venerdì 29 marzo 2013

Chiaro di Luna

giuseppe 6

Chiaro di Luna

Ove c'è raziocinio c'è scelta, ove c'è scelta c'è libertà. […] La libertà, prima di un diritto, è un dovere.”

    - Oriana Fallaci



Pugnali mi pungono sulle mie gambe e mi bruciano come se fossero arroventati. Anche se in realtà sono freddissimi. Sono con l'acqua sui fianchi ormai da qualche minuto e sento già che c'è qualche problema nella parte bassa del corpo. Forse sto perdendo la sensibilità ai piedi. Ma sono inspiegabilmente felice. Sono nel mio luogo preferito, il laghetto di casa mia. Ricordo ancora la prima volta che sono venuto qui, forse avevo cinque anni e lo scoprii per caso, giocando a nascondino. E' proprio vero che le cose migliori si scoprono per caso, forse proprio perché non abbiamo alcun potere in questo processo. Personalmente è una cosa che detesto. Essere in balia di qualcosa che non capisco mi da un fastidio assurdo. Quasi come se vivere non avesse alcun senso. Ma oggi sto per ribaltare questo meccanismo maledetto, oggi sto per prendere concretamente in mano la mia libertà. Se esiste il fato,e penso di no, oggi lo sconfiggerò. Questa decisione, come tutte quelle della mia vita, è nata dopo un travaglio lunghissimo, un parto in ritardo. E ora me lo sto gustando come poche cose. La luna piena mi saluta, riflessa nell'acqua e penso. Alla mia vita.

Non ricordo molto della mai infanzia, ma so per certo che sono nato in una famigliola di campagna. Il classico gruppo familiare che vive con poco e che passa il suo tempo a coltivare, a spaccarsi la schiena- Il tipo di persone che ama veder crescere la terra. La maggior parte delle persone, quando guarda qualcosa, non pensa al lavoro che c'è dietro o a quante schiene spaccate ci sono volute per produrlo. Pensano che magari è nocivo per la dieta o che fa ingrassare. La reazione tipica delle persone insignificanti. Beh, essendo nato in questa famiglia, sono sicuro di poter dire che non sono una persona insignificante. So cos'è il duro lavoro e so che per amare le cose devi sudare per averle. Ma questa è retorica. Sono figlio unico e la mia famiglia, sin da sempre, ha sempre fatto di tutto per cercare di cacciarmi via da loro. Lì ero perduto, secondo i miei genitori. Dovrei ringraziarli e per il primo periodo l'ho fatto. L'idea di essere considerato un pezzente dai miei amici mi dava un leggero fastidio, ma è durato poco. Alla fine ho capito il mio sbaglio. E si sa: chi non si accetta non merita di essere quello che è.

L'acqua è talmente pulita che mi ci posso specchiare perfettamente. Non ha un solo moto e non so come possa esistere un lago così pulito in questo paese. Sarà perché è piccolo o perché la gente ha perso il gusto dell'esplorazione. In realtà non sono mai stato un fanatico della campagna o degli spazi aperti, li considero solo un poco più suggestivi del solito. E di certo non ci vuole molto per essere più evocativi di una panchina. E' solo il meno peggio. Non mi è mai andato bene nulla, lo capisco da solo. Un giorno un anziano disse: Dio ci ha fatti invecchiare per trovare difetti in tutto ciò che ha creato. E io, nonostante tutto, mi sento davvero vecchio dentro. Non riesco a spiegarmelo ma è l'unica cosa che mi viene da pensare. Non ho più entusiasmo e mi sento vuoto. Ho sempre visto le persone come dei vettori, come dei segmenti orientati verso qualcosa: un obiettivo, un sogno o qualcos'altro. Bene, mi sento una linea. E una linea senza verso non va da nessuna parte. E che senso ha vivere senza scopo?

