nonostante il nome da figo). Denti un po' prominenti, naso storto, capelli senza una forma precisa. M lui se ne fregava, chiuso nel proprio cervello. Il suo passatempo preferito era la fuga dalla realtà. In bus o in auto la sua mente volava via. Si sfogava così. Non aveva altro modo, almeno finchè non si avvicinò al metallo. Il suo rapporto con la musica era difficile da delineare fino a quel momento. Alle elementari aveva provato più di una (senza risultato) volta a imparare a suonare il pianoforte, sotto pressione dei genitori. Alle medie niente. Alle superiori conobbe Davide e con lui i Sabbath. E tutto cambiò lentamente. In tutti e cinque gli anni delle superiori ascoltò molti cd, scaricò tonnellate di album e cercando di ascoltarli tutti e memorizzarli. Il matrimonio avvenne col death. Il suono gutturale e rabbioso del growl lo faceva sentire vivo.

Lui si immedesimava nel cantante, si sfogava insieme a lui. Gridava al mondo la sua situazione, si liberava. Stava interi minuti a crogiolarsi in un assolo allucinante o nel vomito di imprecazioni e odio del cantante, riuscendo per la prima volta a non pensare, a lasciarsi travolgere da quella spirale di negatività ed energia che veniva fuori dal computer. Più di una volta aveva discusso con gli amici di questa sua attitudine. Gli chiedevano perchè ascoltava quegli assatanati e perchè era così felice di farlo.

<< Tu cosa cerchi nella musica? >> Aveva risposto una volta Raoul.

<< Boh, un cazzo. Ritmo, orecchiabilità, testi, >> Disse un'amica.

<< Io cerco rabbia. Cerco incazzatura. Cerco odio. Mi piace sentire il suono di una chitarra distorta che fa un assolo allucinante, voglio sentire un uomo urlare come un cane idrofobo. E' tutta energia e ne ho bisogno. Ho bisogno di rabbia perchè forse non ne provo abbastanza. O chissà cos'altro. Quando ascolto il resto provo solo il nulla infinito. Non avverto sentimenti, non avverto un cazzo. >>

La discussione era terminata lì. E spesso il dialogo si ripeteva con qualche parola diversa, con qualche incazzatura di più o con qualcuno che sfotteva un altro. Di solito, dopo una discussione simile, andava da Davide a discutere. Era diventato qualcosa di molto simile al suo migliore amico. Anche lui l'aveva preso in simpatia ma era molto preso dalla sua ragazza, quindi si vedevano poco. Nonostante ciò rimaneva il suo pusher di musica e Raoul ne era contento. Una volta scoprì pure che Davide suonava la chitarra e quello fu il momento in cui per la prima volta gli balenò in testa l'idea di creare una band. Aveva sempre carezzato l'idea di sgolarsi davanti ad una folla di pogatori. Di essere lui il protagonista. Di vomitare personalmente la rabbia, invece di usare quella di un altro. Non lo disse subito. Voleva aspettare e ponderare bene la cosa, non doveva esagerare. Aveva abbastanza problemi e non voleva crearne altri.

Hate isn't Enough” fu il primo passo. Era un semplice festival musicale che, per la prima volta, avveniva nel suo paese. Lui lo prese come un segno del destino. Nondimeno, l'entrata era gratuita. Si trattava di tre band che suonavano a intervalli regolari. Due delle tre erano del posto, entrambe cover band. Una non male l'altra appena sufficiente. Ma lo spettacolo ci fu con la terza. Come da tradizione, la band finale era il pezzo forte, il momento di spannung. Il pogo diventava serio, qualcuno si faceva male per davvero. La folla si accalcava, come tanti animali al macello. Alla prima canzone dei Bloodfeast, si buttò nel pogo per la prima volta. E provò sulla sua pelle il dolore di cadere per terra, la gratitudine maschia di quello che ti tirava su. Botte da tutte le parti, come una trottola. La luce soffusa. Era solo l'inizio. La canzone iniziava con un intro di chitarra elettrica accompagnata da una batteria costante e modulata, non troppo aggressiva. A Raoul venne in mente la lezione che aveva tenuto quella mattina stessa: i ritmi ossessivi fanno entrare il sensitivo in un mondo ALTRO”.

Lui non era sensitivo, questo era sicuro ma qualcosa cominciò a cambiare. Il suo cuore cominciò a battere allo stesso ritmo della batteria, l'adrenalina cominciò a salire, il suo cervello fu scosso da immagini tremende. Come se tutto quell'imane concerto fosse un rito da setta. Loro erano l'assemblea, i tipi sul palco gli officianti. Come uno di quei racconti fantasy che aveva letto. C'era tutto un rituale. Spesso prevedeva sacrifici umani. Poi gli officianti cantavano, suonavano, facevano qualcosa e spalancavano le porte per il loro dio venuto dall'altra dimensione. Qualcuno la chiamerebbe setta satanica o cos'altro. Raoul percepiva il tutto come qualcosa di sacro. Cominciò a sudare. La chitarra e batteria erano gli strumenti del maleficio... Poi apparve il basso. Apparve lentamente, di sottofondo, senza essere prepotente come la cugina a sei corde ma si sentiva. Era necessario. La batteria cambiò ritmo, la chitarra divenne più distorta e il demone spalancò le fauci. Raoul sussultò urlando di gioia e si rituffò nel pogo madido di energia negativa. Si sentiva bene.

Dire che il growl del cantante era aggressivo sarebbe stato riduttivo. Era molto di più, ma bastava guardarlo in faccia. Le sopracciglia formavano una V perfetta come se fosse sempre stato così. I suoi capelli ondeggianti sembravano tentacoli. Furono cinque minuti e quaranta secondi di puro delirio. Ed era solo la prima canzone. Raoul ascoltò tutto come se fosse un condannato a morte, deciso a strappare ogni singolo pezzo di quello che aveva ascoltato per farlo SUO. Perchè ne aveva bisogno. La sua insoddisfazione lo portava a quello. Non poteva farne a meno, era come un dolce veleno, una droga misteriosa. Tutto il rito durò diverso tempo e lui ne uscì radicalmente cambiato sotto molti aspetti.

Giorni dopo ne parlò con Davide. Condividevano le stesse cose, erano entrambi uomini con qualche problema da urlare. E tutti sappiamo che non c'è niente di più bello di urlare al mondo i tuoi problemi. Non si tratta di parlarne, ma di urlarli proprio. Sbatterli al prossimo come vomito e corroderli per sempre. Alessia, la ragazza di Davide, era con loro. Ascoltava in silenzio. Lei era una strana persona... Passava molto più tempo con uomini rispetto a persone del suo sesso perchè non mi va di parlare di vestiti”, diceva lei. Molto più uomo di molti maschi, molto meno donna di tante ragazze. La compagnia ideale per un gruppo di disadattati. E aveva l'abitudine decisamente gradevole di parlare solo al momento opportuno, come se non volesse sprecare parole. Non sapeva molto di lei e né tantomeno di lui. Ma sembravano fatti l'una per l'altra. Non parlavano mai insieme ma erano in totale simbiosi.

Tu suoni la chitarra vero?”

Solo nel tempo libero.”

Che roba fai?”

Bon un po' di tutto. Quello che mi va. Youtube mi offre tutto il necessario. Dio lo benedica.” Davide era completamente ateo.

Ah... Sai dove posso imparare il growl?”

Prova a cercare nella mia risposta precedente.” Lo disse senza cambiare espressione. Raoul non si abituava mai allo strano modo di comunicare di Davide. Aveva un chè di comico, ma non ti veniva mai da ridere.

Capisco. Hai mai pensato di suonare seriamente?”

Sì, ma non so se ne sarei capace.” Si erano capiti perfettamente.

Io devo cominciare da zero. Dimmi se ti va... Io vorrei proprio.”

Anche io...” Alessia strinse la sua mano forte, senza parlare.

