domenica 27 maggio 2012

Un Braccio, un Fratello, la Rabbia

Un Braccio, un Fratello, la Rabbia

Colonna Sonora: Slave New World – Sepultura (1994)

02 – Fine e Inizio

Il sole...

Fu la prima cosa che pensò Malik appena fu uscito dal Tempio. La strada che aveva imboccato l'aveva portato all'aperto dove lo aspettavano tre cavalli. Ansimante e coperto di ferite scelse quello di centro, che aveva usato all'andata. Impiegò un quarto d'ora solo per salire senza far cadere lo strano oggetto e provando a non usare il braccio sinistro, diventato solo un crogiolo di dolore. Quando si mise in sella emise un sospiro di sollievo e si rese conto del suo stato. Il fodero, alla sua sinistra, era vuoto, così come quello alle spalle. Alla cintura tre sacche dei coltelli da lancio erano vuote, ma gliene rimanevano ancora due. Almeno la lama celata era al suo posto. Come se potesse essere altrimenti. La sua spalla grondava sangue, la sua tunica era bianca solo nella zona sotto la cintura. Ormai si sentiva debole.

Con le ultime forze rimaste colpì i fianchi del cavallo con gli stivali e poi si accasciò sul collo dell'animale, l'oggetto tenuto con entrambe le mani. Prima di perdere i sensi sperò solo che il cavallo conoscesse la strada del ritorno. Il cavallo galoppava veloce e sembrava quasi cullarlo.

Non ricordò quanto tempo dopo si svegliò, ma quando avvenne si rese conto di essere in un pasticcio. Al principio non capì nulla: era come tentare di contare gli studenti di una scolaresca iperattiva mentre uno ti conta i numeri nelle orecchie. In un secondo ricordò di aver sognato, ma non esattamente cosa. Un flebile ricordo tuttavia persisteva, sforzandosi ricordò qualcosa: c'era un gran sole anche nel sogno, un falco pellegrino senza un'ala (quindi condannato a terra) starnazzava qualcosa contro un'aquila maestosa che volava nel cielo. L'aquila però non rispondeva.

Era l'unica cosa che ricordava. Poi subentrò la realtà, con la grazia di un elefante in corsa. Il cavallo, ferito di striscio ad una zampa, tentava di fuggire da altri due cavalli che gli si stavano avvicinando a grande velocità. Evidentemente un impatto c'è già stato, rilevò Malik. Girandosi vide i cavalieri, due templari. La visione non lo stupì, anzi gli strappò una risata. Una di quelle finte, sardoniche, segnate dalla disperazione. Tuttavia, nelle sue circostanze, poteva fare poco. Non pensò nemmeno ai coltelli, non voleva sprecarli: non era bravo a colpire oggetti da cavallo. Si sforzò di riconoscere il paesaggio.

Il cavallo stava seguendo uno stretto sentiero coperto di alberi spogli, tronchi sul terreno. Davanti a sé vedeva un arco sorretto da due colonne. Alzando lo sguardo notò una fortezza di pietra stagliarsi contro il cielo. Mai Masyaf gli era sembrata più bella, più maestosa, più superba. Era a casa.

Girandosi notò che i cavalieri erano sempre più vicini e sforzandosi di vedere ancora più dietro notò una gran quantità di stendardi bianchi con qualcosa di rosso dipinto. L'esercito di Roberto era ancora lontano, forse avrebbe potuto dare l'allarme. Evidentemente i due cavalieri erano l'avanguardia o qualcosa di simile. Intanto il cavalli di Malik superò il colonnato. Ancora pochi minuti e sarebbe arrivato al villaggio e quindi alla salvezza. Aveva portato a termine la missione che nemmeno il grande Altair era riuscito a compiere, ma a che prezzo?

D'un tratto si ricordò di suo fratello e quel poco di gioia che aveva svanì come neve al sole.

Vide le fortificazioni lignee all'entrata del villaggio, cominciò a urlare a pieni polmoni.

Aiuto, ci attaccano! Uomo ferito!”

