lunedì 12 novembre 2018

Il Fratello Ritrovato

Il Fratello Ritrovato


Una figura ricoperta di borchie, pelle e coltelli si avvicina ad un tavolo. La sedia, lì vicino, sembra essere stata appena usata, data la posizione. Si siede e si lascia andare ad un sospiro che trapela stanchezza, mentale e fisica. Sul tavolo, nota, vi è un quaderno aperto. La rilegatura è antica e pare scritto a mano, con una penna d'oca. Incuriosito, l'uomo poggia la propria spada, inzuppata di sangue, sul tavolo e va alla prima pagina. Un pensiero comincia a balenargli nella testa, insieme ad un sentore di panico primitivo. Il frontespizio del foglio dice...

Giorno Primo
Cara Angelica,
tengo questo diario perchè qualcosa non va. Voglio dirti cosa mi sta succedendo e perchè non riesco a parlarti. Te lo farò leggere al mio ritorno, invece di narrarti una storia lunghissima che voglio dimenticare. Perchè tornerò da te, lo giuro!
Il primo giorno, quì al Maniero Maynard, è stato strano. In realtà è stato ieri, ma mi sembra passata un'eternità. L'altra cosa strana è che non so assolutamente che giorno sia. Questa mattina mi sono svegliato e sono successe delle cose: primo, il mio telefono è come morto in maniera irreparabile, non si accende più; secondo, non riesco a ricordare in che mese siamo o altro. E' come una cappa d'ombra che mi è entrata nella testa, facendomi dimenticare tutto.
Questa prima cosa è stata la scintilla d'allarme che mi ha spinto a scrivere queste note. Ho paura per la mia vita e credo che vergare queste lettere possa aiutarmi. Devo occupare il mio tempo quì, dove il tempo non sembra passare mai e non devo pensare. Iniziamo dal principio...
Quando ti ho detto che ero stato invitato dal mio amico di vecchia data Reinhardt, non pensavo minimamente sarebbe accaduto tutto questo. Dovevo immaginare, tuttavia, qualcosa dato che mi ha contattato tramite lettera: chi scrive più le lettere? Perchè non ricordo che anno è ma so questa cosa? Ricordi? Mi aveva invitato una settimana nel suo maniero appena acquisito tramite testamento. Voleva mostrarmelo e rinsaldare i rapporti della nostra amicizia, dato che da molto tempo non ci vedevamo. O almeno così diceva...
Il suo maniero sembra uscito da un film della Hammer: arroccato su un picco, coperto da nebbia e nubi, la forma slanciata verso il cielo terso. Aveva mandato una carrozza per me, all'inizio della via che portava al suo maniero, al margine della foresta. Il cocchiere non ha spiccicato parola, anche quando gli ho chiesto come mai non guidasse un auto. Ho avuto l'impressione che dietro quei vestiti non ci fosse niente. Peraltro, una volta arrivati, è scomparso. 
Il mio amico mi ha salutato all'ingresso. I suoi capelli erano cresciuti, e così la barba. Era vestito come Dracula e non aveva perso tempo per ridere di sè e delle sue manie "macabre". Mi aveva mostrato la mia stanza, da dove ora sto scrivendo. E mai, mai avrei immaginato tutto questo.
Ora vado a dormire, sono stanco. Continuo domani. 
O meglio, ci provo... a dormire.
Ti amo.

Il guerriero gira pagina.