I miei mi hanno sempre pagato tutti gli studi, fino all'ultimo centesimo, anche se questo ha causato loro qualche scocciatura di troppo e anche senza chiedermelo. Hanno sempre deciso tutto loro. Anzi, hanno deciso tutto cercando di farmi capire che in realtà ero io a scegliere. “Vai al liceo, ma sceglilo tu!” era la frase tipica. Nessuno mi ha mai chiesto niente ma ho accettato perché una linea senza orientamento cerca di andare in tutte le direzioni più vicine a lui. Meglio quello che il nulla. Sono sempre stato brillante, per tutti ero un secchione atipico. Troppo inespressivo per essere un secchione, troppo ameba per essere un tizio normale o un figo o qualche altra categoria creata da ragazzini per sopperire a qualcos'altro. Ero sicuro che avrei trovato la mia strada provando tutto ciò che potevo, anche quello che non sceglievo. Amavo la filosofia, anche se nei primi la chiamavo “l'arte di dire cose ovvie usando parole difficili”. La consideravo il modo migliore per indagare in se stessi e io sentivo di averne bisogno. Era l'unica cosa che facevo con piacere.

E ovviamente nessuno era contento, era la materia dei perdigiorno e delle seghe mentali. Delle persone che blaterano di concezioni cosmologiche perdendo di vista la realtà concreta. I miei non erano contenti, non volevano un figlio fanfarone e alla fine del liceo dissero che non era una buona idea iscrivermi a lettere. “Non ci mangerai con Aristotele.” La scelta ideale era qualcosa di socialmente utile, qualcosa che non volevo. La solita roba, ma l'ho comunque accettato. Cominciavo a pensare di odiarli ma d'altro canto mi sembrava di farmi del male. Loro sapevano, io no. Era questo l'andazzo. A questo proposito mi vengono in mente i catari, “eresia” che avevamo preso in considerazione nell'unica lezione di religione utile della mia vita. La loro massima di vita era “la libertà era l'incapacità di fare il male”. E' una cosa che non ho mai capito. Sembrava una limitazione, ma nella loro concezione aveva senso. L'ideale cataro era che Dio era capace di fare solo del bene e per essere liberi, quindi vicini a Dio, non si poteva fare altro che evitare sempre il male. C'è una logica di fondo in tutto ciò, ma non la condivido minimamente.

In quella lezione di religione ricordo che la prima cosa che pensai era “li odio”. Odiavo il loro modo d'essere. Non mangiavano carne perché considerata impura, erano quasi del tutto casti, sempre sorridenti e pronti ad aiutare. Andava tutto bene. E non c'era niente che odiassi di più. La purezza, la perfezione. Proprio come mi vorrebbero i miei. Mi vorrebbero limpido come le acque di questo laghetto, ma io desidero l'inquinamento dell'anima. Qualcuno disse: io odio la purezza e odio la bontà, detesto la virtù, non voglio che esista, voglio che tutto sia corrotto. Forse l'ha detto perché, come me, era nauseato da tutto questo buonismo, l'idea di voler diventare a tutti i costi perfetti ed importanti. Esattamente come i miei che volevano proiettare in me la loro impotenza, ma io avevo bisogno d'altro. Non dovrei fargliene una colpa, a modo loro volevano solo il mio vantaggio ma non potevo fare a meno di essere irriconoscente. Quasi sicuramente è un problema mio, ma sono davvero stanco e ho preso la prima decisione della mia vita.

E ho scelto questo posto, il posto in cui sento di essere nato. Come un ideale salmone che spesso muore nello stesso posto in cui nasce. Se non altro sarà facile, non so nuotare e sono abbastanza lontano perché nessuno mi senta. E come ultima soddisfazione infangherò col mio sangue questo bel laghetto, che per tutta la vita ho amato. Forse lo faccio per capriccio o per insoddisfazione. Se lo chiedeste a me vi risponderei con parole altisonanti, ma l'unica cosa certa che so è che solo adesso, in procinto di tirare le cuoia, mi sento un vero essere umano. E vado avanti, verso il largo. E prima che l'acqua mi arrivi alla gola e che la vista mi offuschi vedo, soddisfatto, una piccola nuvola offuscare lentamente la luna.

martedì 12 marzo 2013

Ponti.

giuseppe 3

Ponti.