Vado a preparare l'annuncio.”

Le persone simili, per loro intrinseca natura, parlano poco perchè fra loro c'è davvero poco da dire.



**



L'appuntamento avvenne al Danish Pub circa una settimana dopo. C'erano tutti e quattro, anzi cinque. Ma la quinta era muta. Quello che si era presentato come batterista si chiamava Alessandro, era una persona con tanta rabbia dentro (del resto come tutti), ma la sua la potevi toccare con mano. Era primo dan di Kyokushin e lo vedevi in prima fila in qualche rissa. Aveva il classico sguardo assonnato da serial killer. Mentre parlava sfregava le mani, piene di calli. Rideva e diventava serio con una facilità impressionante. Un brutto ceffo. Il bassista, o presunto tale, si chiamava Roberto. Tutto quello che serve sapere su di lui era che sembrava una persona depressa e che fumava come una ciminiera. La loro conversazione durò pochi minuti. Tutti espressero lo stesso pensiero di aspettare poiché non tutti sentivano pronti. Raoul per primo che doveva imparare a cantare in quel modo animalesco.

Appuntamento fra un anno da oggi. Inizieremo davvero.” Disse Raoul.

Come vi chiamerete?” Chiese Alessia. Era da tanto che non la sentivano dire qualcosa. Raoul ci pensò su un minuto e rispose. Tutti erano d'accordo.

Le persone simili parlavano poco perchè si capivano l'un l'altro.

Quella sera Raoul cominciò il suo viaggio aprendo Youtube.

lunedì 22 ottobre 2012

Tags

Ho inserito i fottuti tags, qualcuno me li aveva chiesti, eccoli quà. Spero vadano bene. Ancora nulla di nuovl, mi spiace. Se cerchi i racconti, scorri in basso lungo la pagina.

venerdì 12 ottobre 2012

Se sei quì per la prima volta...

Vi consiglio di cominciare a leggerle dall'ultima (quella più in basso). Va bene qualsiasi commento, anche insulti. Ho finito le storie, per ora. Se vuoi leggerne altre dovrai pregare il tuo dio (se ne hai uno) di farmi avre l'ispirazione di scrivere qualcosa. Ho un pò di roba in cantiere, bisogna che ci sia tempo e, appunto, ispirazione.

sabato 29 settembre 2012

Bellezza

Bellezza

Colonna Sonora: Come Clarity & Dead EndIn Flames (2006)



Il cataclisma aveva cambiato tutto, nel bene e nel male. Quei coglioni che ne avevano parlato avevano ragione, dopotutto. Quasi nessuno se lo aspettava, fu uno schock tremendo. Di quelli peggiori poi. La gente pensava che fossero tutte balle e per la prima settimana fu davvero così, poi arrivarono le prime morti. Corpi dilaniati, smembrati, sangue dappertutto, peli per terra, paura e panico. I più ottimisti parlarono di un serial killer: la tesi ha retto fino ad un certo punto... Le succesive morti, che avvennero in tutto il pianeta, con lo stesso “modus operandi, distrussero quella teoria. C'era un problema serio, a livello globale. Altro panico. Poi uno scienziato, pazzo per alcuni, si accorse di qualcosa: il cielo era cambiato. Quasi nessuno se ne era accorso, erano tutti occupati a guardare davanti per alzare lo sguardo, quella era roba da poeti e nell'anno 2102 nessuno “sano di mente” lo faceva.

C'erano nuove costellazioni, alcuni pianeti sembravano più vicini, l'atmosfera era diventata irreale. Lo sguardo si concentrò sul cielo per poco. Poi tornò alle morti. Quello era il vero problema. Il nodo gordiano era rappresentato dai peli, presenti in ogni delitto. Di colore nerastro (a volte grigio), lunghi, spesso curvi, emanavano uno strano odore, come di sporco. Ma non lo sporco delle ragazzine impomatate, lo sporco vero. Un aroma nauseabondo e penetrante, che parlava di morte. Fioccarono le prime teorie su alieni pelosi e la tv si riempì di minchiate (come se prima non ne fosse già piena). La risposta arrivò da un famoso sito internet di video. Un ragazzino era riuscito a riprendere direttamente un omicidio. Una ragazza tra i 20 e i 25, squartata da uno strano essere nero e peloso che sembrava ululare. Quel ragazzino era riuscito a riprendere perchè, in un momento di poca lucidità, s'era messo a smanettare con la telecamera che portava sempre appresso e aveva filmato l'omicidio.

O almeno così disse la tv.

Le indagini continuavano e il mondo della scienza si interrogava. La risposta pareva una sola: lupi mannari. Esseri pelosi, artigli, pelo e quello strano urlo. Sembrava proprio la popolare creatura dell'horror. Ovviamente le domande erano innumerevoli. Perchè ora? Perchè noi? Perchè (e basta)? La chiesa diede la sua banale e ovvia isposta. L'ipotesi più accreditata sembrava quella più semplice. Nelle leggende popolari il lupo era collegato alla luna e ora il cielo era cambiato. Ecco i frutti del cataclisma. Una roba che a raccontarla fa ridere come una barzelletta. I più temerari e folli, cresciuti a videogiochi e fumetti, si diedero da fare per avvicinare queste creature. Alcuni si fecero dilaniare, altri no. Qualche loro foto fu utile, insieme ad alcune testimonianze. Essi erano preceduti da uno strano profumo come di pelo bagnato che si diffondeva nell'aria e una volta morti tornavano umani. A dispetto delle leggende, però, la maggior parte dei cadaveri erano donne o ragazzine.

Altre teorie, tutte giuste e sbagliate. Nessuna certezza e intanto gli anni passarono. Il problema era reale e irrisolvibile. Si scoprì che uno strano pianeta (uno di quelli apparsi col cataclisma) emanava alcune strane onde radioattive e che queste erano la causa della metamorfosi. Ma nonostante le potentissime tecnologie del mondo non era ancora possibile spostare quello strano pianeta azzurrognolo. Venne istituito uno speciale corpo di polizia che aveva il compito di massacrare questi abomini, armati di potenti fucili caricati a pallettoni d'argento. La mutazione appariva casuale, poteva colpire chiunque, senza motivo, ma almeno fu possibile prevdere con un certo anticipo dove si sarebbe scatenato il prossimo mostro. E il corpo speciale andava lì, scovava l'abominio e lo faceva fuori senza troppi complimenti. Poi si bruciavano i cadaveri per precauzione. Tutto sembrava funzionare. Il problema era sotto controllo.



**



Uno sparo, un urlo, materiale celebrale che si sparpaglia sul pavimento. Altro sparo: sangue. L'essere cade a terra rantolando e schiumando, poco tempo dopo torna ad essere umano.

<< Una ragazzina adolescente... >> Mormorò l'uomo, ricaricando la persona. Il suo casco si aprì e guardò il cadavere. Si trattava di una adolescente. I suoi capelli color del fieno sembravano un piccolo delta di un fiume, la sua faccia era coperta dal sangue e da pezzi di cervello. Gli occhi erano aperti, di un verde accecante, lo guardavano. Lo sondavano, lui si ritrasse inorridito. Normalmente sarebbe stata una ragazza fantastica che, in condizioni normali, avrebbe fatto girare la testa di decine di suoi coetanei. Ora era lì, la sua bellezza diventata morte. Tutto era svanito, i suoi seni sodi sventrati sembravano piccoli sorrisi macabri. L'uomo vomitò. Poco dopo prese il suo acciarino, lo lanciò verso il cadavere e fece fuoco verso di esso. La morta avvampò. Il fumo salì fin sulle stelle e lo sguardo dell'uomo incontrò la volta celeste e decise che era bella. Rimase incantato a guardarlo... Poi entrò nella sua vettura.