Giorno Secondo
Cara Angelica,
ho fatto un sogno strano e terrificante. Sai che, di solito, non sogno o, al limite, sogno cose inesplicabili e contorte. Stasera, invece, ho visto una scena raccapricciante e squisitamente vivida. Devo essere stato suggestionato dalla situazione e dall'ambiente, non ci sono dubbi. Probabilmente, vedere i ritratti di famiglia del mio amico mi ha colpito profondamente, perchè ho sognato proprio loro. Reinhardt mi ha detto che, prima che ci abitasse lui, lì era dimora della famiglia di suo zio, morto in guerra una vita fa. Ci avevano vissuto, però, la figlia e la moglie per molto tempo prima di, inspiegabilmente, andarsene senza dare spiegazioni. Il castello era stato quindi ceduto al mio amico. Tornando ai precedenti inquilini, i ritratti mostrano una bellezza insolita e diafana, come fossero di secoli fa. La cugina del mio amico, Khrista, era molto bella. Il quadro l'aveva immortalata in un vestito del '700, coi capelli neri ricci acconciati come uso dell'epoca; il pittore, inoltre, era stato bravissimo a far risaltare i suoi occhi verdi. La madre, specchio della figlia, tranne che per il vestito, stava sul quadro all'immediata destra. Chiudeva l'elenco lo zio, vestito come un generale Asburgico e con lunghi baffi a punta. Chiesi a Reinhardt come mai non mi avesse mai detto di avere parenti nobili. Si mise a ridere, senza rispondere. Ma ho divagato troppo...
Insomma il sogno. Nella mia visione, quella che era la madre, stava davanti a me. Io mi trovavo immobilizzato, come accade sovente nei sogni. La signora aveva un'espressione atterrita in volto e indietreggiava verso il muro, come se qualcosa stesse per ghermirla. Un'ombra sulla parete mostrava un uomo curvo con lunghi artigli, come un mostro... Poi finì tutto di colpo e io mi svegliai preda di turpi pensieri. Che succedeva? Che sogno era? Perchè io? E perchè oggi non ho visto per nulla il mio amico?
Ti amo.

Giorno Terzo.
Cara Angelica,
oggi ho sognato ancora, ma te ne parlerò dopo. Oggi Reinhardt mi ha fatto visitare il giardino e la sua biblioteca. E' incredibile quanti libri possieda questa dimora. Ma, venendo al punto, gli ho chiesto come mai avesse scelto di chiamarmi per questa rimpatriata, dopo tanto tempo. Lui farfugliò qualcosa su un ipotetico lavoro che poteva farmi fare, ben sapendo della mia condizione di disoccupato, e io me ne rallegrai. In fondo, ci speravo, tu lo sai. Te lo dissi.
A pranzo, come era sempre accaduto, ero da solo e i piatti erano già sul tavolo imbandito. Ottima cacciagione e vino rosso forte. Dov'era, ogni giorno? Perchè appariva dopo il tramonto? Perchè diavolo deve farmi credere di essere un dannato vampiro?
Il sogno, stanotte, era più vivido. Potevo vedere ogni sfumatura di terrore sul volto della donna, dato che s'è ripetuto, solo molto più chiaro. Credo sia morta di paura in un istante: una morte misericordiosa, parrebbe. Inoltre, sentivo come se stessi ingoiando sangue...
Passo molto tempo a girare per la fortezza, tra armature antiche, cappelle e zone ancora non adibite al vivere, con strati di polvere e teli che coprono i mobili. Ha iniziato a far freddo, ma Reinhardt tiene sempre acceso il camino. Stasera abbiamo parlato del più e del meno davanti al fuoco, bevendo vino, ma lui appare sfuggente, in alcuni tratti anche addolorato, ma non gli ho cavato una sola parola di bocca. Poi ci siamo separati e ho visto il primo fantasma.
Un cavaliere, un crociato direi, in armatura completa e celata abbassata, è passato davanti a me mentre stavo per entrare in camera. Sono stato nel bagno mezz'ora prima di calmarmi e decidere di essermelo immaginato... E' stato così gratuito. Così veloce, come fosse una cosa normale, ma il mio cuore ancora ne soffre. E' stato il primo momento in cui credevo davvero di morire.
Ti amo.

Una pausa, il volto fra le mani, poi si ricomincia.