Domanda: l'attesa del piacere è essa stessa piacere?

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Se la tua vita fosse paragonabile ad un barattolo il tuo sarebbe pieno solo per un terzo. Ponendo che un evento importante sia una grande pietra e che un evento ordinario o insignificante sia una piccola, il tuo terzo di spazio sarebbe occupato da sabbia finissima. Hai deciso di riempirlo con sabbia finissima perché sai che i chicchi di sabbia non possono rompere il tuo vetro, mentre una pietra, cadendo, potrebbe mandare in frantumi la tua vita. L'hai fatto fino ad adesso perché in realtà hai provato con le pietre, ma quell'unica che hai messo ti ha costretto a cambiare barattolo dato che l'aveva frantumato in mille pezzetti. Allora ne hai comprato un altro e ci hai messo tutta al sabbia che c'era prima, ma senza metterci la pietra perché sarebbe come negarla e tu ne hai un disperato bisogno. Ora, dopo tanto tempo hai deciso di riprovarci puntando sul fatto che il tuo vetro è stato rinforzato, o almeno così credi. Eri stufo di quella distesa piatta di pietrisco, ci volevi una bella duna o una collinetta rocciosa. Così hai gettato un altro sasso. Avrebbe mandato in pezzi il tuo barattolo? O le piccole pietre ne avrebbero attutito la caduta? Sapevi cosa sarebbe potuto succedere, ma il saperlo ti rendeva pronto?

Come tutti le cose importanti era successo per caso, magari un caso premeditato, dato che odi lasciare alcunché al caso. Tutto ciò derivava dalla tua assoluta sfiducia negli altri e nell'altro. L'altro era imprevedibile, non potevi controllarlo e, dunque, perché affidarsi a qualcosa del genere? Quando arrivava un problema ti sbattevi a destra e a sinistra per risolverlo da solo, magari chiedevi aiuto, ma eri tu a chiederlo. Non stavi ad aspettarlo. Mai essere passivi, meglio essere troppo attivi piuttosto. E poi ovviamente vedevi la solita fighetta che non faceva un cazzo e dal cielo le cadeva la risposta assoluta ai problemi dell'umanità. Ne conoscevi tanti: avevano fiducia nel futuro, li chiami ottimisti. Avevano fiducia perché capitava loro spesso, si trattava quindi di fortuna? Non avevi la risposta ma avresti scommesso i tuoi coglioni che loro l'avevano. E ti incazzavi. Poi hai scoperto, per caso appunto, un tuo oggetto del desiderio si sentiva sola e insicura e che cercava braccia calde. Ci hai scambiato due chiacchiere. Letteralmente. Tanto lei era una macchinetta e, anche ammesso che avessi voluto interromperla, non avevi voglia di dire nulla. Sei un fanatico dell'ascoltare. Una dote rara di questi tempi. Dieci minuti e due birre dopo l'inizio eri riuscito a tirarle un appuntamento. Anzi a dirla tutta, aveva fatto tutto lei, ma una volta tanto nella vita l'ultima parola era tua. E hai risposto con un si decisamente deciso.

Con tutto questo macello in testa sei uscito di casa, diretto al ponte di legno: il luogo prefissato. L'aveva deciso lei e tu avevi detto di si perché, pur avendolo vicino, non avevi trovato occasione per attraversarlo o non avevi motivo di farlo. Ti piacevano le novità. Poi, a detta di lei, sembrava un posto decisamente appropriato. Evocativo, ma non romantico. Romantico è tutto ciò che tu decidi che lo sia ed è una delle dirette conseguenze di evocativo. Si, era proprio un bel posto. Era discretamente lungo, forse duecento o trecento metri e non riuscivi a vedere dove finiva, forse a causa della nebbia che era appena scesa. Ma tu eri contento. Ti sei seduto su un bordo e ti sei concentrato sull'acqua pulita che si trovava sotto di te. Vedevi qualche pesce, ti ci specchiavi. Mancava poco più di mezz'ora all'appuntamento ma a te piace essere in anticipo (magari anche l'altro lo era...) e poi non avevi nulla da fare. Nulla di più importante almeno. Ti sei seduto pensando e fantasticando. Hai alzato gli occhi e hai visto che, nonostante la nebbia, il cielo sembrava davvero più azzurro del solito. Ti sei accorto che poco più in là c'era un nonnetto che pescava mentre fumava la pipa, seduto su una sedia pieghevole. Questa visione semplice ti ha riscaldato il cuore e hai abbozzato un sorriso al nulla.

