lunedì 31 agosto 2015

Scarecrown, Parte Quinta - Un Tizio Simpatico

Scarecrown, Parte Quinta – Un Tizio Simpatico



Noi dobbiamo abbracciare il dolore e bruciarlo come combustibile per il nostro viaggio.”

    - Kenji Miyazawa



Prese in mano i tre volumi da terra e li mise al loro posto, sulla mensola. Rimase a guardarli per cinque minuti, poi si decise a girarsi e ad andare al pianoforte. Era tutto il giorno (e tutta la settimana) che pianificava quell'ora di composizione. Si sedette sullo sgabello del pianoforte con le mani pesanti e il cuore agitato. Sentì dei rumori ma non ci badò. Mise il dito su un Do, Rachmaninov lo osservava con una faccia severa. Aveva attaccato quella foto molti anni prima sulla parte di muro sopra il piano come fonte di ispirazione, ma non poteva fare a meno di sentirsi inquieto al suo cospetto. Era una notte di luna piena ma la sua casa era labirintica e piena di anfratti oscuri. Mise sul leggio un pentagramma vergine e prese una matita, mettendosela in bocca. L'espressione del maestro si era forse mossa? Le tende del balcone avevano avuto un fremito? Con questi quesiti in testa iniziò a suonare.

Le dita gli tremavano. Si maledì per aver finito le birre dato che un po' di alcol lo avrebbero aiutato ad affrontare la situazione. Dopo pochi minuti la casa gli diede tregua e trovò la concentrazione. Suonava e scriveva, e pensava. Poi sentì un altro rumore, come di legno. Subito dopo dal bagno sentì dell'acqua ribollire e decise di andare a controllare. Ovviamente nulla era fuori posto e decise di svuotarsi la vescica. Tornando nel soggiorno trovò per terra gli stessi tre libri che aveva sistemato poco prima. E li rimise a posto, poi tornò al piano. La musica nasceva più spontanea ora e rimase seduto per due ore o più. Si scostò i capelli lunghi e corvini dalla faccia, era sudatissimo. Aprì la finestra, la nebbia circondava il suo palazzo. Si appoggiò alla finestra guardando la camera oscura. Poster di pentacoli e demoni cornuti occupavano la stanza.

In libreria libri di occultismo, demonologia e fumetti. Una montagna di vinili vecchi e consumati, molti di essi con titoli volutamente quasi illeggibili. La console sotto la televisione sembrava chiamarlo come un demone femminile libidinoso. Decise di ascoltare della musica e prese un vinile del maestro: la sua casa divenne un'isola abitata da nonmorti; lui era un ramingo in cerca del barcaiolo dell'oltretomba. E mentre ascoltava leggeva resoconti di esperimenti occulti e in cuor suo si credeva come fosse possibile che così tante persone fossero così ossessionate dall'occulto come lui. Con la differenza che la suddetta gente non si fermava sui libri, ma andava oltre. Molto oltre. Così tanto da ricordarselo. Lui si era fermato sui libri e sul cinema, era schifosamente interessato ma aveva paura. Nonostante i lunghi capelli, nonostante la libreria e nonostante i poster alle pareti. Si considerava un tipo divertente.



I quattro esploratori si disposero per affrontare i demoni urlanti nelle catacombe della fortezza. Lo spadaccino orientale in prima linea insieme al selvaggio nordico. Subito dietro il cacciatore di streghe preparava il suo archibugio e prendeva la mira. Ultimo veniva il prete, che salmodiava parole con un libro sacro in mano. E furono scintille, sangue, fulmini e odio, un mare di odio urlante e sconsiderato. E i demoni caddero, ma per il gruppo non era finita li. E continuarono ad avanzare. E uccisero innumerevoli nemici... Arrivarono al negromante e combatterono aspramente contro esso stesso e la sua corte di morti assetati. Come si può uccidere qualcosa di già morto? Si chiedevano. Ma continuavano a combattere nonostante uno di loro avesse manifestato chiari segni di follia. Del resto, era inevitabile. Poi-



Spense la console. Il salvataggio automatico era attivo. E si mise nuovamente al piano. Forse poteva proporre qualcosa alle prossime prove col gruppo in cui era appena entrato. Si erano visti solo una volta finora e gli erano sembrati bravi ragazzi. Affamati come lui, ma tutti con seri problemi. Anche se forse lui era l'unico che doveva preoccuparsi di una sedia che scricchiola proprio quando ci passi vicino o a stare attento ogni volta che poggiavi la testa su un cuscino. Stava per decidere che nome dare al componimento quasi finito quando si girò a causa di un rumore. La console era accesa e mostrava il menù principale del gioco. Cercò di mantenere un contegno nonostante dentro volesse solo rendersi invisibile. Spense (ancora) la console. E si sedette, di nuovo. Ma non riuscì a comporre, la sua testa era altrove, in cerca di qualcosa che non sapeva ben definire.