Giorno Quarto
Cara Angelica,
stanotte, oltre al sogno, che però non era cambiato quasi per niente rispetto alla sera prima, ho iniziato a sentire i primi rumori sospetti. Tamburi ossessivi, flauti nel cuore della notte. Eppure mi è stato detto che il castello è disabitato, tranne che per noi due. Non ho chiuso occhio, immaginando le cose più turpi: una processione di morti che mi trascinava su un altare nei sotterranei, uomini lupo nel bosco, una congrega di maghi neri nascosti nei pertugi della roccaforte. Tutto, ho pensato. Fuori nevicava e la luna splendeva come fosse fatta di latte. Non mi sei mai mancata così tanto. Il letto è freddo e io ho paura. Ti prego, aiutami!
A ripensarci meglio, nel sogno, forse ho intravisto un pò dell'aggressore, vestito di rosso e con lunghi capelli neri. Ma nient'altro. E poi, come un dejavù. Il sapore in bocca, al mattino, era ancora più orrendo del solito!
Oggi ho provato a saggiare il portone d'uscita, nel caso dovessi fuggire. Sembra aperto. Ho parlato con Reinhardt ma lui mi ha detto di non aver sentito niente e mi ha raccontato di aver avuto un impegno diverso ogni mattina. Mentiva, io lo so!
Stasera credo di aver sentito ululati di lupi e qualcosa come dei canti in una stanza vicino alla mia. Ho notato solo pochi minuti dopo che vicino alla mia non c'è nessuna camera. Non ho chiuso occhio.
Domani scapperò da quì, dannazione!
Ti amo!

Giorno Quinto
Angelica...
Questa notte credo di aver avuto l'impressione di conoscere l'aggressore della donna, ma mi rifiuto di pensarci ancora. Voglio dimenticare tutto e tornare da te! Aaaaah!
Oggi non ho visto Reinhardt per te e ho deciso di andarmene tramite il portone principale ma è successa una cosa agghiacciante: scendendo di sotto, dove pensavo ci fosse la porta, ho trovato ssolo un'altra ala del castello! Com'è possibile? Ero sicuro! Sto diventando matto, ma non so come fare, dato che le altre finestre danno su un precipizio infinito. Oggi porterò con me il quaderno ed esplorerò questa nuova ala, tanto ormai non so più cosa è reale! Poco fa ho visto una bambina giocare con la mamma a palla, nel cortile! 
Voglio svegliarmi...
Ti amo.

Giorno Sesto
Amore mio!
Sento gocciolare dappertutto! Ho provato ad assopirmi per terra, in una stanza buia, ma mi sono svegliato in preda al panico subito dopo, o almeno credo! Ogni volta che provo a dormire sogno cose orrende e mi sveglio col cuore in gola. Inoltre non riesco più a tornare nella mia camera. Sembra sia passato molto tempo, ma fuori è sempre notte.
Oggi ho avuto il mio primo pensiero suicida, vedendo una vecchia alabarda appesa alla parete, ma resisterò! Voglio vederti...
Tuo.

La grafia diventava sempre più nevrotica. I caratteri più piccoli o grandi, a casaccio. La carta era un pò arricciata, come se avesse toccato acqua.

Giorno Settimo
Cara Angelica,
sono di nuovo in camera mia. Reinhardt mi ha trovato mentre vagavo senza meta nel labirinto dell'ala nuova. Mi ha portato, tenendomi la mano, nella mia stanza. Sono riuscito a dormire poche ore ma mi ha risvegliato uno schiamazzo che proveniva dalla mia finestra, credo fosse un pipistrello. Dormire è stato bellissimo, ma ho sognato ancora quella cosa. Nel sogno, ora, potevo muovere la testa e, osservando in basso, ho notato uno strano vestito, il mio. Sembrava da donna... Che dannazione significa?
Oggi non è successo nulla di importante ma, ad ogni porta che apro, o svolta che faccio, mi aspetto di vedere qualcosa. Ho perso appetito, penso solo a cosa può succedermi. Preferirei morire che vivere così. E ho riprovato a cercare il portone, senza risultato. Mi sono fermato prima di rientrare nel labirinto, però. 
Passando davanti ai ritratti, oggi, ho sentito qualcosa, come un magone allo stomaco. Il vestito di Khrista era molto bello, vorrei regalartelo. 
Reinhardt ha dei capelli neri lunghissimi, li ho visti oggi sciolti per la prima volta. Chissà quanto ci ha messo.