Non badò tanto a quello che disse. Pensò solo a informare dell'attacco e a fornire una spiegazione per il suo comizio. Le porte si aprirono appena le vedette videro il cavallo lanciato nella folle corsa. Due assassini gli vennero incontro lentamente puntando le mani aperte contro di lui come a dire di fermare il cavallo. Malik provò a tirare le redini con la mano libera ma non sortì alcun effetto. Con una nota di rammarico notò che il cavallo era terrorizzato e nel totale panico. Sapeva cosa significava una caduta da cavallo a quella velocità e nelle sue condizioni sapeva benissimo che rischiava la morte. Abbattuto si accasciò sulla criniera aspettando l'urto.

Il cavallo venne azzoppato dai due assassini e Malik finì a terra. Urlò di dolore, dolore puro. L'oggetto gli scivolò di mano.

Presto aiutatemi, i Templari stanno attaccando e devo portare quel coso da Al Mualim, qualcuno mi aiuti!”

Uno dei due prese l'oggetto e aiutò il ferito ad andare alla fortezza mentre l'altro chiudeva i cancelli e dava l'allarme. L'assassino era talmente debole che quei pochi gradini in salita gli parvero una scalata. Una volta arrivato sforzò al massimo le sue energie per arrivare nella biblioteca, dove stava di solito il maestro, precedendo il suo aiutante. Quando arrivò Al Mualim stava vituperando il suo confratello. Si godette la bella vista e questo riuscì a farlo sentire meglio.

... Non sono ancora morto!” Disse entrando. Altair lo guardò allibito.

Spiegò tutto. Poi il vecchio diede disposizioni e Altair scomparve, ma non prima che Malik lo colpisse con un'occhiata carica d'odio. La prese come la sua prima rivincita e si sentì subito meglio. Tenendosi il braccio prese la parola.

Maestro...?” Troppi interrogativi, troppi concetti, poco fiato.

Hai fatto un ottimo lavoro. Altair sarà punito, non con la morte perchè ancora ci serve, ma pagherà. Te lo giuro. Ora vai a farti medicare, una volta respinto l'attacco finiremo di parlare, ora ho da fare.”

Malik venne condotto da un servo in una zona della fortezza adibita ad infermeria. Non ricordò come e perchè, ma dopo poco perse di nuovo i sensi, fuori infuriava la battaglia.

[…]

Quando si svegliò la prima cosa che vide fu la fasciatura al braccio sinistro. Fasciatura che terminava troppo presto. Capì subito. Non disse nulla, si morse il labbro con rabbia e cercò di captare rumori. Tutto era tranquillo. La battaglia era finita, molto probabilmente la fortezza aveva resistito. Chiamò a gran voce e qualcuno venne di corsa.

Che è successo?”

La fortezza ha resistito, Altair ha fatto scattare la trappola dei tronchi nella torre di vedetta. L'esercito di Roberto è in rotta.” Si interruppe, come per ricordare qualcosa di importante. “Dimenticavo di dirti che tuo fratello è morto. Roberto lo teneva come ostaggio, ma appena ha visto che non gli serviva l'ha trapassato da parte a parte.”

Vattene.” Gli disse.

Era pronto a quell'eventualità. In cuor suo Kadar era già morto, ma la ragione non voleva accettarlo. Si cullava dell'illusione che fosse ancora vivo, dopotutto non l'aveva visto morire. Si sentiva giustificato da questo. Ora però era diverso. Il suo confratello non aveva motivo alcuno di mentirgli. Suo fratello era morto. Le lacrime presero a scorrergli, calde come un fiume infuocato. Fu un pianto silenzioso, uno di quelli che ti taglia l'anima in due. Dopo un intervallo di tempo che gli parve interminabile il maestro tornò.

Mi dispiace per tuo fratello. Non perderò tempo, Altair, nonostante tutto, ha fatto la sua parte. Per redimersi dovrà uccidere alcune persone sparse per la Terra Santa. Tu diventerai il rafiq di Gerusalemme, tanto senza un braccio non saresti buono per combattere. Parti domani.” Detto ciò scomparve. Come era arrivato.