Voleva evadere. Dalla casa, dalla vita, da tutto. E andò alla finestra, la luna appena visibile dietro la nebbia. Fuori sentì dei lupi ululare ed ebbe freddo nonostante fosse agosto. Prese un altro vinile, in copertina vi si vedevano degli orchi marciare verso una torre, il titolo era scritto con un font pieno di lettere aguzze. Combattiamo il male col male, pensò. E provò a convincersene senza risultato. Iniziò a camminare per la stanza. Mise tre libri caduti a terra sulla mensola e cercò di calmarsi. Tra poco sarebbe andato a letto, eppure non ne aveva molta voglia. Il volantino di reclutamento sul tavolo... Si era sentito chiamato da quel pezzo di carta e aveva capito perché appena li aveva visti. Tutti con lo sguardo spento, le membra tarde. Ma in sala prove quello sguardo spento diventava infuocato, le mani si muovevano veloci seguendo sentieri quasi oscuri. C'era del feeling.

Ogni volta che tornavano a casa erano sempre sudati e ancora più arrabbiati di quando avevano iniziato, forse perché avevano finito. La ragazza del chitarrista sembrava l'unica donna ammessa dal momento che c'era sempre e nessuno aveva mai posto il quesito di portarne altre. Era una donna inquietante almeno quanto il suo amico ma aveva il buonsenso di fare la statua e non interrompeva mai. Si ricordava anche che uno di loro, non ricordava chi, gli aveva detto che non sapeva proprio come avessero fatto senza la sua tastiera, prima. Lui sollevò le spalle interrogativo, son cose che capitano. E pensò alla sua vita, alla sua casa sperduta nella periferia e alla sua maledetta, schifosa, dannata paura del buio. Pensò a Batman, che si vestiva in quel modo perché aveva paura dei pipistrelli. Era come un farmaco. Il male lo uccideva e lo fortificava, a turno. Ed era tutto così affascinante. E fu la conclusione.



Mani si unirono sul tavolo, la gente tremava. La donna cieca aprì la bocca, da cui fuoriuscirono vapori verdastri. Le persone ammutolirono, il buio pareva un ospite indesiderato ma indispensabile. Il tavolo iniziò a tremare. Uno trovò un momento per un sorriso, ma durò poco. Le sue mani erano sudate, si sentiva morire lentamente. Si chiese come mai fosse li, perché avesse accettato e perché nessuno aveva ancora avuto la brillante idea di interrompere tutto. Forse era solo lui che voleva farlo e non gli sembrò giusto far finire tutto, decise perciò che doveva andarsene. Ma non riusciva ad alzarsi. Fascino per la distruzione, per l'ottenebramento delle regole. Ma la verità era che si sentiva la biancheria intima pesante. Poi la donna urlò e la sua voce aveva ben poco di umano, lui si alzò di colpo e corse alla porta, mezzo secondo prima di imboccare l'uscita vide qualcosa che non avrebbe mai scordato.



Si scosse. Era seduto sul muro sotto la finestra. Non si era assopito, capì che aveva cambiato stato, anche se era pronto a giurare che non stava dormendo. Come mai si era messo a pensare a quella storia? Era stato molti anni prima e non aveva senso collegarlo con l'oggi e i recenti fenomeni. Ma una mente si aggrappa dove può, del resto quasi sicuramente era essa stessa a fare tutto. Per motivi sconosciuti ai più, ma lui sapeva che in qualche modo era lui a far succedere tutto. E ovviamente quella considerazione lo riempiva di interrogativi immortali. Sapeva solo che si sentiva un estraneo in casa propria. E intanto la finestra si chiuse con un boato nonostante fuori non ci fosse un filo di vento. E d'improvviso gli venne in mente il nome per quello che stava facendo: Lobotomia, perché quei fenomeni, in preda ai quali aveva scritto, gli stavano trapanando il cervello (e l'eventuale anima).

Forse l'avrebbe sottoposta ai suoi amici, forse no. Ma si sentiva soddisfatto. Non l'avrebbe salvato da tutto quello, ma non ignorarla era sempre meglio che fare finta di nulla. Tutto sarebbe continuato indipendentemente da Lobotomia. Ma scrivendola dava a se stesso potere. Un potere che non sapeva definire, ma sempre meglio di niente. Poi, contro ogni previsione, si stese a letto, con le orecchie tese e con la fronte madida di sudore. Sarebbe stata una lunga notte. Tempo dopo sentì un tonfo... Dio come odiava quei tre maledetti libri.



Insomma anche oggi niente male.” disse qualcuno riponendo il proprio strumento.

Già... E era ci tocca tornare a casa, bah...” rispose una figura magra.

Ti capisco.” Disse lui. E l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu una maledizione verso certi tre libri. Si chiamava Ivan.

Eddai, non avrai mica la casa infestata. “ Disse il primo.

No, ma dai.” Rispose Ivan. “Sono io a essere infestato.”

Tutti si concessero una breve risata. Era proprio una persona divertente.

domenica 9 agosto 2015

Racconto Interattivo - La Locanda nella Nebbia

Per leggere andare quì ----->

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 Godetevi anche i commenti sotto :D E vi invito a leggere anche gli altri corti, sono tutti bravissimi.