Giorno Ottavo
Amore mio,
mi basta chiudere gli occhi per vedere orrori! Ho pensato a lungo...
BASTA DANNAZIONE VOGLIO ANDARMENE MALEDETTO BASTARDO SE TI VEDO TI AMMAZZO

Giorno Nono
DOVE SEI TI PIANTO UN PALETTO NEL CULO SCHIFOSO PARASSITA

Questa pagina presentava degli schizzi di sangue. Il respiro del lettore si fece concitato. I brandelli della sanità mentale dello scrittore gli scivolavano addosso ammorbandolo come una cappa di catrame.

Giorno Decimo
L'ho trovato! So dove sta tutto il giorno! Nella sua bara maledetta, al piano di sotto. Oggi l'ho aperta, aveva il volto cadaverico e trucco nero su occhi e bocca. Riposava come morto! Avrei voluto aprire la finestra per incenerirlo, ma non vi sono finestre in quella stanza. E ho avuto così tanta paura che mi sono orinato addosso! Sono scappato in camera come un topo, ma DOMANI SARA LA SUA FINE PAROLA MIA

Giorno Undicesimo
Anche oggi ho tergiversato, ma domani non accadrà, perchè HO CAPITO TUTTO. Il sogno è diventato chiaro, infine! L'aggressore della signora era Reinhardt, nel sogno di stanotte s'è rivelato a me, girandosi proprio nel io campo visivo! La faccia è la sua! I denti sporchi di sangue e gli occhi iniettati di sangue non lasciano dubbi! Quel bastardo è un maledetto succhiasangue! Poi è accaduta un'altra cosa che, onestamente, non so perchè non mi abbia ucciso. Reinhardt, nel sogno, mi ha guardato come se sapesse che sono io... Come se sapesse che stavo sognando! Ha preso uno specchio e me l'ha messo davanti al viso! Ma non ero io, il mio volto era chiaramente quello di Khrista! Ero lei, vedevo tutto COI SUOI OCCHI! Dallo specchio ho visto il viso della fanciulla deformato da una mordacchia, quella cosa schifosa metallica che si metteva alle streghe prima di metterle sul rogo! Per umiliarle e per evitare che potessero recitare incantesimi che potessero richiamare Lucifero per salvarle! Inoltre, nella biblioteca, ho visto un libro che presentava gli schizzi di come doveva essere tale strumento: presentava un gancio che perforava la lingua e obbligava la malcapitata a ingoiare continuamente il proprio sangue! Il bastardo l'aveva costretta a vedere mentre uccideva la madre e Dio... Dio solo sa cosa è successo dopo! Ma c'è dell'altro! Preso dalla follìa, ho rovistato come un pazzo nella tenuta, scovando dei documenti segreti! Li vi è scritto che i veri tenutari della dimora sono la famiglia dei ritratti, ma non si fa alcun cenno a Reinhardt! Sono sicuro che non è loro parente, ha usurpato la loro casa! Lui le ha uccise! 
Uscirò di quì e lo inchioderò, porterò esorcisti, poliziotti, TUTTI!
ANZI LO UCCIDO
Caro amore mio, fuggirò da quì o morirò, io così non riesco più-

Le note si interrompevano di colpo, con una lunga striscia dopo l'ultima lettera, come se uno spavento improvviso avesse fatto trasalire lo scrittore. La figura, girandosi, diede un'occhiata al letto: impronte come di unghie (e sangue) testimoniavano una lotta. Forse qualcuno si era aggrappato alla testiera del letto con tutte le sue forze, mentre lo trascinavano via... O peggio.
La figura prese un accendino e bruciò il libro. Nelle fiamme, vide dei ricordi.
"Fratello mio..." Disse, piangendo. Poi prese la spada, inzuppata di sangue, e si gettò nei corridoi bui e lugubri. 