Malik si sentì male. Trattato come una bambola rotta. Come un giocattolo che si butta appena non funziona più. E quello che pungeva era che il maestro aveva ancora buone parole per Altair. Ciò lo sconvolse. Per colpa sua, della sua incompetenza aveva perso un fratello e un braccio. Il Futuro.

Tutto ciò che gli rimaneva era la rabbia, l'odio. Indirizzati verso un unico bersaglio: Altair. Un sentimento cieco, irragionato. Gli caddero altre lacrime, ma queste erano lacrime di rabbia, di frustrazione.

Con quest'unica mano che mi rimane io ti strapperò il cuore, lurido figlio d'un cane. Lo giuro.

Fine (?)



Dedicato a Martina

domenica 20 maggio 2012

Un Braccio, un Fratello, la Rabbia

Un Braccio, un Fratello, la Rabbia

Colonna Sonora: Moonshield – In Flames (2001)

01 - Nel Tempio

Altair venne spinto fuori dalla sala. Un rumore di pietre e detriti. Un grido umano proveniente dall'altro capo della sala, perchè sembra il grido di un'aquila?

Malik era scioccato, quello stolto aveva mandato tutto all'aria nell'arco di pochi secondi, tutto il lavoro di una giornata per il suo stupido ego, per la sua voglia di esporsi, di farsi vedere. Perchè lui era il pupillo di Al Mualim, il migliore assassino della Terra Santa. E il suo volo l'ha dimostrato, un volo a regola d'arte.

Figlio d'una gran puttana!”

Disse tra i denti. Provò l'impulso di rompersi i denti digrignandoli. Una scarica di rabbia genuina lo offuscò. Ma non se ne fece sopraffare: l'istinto, i sentimenti non portavano a nulla. Erano solo zavorra che premeva sulle spalle degli uomini. Le persone dovevano liberarsi di questi pesi, secondo Malik. E ovviamente valeva per gli assassini, soprattutto per loro. La loro zavorra doveva essere vuota allo scopo di poter esssere riempita d'obbedienza, di abilità, di volontà di morte. Quest'ultima sopratutto, perchè quando il maestro ti invitava a massacrare qualcuno tu dovevi sforzarti a trovare un motivo per farlo fuori, perchè sennò era difficile. Ecco il perchè di alcuni dei fallimenti della Confraternita.

Così la donna condannata diventava una puttana rognosa, l'uomo troppo grasso il maiale schifoso, il semplice sovrano diventa tiranno ecc. E' così, l'assassino ha bisogno di trovare dei motivi per uccidere quello che aveva davanti. Non c'era altro modo, o almeno così pensava Malik. Comunque sia non si sforzò troppo di trovare scuse per odiare quell'uomo. Non s'era fatto ammazzare da quel cretino di Altair, per lui era abbastanza. Cercò di dominare il panico.

Sfoderò la spada che aveva al fianco. Udì e si beò del rumore metallico. Quanto amava quel suono. Lo amava più dello scatto della lama celata.

Si mise in guardia senza una parola. Si accorse che sei templari lo avevano circondato. Roberto parlava concitato con un settimo templare. C'era rumore di spade, si girò verso il suono metallico. Suo fratello stava combattendo contro quattro cavalieri. Era ferito al fianco e perdeva sangue.

Malik si lanciò al templare che aveva di fronte. Lo trafisse al cuore e si girò subito. In tempo per parare un affondo, deviò la lama e contrattacco con un fendente ascendente. Dal fianco destro alla spalla sinistra, sopra il braccio. La cotta di maglia non resse e sprizzò sangue dalla ferita. Macchiò il vestito candido dell'assassino.

L'odore di sangue toccò le narici del guerriero.

Si lanciò su quello alla sua destra, il cavaliere parò. Nel frattempo quello che aveva alle spalle tentò di affondare la spada nel suo costato ma Malik danzò. Si ritrovò così alla sinistra di chi lo aveva appena attaccato, uno schivata da manuale. Lo aprì in due come un maiale squartato. Ne rimanevano ancora tre. Si girò d'istinto: suo fratello era messo male, anche se due cadaveri giacevano ai suoi piedi. Sanguinava da più punti e aveva cominciato ad ansimare, lui poteva sentirlo.