C'erano anche gabbiani, quel pomeriggio e cantavano gioiosamente. Volevi nuotare in quella splendida acqua, poi ti sei messo a pensare a lei e a che vestito poteva mettere, hai scommesso con te stesso sui suoi capelli. Poi hai preso le cuffie e hai ascoltato un po' di musica, di quella che piace a te. La visione intorno a te sembrava ondularsi come se seguisse la melodia che solo tu ascoltavi e tu hai pensato che non vedere prima quel ponte prima era stato un grave errore, uno dei tanti. Ti sei girato verso l'altra sponda e hai notato che la nebbia stava scomparendo, intravedevi un paesaggio piacevole, forse c'era una collinetta dall'altra parte. Poi hai acceso una sigaretta, finendola con pochi tiri. Pieno di buon umore l'hai spenta sul ponte e l'hai messa in tasca. Il momento si avvicinava mentre il tuo battito cardiaco aumentava lentamente, andavano di pari passo. Il vecchio tira la lenza e appare un pesce, sei tentato di fargli i complimenti ma non ti va di esporti troppo. Poi dai un'occhiata all'ora e noti che era il momento X da almeno due minuti. Tachicardia. Lei poteva essere qui da un momento all'altro. Era sempre così quando aspettavi qualcosa, quando arrivava il momento ti emozionavi perché l'avevi aspettato tanto. Tutto continuava a girare.

Ti sei tolto le cuffie e ti sei alzato in piedi, volevi essere pronto e hai cominciato a passeggiare avanti e indietro. Passano dieci minuti e cominci ad aggrottare le sopracciglia, noti che la nebbia sta calando di nuovo e improvvisamente il cielo non ti sembra poi così bello. Il vecchio brontola la mancanza di pesce. Poi passa mezz'ora. Ti eri già seduto di nuovo sul ponte e il nonnetto se ne era andato bestemmiando qualcosa. L'acqua sembrava leggermente mossa e torbida. L'altra sponda non si vedeva. Tutto si stava sgretolando lentamente e così ti sei rimesso le cuffie. Le nuvole si addensavano, prometteva pioggia. Poi, dopo un tempo interminabile hai scorto una figura, ti sei alzato. Di nuovo in tachicardia le sei andato incontro. << Sono in ritardo, scusa ma... >> dice. << Ma dai. >> rispondi. << In realtà avrei dovuto avvisarti, sto andando da una mia amica ad aiutarla con gli esami ma non avevo soldi al cellulare e poi... >> << Non disturbarti una seconda volta. >> Non volevi sapere nient'altro, ti sei rimesso le cuffie al volume massimo e te ne sei andato senza un'altra parola. Stava per iniziare a piovere. Sei tornato indietro senza voler guardare cosa c'era dall'altra parte. Appena hai messo piede fuori dalla costruzione ha iniziato a piovere. L'altra sponda, come la ragazza, non la vedrai più, ti dici. Questa volta il sasso era addirittura caduto fuori dal tuo barattolo, rischiando di romperlo. In realtà l'ha solo sfiorato.

E mentre te ne vai pensi che questa è l'ultima volta che ti imbarcherai in imprese simili. L'ultima volta. E questa è la millesima volta che te lo dici. Numero più, numero meno. E ti viene in mente un pensiero, come ogni volta che fallisci: che esista forse il destino? E che quindi il mio sia fallire all'infinito? Poi ti scuoti e ti dici che sono stronzate. Che se esistesse davvero una roba simile ti saresti già suicidato. Sputi per terra e, non sapendo che fare, ti metti a ridacchiare. Hai scoperto di esserti portato dietro l'ombrello.

**

Risposta: dipende.