martedì 23 ottobre 2018

Una Capanna nella Nebbia


Una Capanna nella Nebbia


Pioggia, neve, grandine, fango. Tutto quel che poteva cadere dal cielo cadde quel giorno. E la notte prima. E ora, grazie a non si sa quale Dio, pareva finita. Quasi al crepuscolo, il viaggiatore potè finalmente vedere qualcosa in quel nulla esistenziale. Si trovava, ormai da giorni, a camminare in quella vallata, tra colline scoscese e dirupi colpiti dai lampi e la visione che ora era davanti a lui pareva rincuorarlo con promettenti proposte. Il cielo, che tendeva al grigio, pareva l'unico testimone dei fatti e il sole morente pareva sussurrare parole incomprensibili, mentre il viaggiatore si fermava per un attimo, a rimirare il paesaggio. Durante il suo viaggio aveva visto di tutto: castelli diroccati, locande a pezzi, rovine di monasteri, mura, case, villaggi distrutti. Tutta la miseria possibile e non una sola forma di vita. Eccetto una manciata di piante e qualche altro arbusto. 
L'insieme di colori fra le nubi era davvero incantevole, si scoprì a pensare lo straniero. Pensò anche che non sarebbe stato affatto male trovare un rifugio decente, almeno per quella notte. E quel qualcosa pareva proprio la risposta a quel desiderio. Mentre una sottile e leggera nebbia si alzava, il viaggiatore, intabarrato in pellicce, cappelli, sciarpe e stivali pesanti, ricominciò il suo andare, diretto chissà dove. Dopo un certo tempo, nella bruma, distinse la sagoma di una persona, umana a dirla tutta. Il solitario signore, avvezzo ai più strani scherzi della vita, non sussultò nè emise alcun suono, nemmeno si avvicinò. Si limitò ad osservare la figura, nera dalla testa ai piedi, apparentemente nuda, che indicava un punto in lontananza, proprio quel qualcosa. Pareva la figura di una donna un pò in carne, non troppo vecchia, gli occhi slavati emergevano prepotenti dal nero di quella figura. Era come un'ombra, uscita dal passato da un antico tomo di fiabe. Era un'eventualità interessante, dato che l'uomo, essendo passato in molti posti e avendo anche esplorato molti (antichi) insediamenti umani, non si sarebbe aspettato di trovare qualcuno in quella solitudine naturale. Il viaggiatore annuì col capo, poi si diresse nella direzione indicata dall'apparizione. La donna, se tale era, parve sorridere, anche se sembrava non avere una faccia.

L'unica cosa che emergeva dalla nebbia, che ormai si era resa più pesante, era una capanna. Da un comignolo uscivano volute di fumo a intervalli regolari e l'interno, visibile da una finestra rettangolare, era così rosso e caldo da dare quasi le vertigini, in tutto quel grigiore. E stava diventando notte. Di sicuro, stare all'aperto non era una buona idea, sopratutto davanti a quel bel posto. Un'insegna lignea, consumata dal tempo, recava la dicitura "Il Ritrovo dei Solitari". Una locanda, dunque. Un'insolita fortuna, capitata a fagiolo. La porta non cigolò neppure, mentre veniva aperta. L'interno, caldo e accogliente, rendeva onore al nome del posto, dato che l'unico essere pareva essere un ipotetico locandiere, ricoperto di vestiti e con la testa coperta da un cappuccio, come se avesse freddo anche lì dentro, davanti al camino abbellito da vari trofei di caccia e da uno scudo rotondo, che pareva aver subito indicibili vessazioni. Il viaggiatore parve comprendere qualcosa, poi si sedette al primo tavolo che vide. Il locandiere scomparve in una porta, per poi apparire, dei minuti dopo, con un vassoio. Al cliente venne offerto uno stufato di carne, non si sa quale, e fuori non vedeva animali da giorni, accompagnato da una caraffa contenente un liquido scuro. Si rivelò la birra scura migliore che l'avventore avesse mai assaggiato, insieme ad un piatto che, oltre a riscaldare il suo corpo, aveva rinfrancato anche la sua anima. Chiese un bis di tutto, poi ancora da bere, e altre volte. Abituato alle avventure alcoliche, l'uomo quasi non sentì il piacevole tepore che stava arrivando dai piedi. Si avvicinò al focolare scoppiettante col boccale in mano. Era tutto al suo posto... Eppure nessuno aveva fiatato.
Il locandiere prese infine uno strumento a corda da sotto il bancone, a quattro corde, simile ad un liuto. Poi iniziò a suonare.