Si diresse verso la spiaggia, uscì dalla macchina e si sdraiò sulla sabbia bianchissima. Lanciò lontano il suo cellulare, per quella sera aveva finito. Il suo sguardo venne catturato dal pianeta azzurro, il responsabile dei disastri (secondo quanto dicevano i cervelloni). Era davvero stupendo, piccole chiazze di bianco sembravano coprirlo leggermente.

<< Sembra così lontano... Eppure così vicino. >> L'uomo pensò alla banalità che aveva detto. Il pianeta lontano che creava disastri nel loro. L'uomo li odiò e li amò contemporaneamente. Come si potevano conciliare i disastri con la bellezza del pianeta? << La risposta ai posteri...>> Si rese finalmente conto che stava parlando da solo. Ma era veramente così? Stava parlando con quel fottuto pianeta, bellissimo e mortifero. Eros e Thanatos diceva qualcuno. Il cellulare squillò, mai suono fu più odiato. L'uomo insultò a bassa voce un paio di divinità a caso ma non si alzò, continuò a guardare il pianeta pascendosi della visione. E pianse.

Pianse perchè era solo, perchè non poteva condividere quel ben di Dio con nessuno. Avrebbe pagato oro un compagno qualsiasi. Chiuse un attimo gli occhi e pensò. Poi aprì gli occhi. In una rivista scientifica aveva letto che gli abitanti di quel pianeta avevano più volte tentato di instaurare un dialogo con loro. Dicevano di chiamarsi terrestri. Pianeta Terra. L'uomo rise, che nome ridicolo. Eppure continuò a guardarlo...



La ragazzina continuò a scappare piangendo. Arrivò su una spiaggia deserta e si toccò l'inguine. Sangue. Combattè per reprimere quel pensiero che cominciava a farsi invadente. Si adagiò per terra a guardare quel cielo cambiato. Il pianeta rossastro emergeva violentemente, come un violino in un'orchestra. Quello strano pianeta che non aveva ancora risposto ai richiami del suo governo. Lo trovò davvero bellissimo, non era mai capitato a nessun terrestre di guardare un pianeta così vicino a loro. La ragazza si sentì felice. Non riusciva a capirne il motivo ma non si sentiva più tanto sola.

martedì 4 settembre 2012

Cersei

Posto quì una brevissima fanfic ambientata nel mondo de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Non me ne voglia Martin... Spero non mi ucciderà. E'' ambientata nel quarto libro. POV Cersei

Cersei


Provò a parlare. Non ci riuscì. Le avevano cacciato a forza in bocca un panno puzzolente e sicuramente sporco. Provò a muovere le mani. Fitta di dolore. Le avevano legato i polsi con una corda. Anche le caviglie erano immobilizzate. “Legata e imbavagliata come un comune prigioniero.” Provò a fare mente locale. Quella sembrava la sala dei banchetti solo che alcuni tavoli erano rovesciati, c'era cibo ovunque e un gran numero di cadaveri per terra.

Sentiva un peso sulla testa e realizzò di avere una corona. Lei era la regina. Era seduta sullo scranno riservato al sovrano, vestita col suo abito migliore. I capelli sciolti ricadevano dalla corona come una cascata. Provò a muoversi. Un altro pezzo di corda la teneva ferma sulla sedia, i polsi legati stretti dietro lo schienale. Provò a gridare qualcosa, il risultato fu un mugolio senza senso.

Cadde nel panico. La scena era inverosimile. Le parve di vedere uomini coperti di pellicce, cavalieri in armatura e un gran numero di cortigiane unite. Non riusciva a capire niente. “Cosa è successo?” Poi lo vide e capì. “Tyrion?” Il nano, il valonqar, era su un tavolo a chiavare una donna che non riconobbe. La parte superiore del suo corpo deforme era ricoperto ancora da un strana armatura a piastre. “Sarà sicuramente una baldracca.” Alcuni uomini ridevano facendo commenti che lei non riusciva a capire. Poi capì che ridevano di lei. Agghindata come una principessa, con la corona in testa, legata ad una sedia. La stavano deridendo. “Maledetti, ma dov'è la guardia reale? E Tommen? Dov'è mio figlio?”

Poco dopo ebbe risposta. Accanto al nano c'era un cadavere un po' più piccolo del normale, dai capelli biondi. Era completamente nudo e perdeva sangue da più punti. Era immobile, sicuramente morto. Gli occhi di Cersei si riempirono di lacrime. Tentò di urlare. Tyrion si accorse di lei.

<< Cara sorellina, è tanto che non ci vediamo. >>

Cersei mugolò qualcosa.

<< Mi hai dato la caccia per così tanto tempo per una cosa che non ho mai commesso. Alla fine io ho trovato te. >> Le tolse lo straccio.

<< Schifoso nano bastardo, avrò la tua testa! >>

<< A occhio e croce, guardandoti, non ci giurerei. >>

<< Quanti figli hai intenzione di togliermi? Jaime ti ucciderà! >> Disse urlando e cercando di muoversi, ma più lo faceva più le corde si stringevano.

<< Jaime? Non penso proprio... >> Neanche finito di dirlo apparvero due figure dalla porta in fondo alla sala. Cersei capì. Uno era proprio Jaime e sembrava abbracciato ad una ragazza, poco più bassa di lui, dai capelli castani. Margaery Tyrell. I due si unirono in un bacio.

Cersei gridò con tutte le sue forze. Noooooooooooooooooooooooooooo. Tyrion le rimise con forza lo straccio tra i denti, poi cominciò ad armeggiare con le brache. Cersei comprese e continuò a gridare, ma tutto quello che ottenne furono dei mugolii indistinti. Tyrion sorrise. Le si avvicinò. Poi fu tutto buio.


Cersei si risvegliò gridando. Lady Merryweather le teneva una mano sulla bocca cercando di smorzarle l'urlo.

<< Mia regina, piano o sveglierete tutti! >> Cersei si liberò dalla stretta e si alzò, scossa. Le venne da piangere, poi si ricompose. “No, non accadrà!” Squadrò l'amica. “Come ha osato mettermi le mani addosso?” Ma non disse niente di tutto ciò.

<< Chiamami maestro Pycelle, ho da dirgli due parole sulla pozione che mi ha dato. >>

mercoledì 15 agosto 2012

Lunga Notte

Lunga Notte

Colonna Sonora: Soilwork – The Crestfallen (2005)



Chi rifiuta il Sogno deve masturbarsi con la Realtà.”

    - Ennio Flaiano



Vorrei che questa notte non finisse mai!”



**



Non faccio che girarmi da ore. Mi serve qualcosa da fare. Non riesco a passare così un solo minuto di più. Sono stanco di dormire. Anche se è notte fonda. Anche se fuori ci sono solo cani, barboni e quant'altro. Mi sembra di morire lentamente. Mi manca qualcosa. Qualcosa di importante.

Mi alzo buttando per terra le coperte, mi vesto e mi avvicino alla finestra. C'è una splendida luna piena. Nessuno la contempla perchè tutti dormono. E non sanno cosa si perdono. Spero lo capiscano prima o poi. Non esiste mica solo il sole. La luce è talmente forte che sembra giorno. Ma non lo è. Poi vedo il primo.

Sta retto sulle zampe posteriori, pelo lucido. Grigio. E' curvo, sembra gobbo, gli artigli protesi. Ghigna. I suoi occhi rossi sembrano insultarmi in una lingua sconosciuta. Gli ricambio lo sguardo, con ferocia. Se solo potessi gli sputerei. Poi comincio a ragionare. Luna piena, loro. Si è ovvio. Come ho fatto a dimenticarlo. Lentamente sorrido.

Apro l'armadio e prendo tutto l'occorrente. Butto il pigiama sul letto e mi vesto. Jeans, scarpe con la punta di ferro, maglione con cuscinetti su gomiti e ginocchia. Quest'ultimo è nero e reca una scritta in bianco: 武者. Traducibile in guerriero. Me la sono fatta ricamare apposta. Poi metto il giubbotto di pelle lungo, che arriva sotto le ginocchia. Infine i guanti, imbottiti anch'essi come il maglione. Poi da sotto il letto prendo la custodia di Chiara. La mia claymore scintilla alla pallida luce lunare che filtra dalla finestra. Lama d'argento. Un metro e mezzo di lunghezza per un totale di quattro kilogrammi di peso.