Malik, sempre stando in guardia, provò ad avvicinarsi al fratello, per dargli manforte. Mancavano pochi metri, senza pensarci si lanciò sul cavaliere che stava per colpire Kadar alle spalle, lo uccise sul colpo ma calcolò male i tempi. Nel girarsi provò a difendersi da un altro attaccante ma perse la spada.

Il maestro di spada di Masyaf glielo diceva sempre, gli pareva di sentirlo... Se sei circondato e ti lanci su quello davanti a te attaccalo sul lato in modo da poterti così girare subito... Nella foga della battaglia l'aveva dimenticato, era ancora un novellino. Scoccò un'occhiata ricambiata al fratello, tacita intesa.

Si lanciò in avanti a placcare l'altro avversario vicino, caddero a terra. Poi si udì uno scatto metallico e dalla gola del cavaliere fuoriuscì un fiotto di sangue caldo. Ritrasse la lama celata e sfoderò la lama corta che aveva alle spalle. Il fratello stava incrociando la spada con un altro templare. Erano tre contro due.

Malik si gettò contro quello più lontano con la lama corta. Mirò alla gola, ma l'altro parò. Seguì uno spruzzo di scintille. L'assassino, con la mano sinistra, “schiaffeggiò” la mano della spada dell'avversario e, avendo via libera, sgozzò il cavaliere. Cadde senza un lamento. Senza perdere tempo si gettò sull'altro. Le lame danzarono. Questo era uno spadaccino provetto, lo ferì al braccio destro; non era una ferita profonda e riuscì a contrattaccare con la lama corta. Affondo dritto al cuore.

Si girò in tempo per vedere il fratello a terra e il templare pronto a finirlo. Lanciò un coltello, poi un altro e infine un altro ancora. Anche l'ultimo era andato.

Svelti, dobbiamo levare le tende!” Era la voce di Roberto

Aveva in mano lo strano oggetto dorato. E alla sua destra il cavaliere che aveva visto prima, con la spada sguainata. Malik si gettò sul cavaliere e il fratello su Roberto, lo fecero all'unisono. Malik venne disarmato in un attimo e subì un taglio sopra l'arcata sopracigliare nel tentativo di schivare. Tuttavia riuscì a pugnalare l'altro con la lama celata. Si girò: Kadar era a terra con una ferita profonda, Roberto, con la spada in una mano e l'oggetto nell'altra, era sopra di lui. Malik si alzò.

Roberto lo vide lanciarsi contro di lui e colpì con la spada, rapido come un serpente. La sua spalla sinistra sembrò quasi esplodere. Il sangue fuoriusciva copioso. Urlò con quato fiato aveva nei polmoni. Roberto era troppo forte per lui. Fortunatamente però aveva lasciato cadere l'oggetto, l'assassino si buttò per terra a prenderlo. Lo teneva con la mano destra, tremava tutto. La voce di Roberto tuonò.

Dammi la Mela o il tuo amico va a finire all'altro mondo!” Puntò la spada alla gola di Kadar.

La mela? Perchè lo chiamava la mela? Cosa doveva fare? Provare a salvare il fratello o portare la mela in salvo? Di certo non poteva fare entrambe le cose... E cosa gli assicurava che lasciando la mela Kadar sarebbe stato salvo? Roberto era troppo bravo con la spada, li avrebbe quasi sicuramente uccisi entrambi.

Come risposta alle sue domande sentì un nuovo rumore di pietre e detriti, come prima. Malik pensò ai propri confratello arrivati in aiuto, chiamati da Altair. Tuttavia una volte che il passaggio fu aperto arrivarono altri templari, armati fino ai denti.

Maledisse di nuovo Altair fra i denti e imboccò la strada che aveva preso per arrivare poco tempo prima. Sembra passata un'eternità... Si scoprì a pensare.