Era una musica dolce a calda, come un bagno coi sali profumati mentre fuori piove. O una crostata appena sfornata, data da mangiare ad un bambino che aveva giocato tutto il giorno. Una melodia di corde pizzicate cadenzata da brevi colpetti che l'oste dava alla cassa dello strumento. Stava raccontando una storia senza parole. C'era un chè di triste in tutto quello, ma era una tristezza strana, quasi accettata, maturata dagli anni. Il viaggiatore decise che quello era il momento più bello della sua vita. Per la prima volta, era riuscito a dimenticare tutto, a non concentrarsi su niente. C'erano solo il fuoco, il nettare nel suo boccale e la musica migliore del mondo, suonata da quella che sembrava un'anima in pena. Ma nonostante tutto, era qualcosa di accogliente. L'uomo decise che, se di una trappola si trattava, avrebbe subito tutto con gioia. Poi accadde qualcosa nella sua mente. Iniziava a prefigurarsi una storia, come se ne sentisse le parole.
Molto tempo fa... Quasi sentì, senza stupirsene. Amava le storie. Un uomo tornò dal suo viaggio. Imbracciava uno scudo logoro e alla cintura aveva un fodero senza spada. Era stanco, con la barba lunga e il corpo segnato di cicatrici. Ma la sua donna era là, al molo, ad attenderlo. Un pò invecchiata, ma più bella che mai. Quella notte dormirono abbracciati, guardando dalla finestra una luna così grande che sembrava finta. Lei aveva un sogno, voleva viaggiare, ma non poteva. Lui aveva viaggiato a sufficienza, ma non ne poteva più di vedere mari, tempeste di soffrire il freddo. Insieme decisero di iniziare un progetto insieme e l'indomani il vecchio guerriero senza spada, ancora stanco, prese un martello da carpentiere.

Il viaggiatore si scosse dal tepore. Si scoprì sonnecchiare su un divano che prima non aveva visto, davanti al fuoco. Si alzò, fuori era notte fonda, con una luna enorme e stupenda. Dell'oste nessuna traccia anche se il signore avrebbe giurato di sentire dei rumori al piano di sopra. C'era un piano di sopra, dunque? Si scoprì a pensare, avendo improvvisamente trovato una porta. Oltre una scalinata vi erano diverse porte di legno. La prima, la più vicina, era quella della cucina, coi piatti e i tegami ancora sporchi. Le altre erano stanze destinate ai clienti. Un uscio, però, pareva diverso dagli altri, come fosse più antico. Dietro vi era un letto matrimoniale sfatto, come se due persone se ne fossero appena andate. L'unica finestra era aperta e una piccola libreria, a fianco del letto, era l'unico tocco di colore in quello spazio di legno. Lo sconosciuto sorrise, poi scese di sotto. Il suo boccale era di nuovo pieno. Come mai tutto questo non lo inquietava? Non aveva una risposta. Desiderava solo assaporare ancora la sua bevanda e vedere le fiamme scoppiettare. Quel calore era ultraterreno.
Si assopì sul divano, con la musica nelle orecchie, una musica dolce. Non fece sogni. Dormì così profondamente che, al risveglio, si sentì più giovane. Il fuoco ormai era spento, poteva vedere la cenere. Per la prima volta, si sentiva solo nella capanna. I vestiti, che non ricordava di aver tolto, erano poggiati su una sedia lì vicino. Se li mise addosso, uscendo dalla locanda, che improvvisamente pareva morta. Chiusa la porta, e fatti pochi passi, si girò verso la costruzione.