Il solo tenerla in mano mi tranquillizza. Ho ucciso talmente tanti lupi con questa che ho perso il conto. Esco sulla strada, poi prendo una pietra. La lancio verso il tizio sul tetto, quello di prima. Quello stronzo mi salta addosso ma lo impalo. Il sangue mi cola addosso, mi schizza, poi lo lascio andare. E appena lo faccio mi torna un pensiero. Una cosa importantissima. Casa sua è qui intorno. Devo cercarla. Non posso rischiare: è la prima volta che si spingono qui intorno, così lontani dalla cattedrale. Comincio a correre.

Resto sempre con la lama in pugno, pronto a trapassare qualunque abominio. Il freddo vento di febbraio mi riempie i polmoni, mi acuisce le sensazioni. Corro. Poi arrivo davanti casa sua e ne trovo uno davanti alla porta, pronto ad entrare. Lo trafiggo mentre è di spalle, quello si accascia ululando. Ritiro la spada e ne vedo subito un altro. Non capisco da dove sia venuto fuori. Mi attacca con i suo artigli ricurvi, mi oppongo con il mio argento. Scintille. Riesco a respingerlo. Lo incalzo con ferocia. Questo non è uno qualunque.

Finto un fendente alto e miro alle caviglie. Lo azzoppo, il sangue esce dappertutto. Sangue corrosivo. Lui ulula, implora pietà. Dio perdona. Io No. La lama della mia Chiara gli fa il cervello in mille piccoli pezzetti. Smette di muoversi. Mi muovo con velocità verso la porta, è aperta. Dentro è tutto immerso nel silenzio e nel buio. Camera sua è di sopra. Mentre salgo le scale sento la loro presenza, sono vicini. I suoi genitori stanno dormendo al piano di sotto, meglio non svegliarli.

Apro delicatamente la porta della sua camera, mi avvicino a lei. I suoi capelli corvini riempiono tutto il cuscino, mi fanno pensare alle radici di un albero secolare. Il petto lentamente si alza e si abbassa. Penso a quanto poco mi conosca e a come reagirà alla mia presenza. Mi avvicino a lei. Le premo dolcemente una mano sulla bocca. Lei si sveglia con un grido soffocato. Le intimo di fare silenzio e tolgo la mano.

<< Tu qui? >>

<< Si... Ci sono alcuni problemi, volevo... Ecco. Aiutarti. >>

<< A fare cosa? >>

Da sotto giunge un rumore come di vetri rotti. Poi un urlo. Lei sbianca.

<< Che succede? >>

<< Li chiamo Garou. Lupi mannari. Non so perchè sono qui, né mi interessa. Di solito stanno in altre parti, ma importa poco adesso. >> Le porgo la mano.

<< E quindi quella spada ti serve a farli a pezzi. Caspita come è grande. >>

<< Grandissima. >>

<< Ti ripeto. Perchè tu qui? >>

<< Lo sai benissimo. >> Dico con un sorriso, lei è stupita. Le porgo la mano, lei la prende. Mentre mi giro lei si veste, poi scendiamo giù. Come pensavo i suoi genitori sono stati ridotti a un mucchio di carne triturata. Il tanfo metallico del sangue inonda la stanza. Lei reprime un conato, io mi lancio sui bastardi che ancora mangiano. Li colgo di sorpresa, bastano due colpi a ucciderli entrambi. Lei mi guarda inorridita. Le porgo di nuovo la mano.

<< Dobbiamo scappare. Ti spiegherò tutto dopo. Ora sbrigati! >>

Usciamo di corsa, imbocchiamo una via stretta.

<< Dove siamo diretti? >> Mi chiede affannando.

<< In un luogo sicuro. >> Le rispondo con aria criptica. Un po' come nei film. Lei ridacchia.

Pochi minuti dopo arriviamo a destinazione. E' un semplice bar. L'insegna al neon si accende a intervalli di tre secondi. Reca la scritta “Al solito posto”. Un nome idiota per un locale particolare. Dentro è pieno. Lei è stupita, io ci sono abituato. Mi avvicino al bancone. Guardo il barista con aria annoiata gli faccio un cenno impercettibile con la testa, lui sparisce. Poco dopo torna un altro uomo. Più imponente dell'altro. Appena lo vedo lo saluto rispettosamente con una mano. Lui mi guarda torvo.

<< Vorrei una camera. >> Sento su di me lo sguardo di lei. Il tizio mi lancia una chiave, poi se ne va. Torna l'uomo di prima.

<< Ma è una locanda? >>

<< No, affatto. >> E così dicendo la porto con me in bagno. In realtà dietro la porta si vedono delle scale, portano di sopra. Guardo il numero sulla mia chiave: 6. Vado alla porta corrispondente. La apro ed entriamo. Una classica stanza da albergo. Due letti singoli, un tavolo, due sedie e un armadio. Dalla finestra si vede la luna, come da casa mia. Ci sediamo sul letto tenendoci la mano. Sento il suo calore. Lei è rossa in viso. Il colorito contrasta coi suoi capelli. Prova a dire qualcosa, ma si ferma. Ci guardiamo intensamente.

Ci abbracciamo. Stiamo così per qualche minuto. Poi lei avvicina la bocca alla mia. La cosa dura per cinque minuti buoni, poi la sua mano mi tocca il basso ventre. Io mi vedo costretto a spostarla.

<< Dopo. Ora devo finire il lavoro. Ritornerò. Tu stai qui, è un posto sicuro. Non ti accadrà nulla, te lo prometto. >>

Mi sciolgo dall'abbraccio e apro la finestra. La guardo un'ultima volta poi mi tuffo nella notte.



**



Tutto finisce con l'eiaculazione. Poi le lacrime. Fuori è già mattina.



martedì 7 agosto 2012

Il Buio

Il Buio

Colonna Sonora: Broken Hands – Lamb of God (2009)



Quando mi svegliai era lì. Di nuovo.



**



Non ricordo molto dell'incidente. Ricordo però che fu una cosa velocissima. Talmente veloce che ti sembra che non sia accaduto veramente. E' reale, senza ombra di dubbio, ma poi acquisisce la consistenza di un sogno. E' veloce e improvviso. Non ricordo nemmeno di chi era la colpa... Così, per logica, mi viene da dire che è colpa dell'altro. Dico così solo perchè ero sicuro di non aver sbagliato nulla. Stavo camminando tranquillo e beato nella mia carreggiata. Curva a sinistra, poi le scintille. Gli attimi successivi sono frammentari... Una sirena, una roba bianca, persone che mi mettono su un lettino, i soliti tubi. Capisco di essere in ospedale. Poi, non so come, mi addormento. La sorpresina mi aspetta al risveglio.

La prima cosa che penso è piove”. Lo capisco dal rumore fuori. Bene” penso. Mi è sempre piaciuto stare a letto mentre piove. Mi fa sentire bene l'idea di essere al riparo mentre fuori qualcuno si inzuppa d'acqua. E' un pensiero abbastanza cattivo, lo ammetto. Mi accorgo che la stanza è tutta al buio. Poi mi giro verso la finestra. Il grande vetro è leggermente coperto. Cerco di mettere a fuoco ma non riesco. E' un'ombra dalla forma vagamente umana. E' immobile. Un'ombra nella penombra della mia stanza. Detto così è divertente. Cerco di captare qualche dettaglio. L'immensa figura davanti a me ha sicuramente un cappello: riesco a vedere una testa e con essa delle “alette”. Deve avere qualcosa in testa.