Mentre usciva dalla sala pianse un'unica lacrima per il fratello.

domenica 13 maggio 2012

Una Ragione per Morire - 03

Una Ragione per Morire

Colonna Sonora: Faceless – Whispered (2010)



Mi risvegliai dopo non so quanto tempo in un luogo che non riconoscevo.

L'unica cosa che pensavo di riconoscere era l'immane puzza che sentivo. Un odore che non saprei ben classificare o nominare. Tuttavia davvero schifoso. Mi ricordò la puzza che sentii quando vidi un cane in putrefazione quando avevo dodici anni. Capirete che fu uno shock quando scoprii che la puzza veniva dalla mia ferita. Quella causata dalla pallottola sparata da un moschetto. Bene io so che noi, e ripeto noi, abbiamo moschetti e finora gli altri non ne hanno usati quindi ero un po' spaventato quando chiesi al dottore cosa fosse successo.

Il dottore, lo stesso di Kiku (che nel frattempo era morto), mi disse che un archibugiere, in preda al panico, mi aveva sparato. Un archibugiere giapponese. Era appena l'alba e non si vedeva bene, tutte le persone sembravano ombre indistinte (aveva detto) e, pensando che io fossi un nemico, mi aveva sparato con quel suo bel giocattolo. Mi venne da ridere e provai subito un moto d'ira incontrollato e febbrile. Presi fiato e feci altre domande al cerusico.

<< Da quanto tempo sono qui? >>

<< Cinque giorni e questa notte. >>

<< E mi sono svegliato solo ora... >>

<< Si ti abbiamo lasciato dormire. Respiravi, quindi eri vivo. >>

<< Ci sono stati altri assalti? >>

<< Altri due... Li abbiamo sbaragliati. Sono impreparati, paurosi e chissà cos'altro... Il capo ha detto che, tempo un mese, e la Corea sarà nostra. >>

<< Dimmi... Perchè siamo qui? >>

<< Perchè così ci hanno ordinato. >>

L'ultima domanda mi era uscita quasi spontanea. Senza pensarci. Fu la spia di un pensiero che cominciava a crearsi nella mia mente. E se quello che facciamo fosse sbagliato?

Siamo qui, lontani da casa e dalla famiglia (io non ho entrambe!), a combattere per un signore che non abbiamo mai visto. A morire per lui. Vincolati da un fottuto codice d'onore che non ha senso... Bushido. La via del guerriero. Si dice che un samurai deve compiere ogni decisione nell'arco di sette respiri. Io partorii tutte quelle idee usandone solo quattro. E usai gli ultimi tre per decidere.



[…]



Una nuova battaglia. La mia prima dopo la convalescenza.

La decisione presa... Non ero molto convinto di quello che facevo. Perciò rimasi. Ero andato in battaglia armato solo della spada. Forse avevo deciso di morire, forse no... Comunque sia era un dato di fatto. Per un guerriero la sua migliore amica è la morte.

C'è chi muore restando vivo e chi, morendo, acquista vita. Questa è l'unica cosa che mi era rimasta in testa da dieci minuti a questa parte. L'avevo letta in un libro cinese* quando ero più piccolo ed ero solo uno studente. Era vero.

Volevo morire in quella battaglia. Un altro pensiero nato in sette respiri? No, ci avevo messo un giorno intero, quindi forse era da scartare. Eppure non avevo voglia di fare altro.

Ho solo voglia di morire.

Non avevo nessuno in patria, non avevo nessuno qui. Qualcuno avrebbe pianto la mia scomparsa? Qualcuno mi avrebbe ricordato? Qualcun'altro si sarebbe incazzato?

Sono preda di una cosa senza senso, voglio uscire e lo farò morendo. Ho vissuto una vita grama e me ne vado così... Cercando una morte onorevole o qualcosa di simile. Nient'altro che un feticcio, ma mi basta anche un feticcio se posso amarlo.

Il capo lanciò il grido di guerra e sfoderai la spada. Ero tranquillo. Mi gettai nella mischia senza pensare. Questo lo feci nell'arco di cinque respiri.