Deve essere girato di spalle, altrimenti sarei stato in grado di vedergli gli occhi. Era un'enorme massa nera. Le mani sembrano piegate sui fianchi, gambe leggermente divaricate. Immobile, una statua. Sembra fissare l'acqua che cade e si infrange sulla finestra. Dico fissare anche se non gli ho ancora visto il viso... Ma è l'unica cosa che mi viene da pensare. Non si è ancora mosso.” Penso. Lo sto guardando da più di mezz'ora ormai. Sono stanco, dolorante. Non riesco a muovere niente (a parte gli occhi) senza sentire quella parte del corpo ardere. Non ci penso nemmeno a parlare. Mi fa troppa paura. Mi viene da sorridere pensando alla stranezza della scena. Non so più cosa pensare.

Tutto ciò va avanti per ore. Deve essere notte.” Lui è ancora lì, non si è mosso. “E' morto?” Ma ho paura di esprimermi. Egli potrebbe girarsi scocciato e farmi del male. E' un'attesa che inizia ad essere snervante. Una tortura cinese. Istintivamente penso al “sabato del villaggio” di Leopardi. I preparativi della festa e l'aspettativa della festa sono meglio della festa in sé.” Questo principio può essere applicato a tutte le cose. L'attesa amplifica qualsiasi cosa, nel bene e nel male. Di solito in male...” Penso a cosa potrebbe farmi appena si gira. E' chiaro che non c'è nulla di positivo in quest'uomo. O qualsiasi cosa essa sia. Fissare la pioggia in quel modo... Che significa?

La paura comincia ad impossessarsi di me. Lo fisso insistentemente, non tolgo mai lo sguardo. Devo sapere quando si girerà. Per quanto posso devo riuscire a capirlo con un minimo di anticipo. Anche frammenti di secondo... Non voglio essere totalmente impreparato. Potrei rimanerci... Non riesco ancora a parlare. Mi sembra fuori luogo. Intanto fuori continua a piovere. L'acqua sembra più violenta adesso. Il cuore comincia a palpitare più forte. Sono paralizzato. E' la totale ignoranza a paralizzarmi. Ignoranza... Come per la morte. Non sai cosa c'è dopo e questo ti uccide lentamente. Un processo che dura tutta la vita. Non proprio la cosa migliore a cui pensare, no?

Egli è ancora fermo. Mi è venuto improvvisamente sonno ma non riesco a dormire. Non in sua presenza. Devo rimanere vigile. Ma il signor Morfeo è forte... E dopo poco mi sconfigge.



**



Sono in una stanza vuota e buia. Sto camminando verso la porta che sta dall'altra parte. Lentamente. Non ne capisco razionalmente il motivo, ma so che devo andarci. Devo assolutamente aprirla. Non importa nient'altro. Corro. La porta sembra allontanarsi. Mi arrabbio. Non scherziamo... E' solo una porta, diamine. Accellero il passo e la raggiungo. Afferro la maniglia. Un secondo per calmarmi, poi apro la porta. Dietro di essa Il Buio.



**



Mi sveglio di soprassalto. E ne sono felice. Ho ancora davanti gli occhi il sogno, non riesco a mettere bene a fuoco gli oggetti. Poi quella massa nera informe si concretizza nella figura spettrale che stava davanti alla finestra. Ancora lui. E la paura ricomincia. Risvegliarsi da un incubo per ritrovarsi in un altro incubo, ma quest'ultimo è reale. Comincia a mancarmi il fiato. E' sempre lì, immobile, col cappello e tutto il resto. Per la prima volta mi viene l'idea, guardandolo, che possa indossare una specie di impermeabile, magari uno di quelli di colore giallo, quelli che ti aspetteresti da un perfetto englishman. Questo pensiero mi smorza un po' d'ansia. Ma ella è tenace, ritorna più incazzata di prima. Gode della sofferenza. Ma non intendo farmi sconfiggere, non ora. E' solo un tizio qualunque quello...

E allora perchè non smetto di tremare? Perchè mi sto lentamente allontanando dalla finestra (per come posso, sono sdraiato su un lettino)? Non lo so. E' l'istinto che mi guida. Quando la ragione brancola nel buio rimane solo esso. Cerco di non pensare, ma quella figura ormai ha invaso anche la mia testa. Non so farla uscire. Cerco di pensare ad altro, ma non riesco. Sono masochista? Mi sono sempre chiesto perchè non abbiamo il controllo totale sui pensieri. Perchè quando c'è qualcosa di brutto non possiamo fare a meno di pensarci... Egli è ancora lì. Non si è mai mosso da quando ho scoperto la sua presenza. Come fa a stare sempre fermo? Nessuno riuscirebbe a farlo!

I miei occhi sono ancora attratti da lui. La tensione mi sta uccidendo. Una pugnalata a intervalli regolari... Mi manca il fiato. Tuttavia, dopo tanti pensieri e tentativi, mi decido a parlargli. Apro la bocca. Tiro fuori una specie di “Salve.” Silenzio. Tutto tace. Cinque minuti dopo ci riprovo. Nulla. Mi sembra di morire lentamente. Perchè non mi risponde? Perchè non si muove? Riprovo a parlare ma un fulmine squarcia il cielo, la finestra si apre di botto ed entra una folata di vento. Col vento anche Egli si muove. Si butta su di me. Urlo più forte di quanto abbia mai fatto in tutta la mia vita.







Gli infermieri entrarono di corsa trovando il paziente già morto. Sul viso un'orribile espressione, sembrava morto di paura. Uno di essi si affrettò a chiudere per bene la finestra. Era rimasta sempre socchiusa da quando era arrivato quel paziente. Il vento l'aveva aperta e aveva fatto cadere quella strana pianta grassa sul lettino del paziente. La rimisero apposto. Nessuno capì mai.

mercoledì 1 agosto 2012

Umanità

Umanità

Colonna Sonora: Battle Against Time – Wintersun (2004)



L'umanità è un'impresa sovrumana. 

    - Jean Giraudoux



Sangue. Sangue caldo che mi inonda la gola. E' come essere umani.



**



La testa che gira. Il respiro pesante. La bocca impastata. La sensazione di estraneità.

Al risveglio appare tutto ciò, tutto insieme. All'improvviso. E' terrificante. Quando superi la soglia pensi che certe cose non accadano più, poi scopri che ti sbagli. Penso sia una bella cosa... Perché mai dovrei perdermi una così bella sensazione? Non ne vale la pena. Anche se al mattino tutto gira.

In passato mi è capitato molte volte, come a chiunque immagino. La testa che pulsa... Sembra che stia per scoppiare da un momento all'altro. Sono i primi dieci minuti dopo che apri gli occhi, ma sembra un'ora. Ma, come prima, è questione di abitudine. Solo abitudine. Anche ora. E dopo questi dieci minuti torna la solita sensazione. Arriva puntuale... E' strano che pensi a lei come ad una donna. Quella sensazione di vuoto, di inutilità. Non mi ha mai abbandonato neanche prima.

Anche adesso che tutti i miei desideri si sono avverati non riesco a superare questa condizione schifosa. E' terrificante. Mi alzo e tolgo le sbarre dalle pareti: la luce lunare inonda la camera. Oggi è piena, è davvero bellissima. Vorrei fosse sempre così. Quel pallore mi fa sentire meglio, mi distrae dai miei problemi. Divertissement. Ne parlava qualche filosofo. Qualcuno si da alle pillole, qualcun altro al gioco d'azzardo... A me basta poco per dimenticare i miei problemi, ammesso che ora ne abbia. E in questi pochi attimi di pace mentale decido di fare due passi.

Mi vesto per prima cosa, poi mi do una rinfrescata. Il pallore del mio corpo è impressionante. Pare sia dimagrito, pensai. Incredibile, non pensavo fosse possibile. Effettivamente questa condizione mi pone diversi interrogativi. Del tipo: perché respiro? Non dovrei averne bisogno, ma boh... Esco fuori a far due passi. L'acqua è bellissima, riflette le poche luci. Sembra di stare in un sogno. La nebbia rende tutto così bello, anche i lampioni sembrano lucciole in quest'atmosfera. Passo il primo ponte e poco dopo una debole folata di vento mi avvicina al piede il giornale di quella mattina. Era quello locale del posto e in prima pagina c'era scritto del ritrovamento di una ragazza trovata dissanguata nei pressi del posto noto come G.