Fine



Qualche nota: mi dispiace se ho concluso in modo così affrettato questa fic. Avevo in mente un progetto ben più vasto e serio, ma non ne ho la voglia. Avrete notato che scrivo solo one-shot, appunto perchè non ho voglia di continuare quello che ho in testa. Ogni giorno io ho nuove idee che rimpiazzano le vecchie e la mia pigrizia non mi permette di scrivere altro. Quell'asterisco sopra libro cinese è una cazzata che ho scritto così. In realtà quella frase l'ho presa IO dal libro “Musashi” di Eiji Yoshikawa (l'opera che ha ispirato Vagabond, ma il manga è una cagata), ovviamente scritto dopo la guerra in Corea. Ogni cosa che scrivo è un omaggio a qualcosa (spesso evidente a me solo), ma ho voluto omaggiare apertamente questa grandissima opera. Consiglio di leggerla a chiunque si definisca un lettore. Smettetela di comprare cazzate e leggete questo.

Per chi non l'avesse capito Itto Saburo è omonimo dell'assassino che compare anche nella mia fic “La Tomba dell'Assassino”. Ho voluto creare una sorta di collegamento tra le due storie, così perchè mi andava. Chi vuole può vederci lo stesso personaggio (dato che la fine non è chiara di proposito). Il detto dei sette respiri è vero, preso dall'Hagakure (leggetevi anche questo).

Un ringraziamento particolare alla musica Metal che è la mia musa ispiratrice. In culo a tutto il resto, spero vi sia piaciuta.

domenica 6 maggio 2012

Una Ragione per Morire - 02

Una Ragione per Morire

Colonna Sonora: Operation Ground and Pound – Dragonforce (2006)



L'impatto con la prima linea nemica è sempre traumatico. In tutti i sensi.

L'allarme era suonato mentre sonnecchiavo qualcosa che nemmeno ricordo. La sentinella aveva cominciato a battere con un martello un paletto di legno facendo un rumore assordante. Era terrificante. Mi svegliai di soprassalto urlando. Non era la prima volta che capitava, ma non mi abituavo mai. E come ogni volta, appena sveglio, avevo voglia solo di vomitare. Fortunatamente avevo addosso l'armatura, perciò dovetti solo allacciarmi la spada al fianco e prendere una lancia dalla rastrelliera. Allacciai anche l'elmo.

Non riuscivamo a capire come era successo. Finora quei bastardi non avevano fatto altro che subire la nostra offensiva, perciò non ci aspettavamo proprio questo contrattacco. Forse volevano rispedirci in mare, letteralmente. Ma avremmo venduto cara la pelle. Noi siamo discendenti della dea Amaterasu, siamo praticamente dei noi stessi. Ora non ricordo bene la genealogia ma so perfettamente che è così. Senza neanche metterci in formazione o che altro ci gettammo sui primi nemici che vedevamo. Mentalmente invocai Hachiman, il dio della Guerra, affinchè mi desse forza e magari non mi facesse crepare. Non mi va di morire giovane, proprio no. Impugnando la lancia a due mani gettai un Kiai furioso e urtai il primo cinese che incontrai gettandolo lungo disteso. L'avevo preso di spalla perciò era solo intontito ma, una volta a terra, lo infilzai come un pesce usando la lancia. Poi passai oltre.

Muovendomi cominciai a sentire qualche sparo. Cominciai a sorridere. A occhio e croce ci superavano con un rapporto due a uno. Bah, sono solo il doppio... E a parte l'elemento sorpresa (che ormai era svanito) non avevano nulla. Venni aggredito da un coreano armato di lancia e cominciammo a incalzarci a vicenda con le nostre lame. Il suo stile era diverso dal mio, non faceva altro che farla roteare mentre il fiocco legato all'estremità volteggiava (forse per confondermi). Io provavo a muoverla il meno possibile per non sprecare energie. Lo trafissi appena abbassò la guardia. Poi mi ritrovai davanti uno spadaccino singolare. Si muoveva come l'altro facendo anche qualche capriola. Aveva una spada dritta a due lame e nessun'altra arma. Posai la lancia a terra e sfoderai la spada. Volevo provare il suo stile. Era imprevedibile e mi ritrovai colpito in più punti, ma l'armatura attutì bene i colpi. Poi capii il tempismo e al colpo successivo contrattaccai col dorso della lama facendogli volare la lama. Provò a colpirmi coi piedi. Fottuti cinesi, non stanno mai fermi. Accusai il colpo ma riuscii comunque a fendergli al giugulare con la spada. Il sangue zampillava come una fontana. Ripresi la lancia appena in tempo per vedere un nuovo soldato bersagliarmi con una spada ricurva.