Questo mi fa venire in mente tante cose. Ieri. Cerco di mettere a fuoco il tutto. Fuori non c'è nessuno, neanche una distrazione. I mattoni corrono veloci sotto i miei piedi mentre ricompongo il puzzle dei miei ricordi. Dunque... Ieri era la serata del concerto degli Scarecrown per la prima volta quì. Ero felicissimo: finalmente un po' di vita in questo posto dimenticato da Dio. Nonostante la mia nuova condizione non avevo perso i miei precedenti interesse e avevo conservato qualche cimelio.

Nonostante la primavera inoltrata ero andato col mio chiodo. Mi faceva sentire sicuro di me anche se, ormai, col fisico che mi ritrovavo, mi stava un pò grande. Raggiunsi subito il posto, avevano appena iniziato. Il chitarrista si stava scatenando e la gente era in procinto di scaldarsi. Mi unii alle prime file, presto sarebbe iniziata la battaglia. Finii a terra molte volte, ma tornai subito in piedi. Mi schiantai contro il vichingo di turno. Neanche a farlo apposta assomigliava al supereroe Thor. Fu come essere un uovo che si schiantava contro un muro di granito. Caddi ridendo.

Due canzoni dopo mi fermai per prendere una pausa. Intanto adocchiai una bella ragazza. Da come si muoveva dedussi che era sbronza. Ottimo, pensai. Si prospettava una serata diversa dalle altre. La portai con me in una calle deserta. Lei barcollava. Iniziammo a far danzare le nostre lingue. Sembrava assatanata. Giusto per farla contenta, le misi una mano lì sotto e lei gemette di piacere. Continuammo così per diversi minuti, poi decisi che era abbastanza. Mi avvicinai di più a lei e aprii la bocca, lei rise, per l'ultima volta. Con una mano le tappai la bocca. Lei avvertì il pericolo. Un secondo dopo avevo affondato i canini nel suo bel collo.

Mezz'ora dopo mi lavavo il mento e la bocca presso una fontana, felice. Poi tornai al concerto. L'alcol cominciava a fare effetto. Era ridotta proprio male. Mi gettai di nuovo nella mischia. Probabilmente vomitai addosso a qualcuno. Ma cosa dovevo vomitare? Non ero come loro. Me l'aveva assicurato lui. Non finirò mai di ringraziarlo. Mi aveva liberato dallo strazio della vita per sempre. Chissà dove era ora... Riuscii a trascinarmi a casa prima prima dell'alba. Il tempo di spogliarmi e caddi sul letto come un sasso. Una serata produttiva.

Si, era andata così. Continuo a passeggiare. Mi reco al luogo del concerto. Il volantino. Lo leggo. Il mese dopo sarebbero stati a M. Non sarei mancato.



**



Corpi che si mischiano. Percussioni che sfondano la ragione. Tutti a danzare per un dio invisibile, fatto di aria. Un Dio che non punisce. Un Dio i cui preti bramano davvero la felicità dei fedeli. Un dio fatto di fuoco e caos, di carne e ossa; un Dio fatto di fedeli. E' facile raggiungere l'illuminazione.

E' solo un attimo e tutti ci sentiamo risvegliati. Poi la cerimonia si interrompe per una breve pausa. Tutti corrono a rifornirsi di dolce nettare. Io adocchio un'altra bella donna, cerco di trascinarla con me. Lei urla e si divincola. Chiama il suo amico. Un bestione pelato con due occhi che sembrano fatti di oceano. Quasi mi stregano. Sento un brivido sulla schiena. Ma tanto non posso morire. Mi getto sulla ragazza, anche lei sarà mia. E nessuno potrà impedirmelo. Sento una mano sulla mia spalla: è il tizio. Gli rido in faccia. Poi...



**



La mattina viene ritrovato un cadavere. Si tratta di un ragazzzo sui vent'anni. Magro come un chiodo, forse anoressico. Aveva il volto tumefatto e un paio di costole rotte. Forse aveva lottato. Ma il particolare che sconcerta tutto è un altro: aveva la bocca contratta in un ghigno. Era morto ridendo.

martedì 26 giugno 2012

Sangue sui Tasti

Sangue sui Tasti

Breve storia di un sognatore



Sputare sangue è come mangiare un pezzo d'acciaio. Il sapore è lo stesso.

Lo si prova da giovani. E' normale leccarsi le ferite: cadi per terra, ti sbucci una mano e che fai? Cominci a leccare la piccola ferita, come se potesse davvero fare qualcosa. Io lo provo tuttora e ormai, anche se capisco bene che ha un buon sapore, non mi dice più nulla. E' sempre così, l'abitudine massacra sempre ogni cosa. E dire che l'essere umano basa la propria vita su di essa...

Ora per esempio. Il montante che ho ricevuto sul mento mi ha spento le luci per un attimo ma sono riuscito a non finire KO. Dio come vorrei sputargli addosso tutto, magari per accecarlo. Ci provo. Lo manco. Barcollo. Mi riprendo.

Accorcio la distanza con un circolare diretto al fianco, lui si difende bene bloccandomi la gamba. Poi mi spazza l'altra, sono a terra. Si getta su di me come un lupo famelico, cerca di mettermi in leva il braccio ma mi libero. Riesco a rotolare sul fianco e a rialzarmi, seguito subito dall'avversario. Lo aspetto. L'altro non si fa attendere: abbozza un frontale, una finta di lato e poi cerca di entrare con un diretto seguito da un gancio. L'ultimo pugno è talmente forte che, parandolo a mano aperta, mi apre un graffio sulla mano nuda, comincio a sanguinare. Stringo il pugno per non farlo vedere. Ma lui se ne accorge.

Vengo spinto indietro e lui continua ad incalzarmi. Sembra aver finito di provare a buttarmi al suolo. Altra scarica di pugni, paro anche con la mano sanguinante, la ferita si allarga e mi scappa un gemito. Altra scarica di colpi, non riesco a reagire. Poi arriva, puntuale e rapido. Una martellata sulla tempia che non avevo visto. E tutto diventa buio.



**



Quando mi sveglio la prima cosa che faccio è imprecare tra i denti, poi mi alzo e mi guardo intorno. Non ho bisogno di chiedere nulla. Mi hanno anche lasciato solo. Sul tavolo vedo un biglietto in cui c'è scritto solo un numero. Un gigantesco “1”. Mi cambio e mi ficco il foglio in tasca.

Vado a casa. Anzi il monolocale, apro il cassetto in alto. Ci sono altri fogli con tanti numeri grandi scritti sopra. Sono in ordine decrescente e partono da un cinque. Il solo guardarle mi deprime. Ho una gran voglia di piangere, ma non lo faccio perchè non serve a nulla. Vado invece al piano.

Soffio sui tasti per togliere qualche granello di polvere. Appoggio le dita, poi vedo la fasciatura sulla mano. Incomincio la Toccata ma sento una fitta.

Non me ne importa nulla. Continuo a suonare e intanto la ferita si riapre, il sangue filtra la garza. Il sangue finisce su un do. Ma neanche questo mi ferma. Gemendo in silenzio continuo, finisco il pezzo. Poi prendo un panno e pulisco il piano. Ma il sangue è incrostato, ci metto un po' di tempo. E' ora. Stasera devo andare al locale.



Neanche mi preparo. Non ne ho voglia. Io vado lì per suonare, non per farmi vedere. Una semplice maglietta e dei pantaloni sporchi. D'altronde come posso vestirmi bene con quello schifo che mi pagano. Dio, come li odio. Almeno quanto quel coglione che conoscevo ai tempi delle medie. Quello spocchioso brufolo bigotto. Se non l'ho gonfiato solo Dio sa perchè.

Quando incrocio il primo nella sala quasi mi viene voglia di strangolarlo. Non lo saluto, quasi non si accorge di me. Mi avvicino al piano, o meglio a quello schifo di pianola scassata. Almeno un terzo dei tasti non funzionano. Mi siedo e comincio a picchiare sui tasti, con forza.

Una scala blues qua e là, un paio di virtuosismi del cazzo e riesco ad avere il mio stipendio. Rido mentre prendo le banconote. Non avrete quello che davvero so fare. Non con questo schifo di strumento e con questa paga di merda. Preferisco fare il barbone. Esco.

Una volta a casa combatto con il mio piano. Ci scambiamo prima colpi leggeri, poi ci andiamo giù pesante. Le urla sovrastano tutto e mi sento in pace con me stesso. Ora posso andare a nanna. Domani dovrò suonare un altro avversario. O magari lui suonerà me. E' solo dialettica.



Eravamo un duetto perfetto. Lui suonava e io cantavo. Questa volta me ne avevano messo uno troppo grosso. Come tutte le altre volte... Ma sono contento nonostante tutto. Combattere quando è inutile è molto più divertente, perchè non hai nulla da perdere (ormai...). E' quella consapevolezza che ti viene quando sai che hai troppo problemi per preoccuparti seriamente di uno solo di essi. Poi scivolo di nuovo nel buio.

Al mio risveglio trovo il solito fottuto biglietto, senza numeri stavolta. Solo una scritta.

Domani

Decido per un'ultima sera. Anche se sono pieno di cerotti, fasciature, garze, quasi senza un occhio. Vado dal capo e gli dico che suonerò gratis. Lui sgrana gli occhi e mi offre un boccale di birra. L'ultimo sorso glielo sputo in faccia. Queste sono le soddisfazioni della vita. Mi metto a suonare, l'hanno aggiustato? Giusto in tempo. Qualcosa di introduttivo, poi entro nel vivo con la composizione che ho finito ultimamente. C'ho messo più di tre anni per comporla, c'ho messo tutto me stesso e anche qualcos'altro. Perciò è lunghissima e tortuosa. Ci vorrà del tempo per finirla... Ma tanto ho una serata...

E' bellissima. Me lo dico solo. La mia unica soddisfazione in questa vita pallosa. Ma almeno prima di crepare potrò dire di essere stato felice. Per una sola serata. Ma è vero quel che si dice. E' meglio estinguersi in una vampata che spegnersi lentamente. Verso la fine, per la tensione, un po' di cerotti si staccano, le ferite si riaprono. Comincio a macchiare di sangue il piano. L'unghia rotta (quando mi si è rotta?) mi fa un male cane, ma non è una scusa per interrompere. La mia faccia dipinge il bianco dei tasti mentre finisco. Sono tutto sanguinante e respiro a fatica. Sono stanco. Mi alzo. Tutti mi guardano estasiati: non so se sono stupiti per la melodia o per la mia faccia. Sicuramente entrambe le cose. Un essere informe mi chiede uno spartito. Comincia a prendere una sega elettrica. Dico indicando la mia testa. Poi me ne vado barcollando.

Fuori c'è la sua macchina ad aspettarmi. Vengo gentilmente invitato ad entrare. Mi siedo di fianco ad una signora bionda sui trent'anni che sembrava uscita da una festa organizzata da Bill Gates. Anche molto bella. Cerca di parlarmi con quei suoi bellissimi occhi verdi, dato che le sue labbra erano sigillate da un pezzo di nastro adesivo argentato. Buona sera. La saluto. Lei non è d'accordo. Al solito posto? Chiedo al tizio accanto all'autista. Lui annuisce silenziosamente. Il viaggio dura pochi minuti, tutto intervallato dalla giovane donna che borbottava qualcosa. Arrivati davanti ad una rupe ci fa scendere. Lo chiamavano il Corno. C'avevo fatto qualche lavoretto anche io.

Mi sembra giusto crepare dove ho lavorato per molto tempo. Mi dicono di andare vicino al precipizio. A spintoni mettono vicino a me anche la donna, ormai in lacrime. Poi lui, un nippoamericano di trent'anni con cui ho lavorato da sempre, prende il suo M7.

Non mi è andata poi così male. Morire accanto ad una bella donna. Penso. Mentre aspetto le mie dita si muovono in aria e la musica scoppia nella mia testa.

venerdì 22 giugno 2012

Dita

Dita

Colonna Sonora: Giovanni Allevi – L'Orologio degli Dei (2006)



Bisogna gustare il male con la punta delle Dita.”



E' come tentare di eccitare una donna. O qualcosa di simile.

Le falangi si muovono veloci, non le riesci a seguire con lo sguardo. Non capisci, ma sta succedendo il finimondo. Mi sembra di avere il fuoco dentro, ogni volta che faccio questo pezzo. Lo facciamo sempre, per chiudere. Per rendere felice il pubblico prima di tagliare la corda. E diciamocelo... Senza di me non farebbe la metà dell'effetto che fa.

Te ne accorgi... Dalle persone, da come si muovono, dalla loro espressione. Ce ne sono alcuni che hanno lo sguardo spiritato, iniettato di sangue, che si godono in silenzio e senza muoversi quel religioso momento estatico. Altri lo manifestano in altri modi. Cominciano ad urtarsi, cadono a terra, spesso si fanno male. E' giusto. Fossi al loro posto farei la stessa cosa.

E quando faccio l'assolo... Beh è come vedere un orgasmo. Anche i fermi cominciano a muoversi. E' impossibile stare fermi. In questi casi mi sento come un burattinaio. Ho in mano tutti loro. Ed è una sensazione stupenda, non la cambierei per nulla al mondo.

Un cascare di luci, la batteria finisce. Vedo una coppietta che consuma. Poi ce ne andiamo accompagnati da un urlo bestiale. Nel camper c'è la solita fila. Scelgo la bassina dai capelli rossi.

E' come suonare una chitarra.



**



La mano sinistra, tenendo l'impugnatura, freme. Il tizio è sempre più vicino. Lo sento, sento la sua paura. Cerco di ricordare cosa aveva fatto, ma non ci riesco. Magari la solita questione di soldi.

Esco dall'angolo e lo guardo. E' un frate straniero, forse un portoghese. Ormai fanno tutti affari coi miei capi. Persino i maledetti santoni. In fin dei conti non hanno portato niente di nuovo. Lui si accorge di me, ma non capisce. Continua a camminare tenendo quella specie di rosario piccolissimo in mano. Quando è vicino a me gli sbarro il passo. E capisce.

Come un automa mette mano al crocifisso che ha attaccato al collo, un coltello forse. Ma non ne ha il tempo... La mia mano si muove veloce e la sua testa rotola via. Iai Jutsu. Non provo più nulla. Un tempo mi sarei eccitato, avrei riso. Ora è tutta roba già vista. Con un movimento secco tolgo il sangue dalla spada. Rinfodero e me ne vado.

Torno alla locanda. Mi siedo al solito tavolo, c'è lui ad aspettarmi, come sempre.

<< Allora? >>

<< Il vecchio è morto. >>

<< Bene, l'oyabun ha parlato, ecco il tuo prossimo bersaglio. All'alba. >>

Non pensa che forse sono stufo di giocare a fare il boia.



**



Odio la pioggia. Una giornata davvero schifosa.

La odio perchè copre i suoni. Lei, che non segue regole, cade a caso. Senza ritmo. Uno schifo.

Ed è proprio in questi momenti che attacco la chitarra alla corrente e suono. Non riesco proprio a sopportarla. E per coprirla suono meglio del solito. Perchè devo farle capire chi comanda. Riprovo tutti i pezzi, al volume minimo. Per non impaurire quegli idioti dei miei vicini. Li odio almeno quanto la pioggia.