Contrattaccai il suo colpo con l'impugnatura e lo colpii con l'estremità senza lama, cadde lungo riverso. Poi mi accorsi di una cosa: mi stavano venendo incontro altri due guerrieri armati di spada e scudo. Uno lo intercettai con la lancia. L'asta gli entrò per un buon terzo nella gola, penso che morì sul colpo. Sfoderai la spada, finii quello che era per terra e, impugnandola a due mani, mi concentrai sul nuovo arrivato. Comcinciò un furioso scambio. Non era granchè bravo, ma quel suo scudo era una vera spina nel fianco. Non ho mai capito perchè non li usiamo anche noi quei cazzo di scudi... Fintai un affondo alla gola per dirigermi alla sua sinistra, colpii di piatto il suo scudo spostandoglielo. Ecco l'angolo morto che aspettavo, poi lo trafissi al cuore. Lo colpii con un calcio liberando la lama. Poi non capii più nulla per un po'. Mi ritrovai a terra con frammenti di elmo (il mio elmo!) a terra e un grosso mal di testa. Davanti a me c'era un gigante armato di mazza ferrata, doveva essere alto almeno sei shaku. [N.d.A 1 Shaku = 30 centimetri]

Per i primi dieci secondi non feci altro che parare i suoi colpi conscio del fatto che prima o poi mi sarei trovato con un moncone d'acciaio. L'ultimo colpo me la buttò via di mano facendola volare più in là. D'istinto gli lanciai la spada corta, parò con la mazza. Ridendo disse qualcosa nella sua lingua prima di caricare un colpo discendente. Mentalmente invocai ancora Hachiman e mi sforzai di rimanere lucido. Ero disarmato, un colosso voleva farmi la pelle. Di colpo ricordai le lezioni di jujitsu che imparai tempo addietro. Di norma si applicava a persone armate di spada ma pensavo di poter provare con questo tizio. Sempre meglio che morire... Quando il colpo arrivò tentai di intercettare il suo polso ma calcolai male i tempi e mi colpì con la mazza la mano destra, sentii un sonoro crack e soffocai l'urlo. Da quella posizione potei comunque afferrare il braccio con la mano intera e proiettarlo a terra usando l'anca e la forza del suo stesso colpo. Una volta a terra agganciai le mia gambe sul suo collo spingendo la sua testa nella stessa direzione. Lo mantenni in questa posizione per diverso tempo finchè non smise di lottare. Penso morì così, per un semplice strangolamento. Mi alzai imprecando contro qualunque cosa vedessi e presi la spada con la mano sinistra.

Ormai sono inutile. Non sono mancino e usare la katana, che per definizione si usa a due mani, solo con una mano (per di più quella non dominante) era una follia, ma ero pronto a vender cara la pelle. Riuscii a raggiungere un arciere nemico alle spalle e a trafiggerlo. Mirai al cuore e colpii la pancia. Merda! Riuscì a percuotermi con l'arco sulla tempia. Caddi a terra intontito mentre quello si dibatteva cercando di togliersi la spada dal corpo. Provai ad alzarmi.

Ma non finiscono mai... I morti delle loro fila erano parecchi, ma ancora continuavano come se non fosse successo nulla.

Barcollavo. Ero disarmato, con una mano rotta e stanco morto. Forse cercavo la scusa per morire. Quando pensai questo che una pallottola mi colpì il braccio sinistro, spappolandomelo. Hanno fucili anche loro? Fu l'ultimo pensiero che mi balenò in testa prima che diventasse tutto buio.

[...]