E provo di nuovo quella sensazione, benchè il volume sia minimo. E' bellissimo. E questo spiega tutti gli airguitar che vedo ad ogni concerto. Mi dispiace per tutti quelli che non possono farlo, ma in fondo è colpa loro.

Mi concedo venti minuti di paradiso, devo andare a lavoro. Esco di casa mettendo il mio nuovo giubbotto di pelle.

Cammino sotto la pioggia bestemmiando a bassa voce. Prima o poi deciderò di comprare un ombrello. Tutte le persone che vedo mi sembrano vuote. Sguardo fisso, altri ridono. Mi scivolano addosso come acqua.

Proprio come la pioggia.

Arrivato a lavoro mi dicono che il mio macchinario ieri ha dato problemi a quelli del turno di notte.



**



E' come musica. La nostra.

L'acciaio contro l'acciaio. Non c'è suono più celestiale. Era da tempo che non incontravo uno spadaccino di tale livello. Balliamo la danza della morte sulle note della tensione. Una musica fatta di parate, fendenti, finte e soprattutto sangue. Sono riuscito a ferirlo vicino allo zigomo al nostro primo assalto, poi l'altro ha capito chi aveva davanti e ha fatto sul serio.

Ho perso il conto del tempo. Ogni singola parte del io corpo è concentrata sul metallo. Poi una finta... L'ho colpito.

Un sorriso si apre vicino la sua spalla destra, ride. Mi dispiacerà davvero ucciderlo, ma sto sprecando tempo. Ormai ho capito il suo stile, posso finire quando voglio, ma... Quando ancora mi capiterà di sentirmi vivo come adesso? Poi appare un problema. Una donna... Cosa ci fa lì? Chiamerà le autorità?

L'avversario approfitta della mia distrazione e mi attacca di soppiatto, mi ferisce di striscio ma si sbilancia. Io non perdo tempo e gli sferzo il collo troncandogli l'arteria. La fontana... Lo vedo inginocchiarsi, mi inchino, rinfodero e vado all'inseguimento della donna, giro l'angolo ed è lì. Ma circondata da poliziotti. Bestemmio sottovoce e mi nascondo, poi fuggo.

Questo a loro non piacerà...



**



Mi risveglio vedendo bianco. Un ospedale. Qualcosa non va...

Non provo molto dolore, non mi sento fasciato, i piedi sono interi. Avverto un dolore nella parte sinistra del corpo, giro la testa e vedo. Vedo quello che non avrei MAI voluto vedere. Il mio mignolo sinistro. Dove cazzo è? Giro la mano. Provo a muoverlo. E' come se muovessi un arto fantasma. Un capogiro...

Cado di nuovo sul letto, studio la mia mano. La cicatrice, i punti di sutura e quant'altro. Comincio ad essere inquieto. Cosa è successo? Quando? Perchè? Mi alzo e comincio a camminare su e giù, grido. Esco sul corridoio, vedo solo bianco. Torno dentro, trovo il cellulare sul comodino e chiamo l'unica persona che può sapere qualcosa. Mi dice che arriva in quindici minuti. Un'eternità. Non ce la faccio a resistere, comincio a colpire il muro.

Crollo in ginocchio tenendomi la mano monca. Le prime lacrime escono senza controllo spaccando gli argini del mio controllo. E rimango lì.

In silenzio. Solo.



**



La cerimonia dello yubitsume è quanto di più stupido riesca a pensare. Non ha scopo né utilità. E' semplice retaggio del passato, magari neanche troppo remoto.

Stupido perchè rendi un tuo subalterno più impedito di quanto possa essere e tutto per un caso di sfortuna, almeno nel mio caso. Hanno dovuto drogarmi con litri di sakè per riuscire a rincoglionirmi abbastanza. Non perchè protestassi. O almeno credo... Mi viene da pensare che sia quasi un atto di pietà. Il fatto che venga da loro mi fa ridere. Ma non posso farci nulla.

Non posso protestare. Se non fosse stato per loro magari ora sarei all'inferno. Mi hanno trovato quando... Trent'anni fa? Non ricordo. L'unico problema è... Come farò ora ad usare la spada?

Il rito è proprio questo. Rendere uno spadaccino più debole. La mia spada ha bisogno di dieci dita, non nove. Chissà nel futuro, quando non si userà più la spada (perchè ormai è un dato di fatto), cosa si inventeranno. Fottuti yakuza. E sono coscienti del fatto che monco servo di meno. Mi hanno dato un'altra chance, prima di tagliarmi qualcos'altro.

In silenzio fisso la mia mano e penso... Forse dovrei cambiare arma. NO.

La spada è tutto ciò che sono, tutto ciò che so fare. Devo trovare un modo per usare la spada senza il mignolo sinistro.

Devo... Spero.



**



Bestemmio loro addosso e sbatto la porta. Pare proprio che non l'abbia presa bene. Tutto per un fottuto macchinario. Sfiga. Merda...

Ora sono fuori dal gruppo e non metterò sicuramente più piedi in quella fottuta fabbrica del cazzo. La mia vita è finita. Per un attimo. Anni che se ne vanno come pioggia. In fin dei conti me ne fotte poco del lavoro però la musica. Quella non la voglio abbandonare.

Tony Iommi ha rivoluzionato tutto grazie all'amputazione di due falangi in circostanze simili alle mie. Eccolo, il Tony Iommi del 200Y. Ridicolo. Come sostituisco il mio fottuto dito?

Metto un cd degli Scarecrown e mi butto sotto la doccia. La ferita ha cicatrizzato bene. Ormai non sento più dolore. Poi... Sotto quella fottuta acqua che sembra fottuta pioggia ho la mia illuminazione. E grido. Un urlo di felicità.

Ci vorrà tempo, molto tempo. Troppo. Ma ho una via d'uscita...Devo imboccarla.

Si vive una volta sola, cazzo.

Imbraccio la chitarra. Inizio subito.





Tempo Dopo





La leggenda dell'Orco Mutilato si diffuse rapidamente in tutta Edo. Non si sapeva da dove veniva, si sapeva solo che era apparso all'improvviso. Alcune leggende dicono fosse un ladro o un condannato a morte che è fuggito nelle montagne per qualche oscuro motivo. Si dice che quando sia sceso sia diventato il sicario numero 1 della città, ovviamente al soldo di quel clan. Tutto il resto è leggenda, diceria popolare. Però una cosa, una cosa sola, é certa: se vedi davanti a te un tizio simile ad un ronin che impugna una katana con l'impugnatura segata di netto e la lama più corta venire contro di te camminando come uno spettro ... Beh... Ti conviene darti alla millenaria arte della fuga.

Il pub era pieno di gente al loro primo concerto. Non era niente di che, la tecnica era acerba. Ma la grinta e la voglia di fare si vedevano chiaramente. Ovviamente erano tutti venuti per vedere il chitarrista. Forse l'unico al mondo ad usare anche il pollice. Ovviamente questo lo costringeva a stare seduto e a tenere la chitarra perfettamente ancorata al corpo mediante strani elastici, ma riusciva a suonare. E anche bene...



**



Festeggio con una birra. Beh in realtà un po' di più... E l'indomani so già cosa farò. Mi regalerò qualcosa per aver coronato le fatiche di questi ultimi anni. Ho sempre voluto una katana da esposizione, sono stupende. Ne avevo già adocchiata una su ebay. Era strana, diversa dalle altre. Ma era bellissima. Aveva l'impugnaura segata di netto e la lama sembrava più corta...



Fine





Nota:

Non me ne frega un tubo se ciò che ho scritto non è possibile o troppo assurdo (mi riferisco alla possibilità di usare una katana senza qualche dito e suonare la chitarra in quel modo). Mi andava di scriverlo e l'ho fatto. Quindi non rompete. Altra cosa. Si avete visto bene: gli Scarecrown sono il gruppo del protagonista del mio precedente racconto Open the Gates.