Il tetto sembrava caduto da anni, la finestra era sfondata, forse da qualche animale. Nei ruderi dell'interno, tra tavoli spezzati e sedie distrutte, c'era uno scudo rotto a metà. La cappa del camino sembrava in piedi, ma sotto quella polvere non si vedeva bene. Se c'era mai stato un piano di sopra, ormai era confuso nelle macerie che aveva davanti. Al suono di un richiamo che parve sentire solo lui, si diresse sul retro, fuori dal perimetro del muro sbrecciato. Due tombe, vicine, erano l'unica cosa perfettamente visibile del posto. Immacolate, pulite, con dei fiori freschi lasciati lì di recente. Solo i nomi vi erano scritti, nemmeno le date. Non c'erano foto. Il viaggiatore abbassò il capo e mormorò una preghiera agli Dei che, credeva, avevano in custodia quella parte del mondo.
Aprirono una locanda. Così lui potè finalmente riposarsi, e lei sentire i racconti dei viaggiatori, come se li avesse fatti lei. In quel luogo di passaggio, al crocevia, la locanda divenne un punto di ritrovo per ogni genere di persona. Un focolare in mezzo alla neve e alla nebbia.
Ma la fine arrivò, come in tutte le cose.
Grazie infinite. Disse il viaggiatore, quasi versando una lacrima. Poi se ne andò senza voltarsi.

martedì 13 marzo 2018

Valhalla Pub

Valhalla Pub

 

Italia Meridionale, Marzo

 

Quando lo sconosciuto entrò, lo sentirono tutti. Vuoi perché era un tizio enorme, con almeno un cinquanta di piedi, vuoi perché non c’era nessuno. La successiva chiusura della porta parve un “fulmine a ciel sereno”. Era vestito di nero, con la carnagione chiarissima. Aveva barba e capelli lunghi e incolti, di un rosso molto intenso. Si tolse il cappotto, mettendo in bella mostra le sue poderose braccia, poi si sedette al bancone.

Dall’altra parte del legno c’era il barista, un uomo sulla cinquantina che continuava a strofinare un boccale visibilmente pulito. Era calvo, coi baffi folti e il grembiule macchiato di salsa BBQ. Sempre sul bancone, ma molto lontano dal nuovo venuto, un ragazzo pareva sonnecchiare appoggiato sulle mani. Teneva in mano un boccale quasi vuoto, forse di birra scura. Lo sconosciuto si sedette sullo sgabello. L’unica cosa che spezzava il silenzio, ora, era solo il black metal che si sentiva in sottofondo, sgorgato da chissà dove.

<< Buona sera. >> disse.

<< ‘Sera. Cosa le porto? >> il vecchio lo osservava un po’ incuriosito.

<< Mi dà una pinta di… questa? >> rispose indicando l’etichetta prescelta, in mezzo alle tante, tra le spine di birra. Vi era ritratto un omone biondo che urlava, sulla prua di una nave drakkar, agitando un’ascia.

<< Oh, mi è arrivata giusto oggi, ma pare non vendere molto… >> prese un boccale “curvo”, che cercava di ricordare un corno. << Si chiama “la Tonante”, è fatta col miele, credo. Qualcosa di simile, me l’hanno detto stamattina, ma ero distratto. Pare fosse la birra dei vichinghi o qualcosa del genere… >>

<< Oh… Qualcuno l’ha ibernata? >>

<< Come, scusi? >>

<< Niente, scherzavo. Mi chiedo solo come facciano a sapere che è proprio quella dei vichinghi. >>

<< Sarà il miele, forse c’è idromele dentro… Non saprei proprio. La vuole o no? >> il barman era pronto a spillare.

<< Si sì, certo. Grazie. >> disse sistemandosi meglio sullo sgabello e osservando il posto.  Poi, finalmente, poté bere. << Effettivamente… >>

<< Cosa? >>

<< Come mai Valhalla Pub? Non ha l’aria molto festosa, questo posto. >> l’omone non riusciva a stare zitto.

<< Avevo un amico, fissato coi normanni e roba simile. Aveva sempre voluto aprire un pub a tema. >>

<< E ora dov’è? >>

<< Nel Valhalla, spero. E’ morto una vita fa. Stava molto male. >>

L’uomo parve avere un pensiero, e accennò un sorriso. Come se avesse ricordato di colpo qualcosa.

<< Spero sia morto in battaglia. >> bevve.

<< Contro la malattia vale? Siamo tutti malati, credo. Io ho pure le mie rogne. Dicono me le abbia passate mio papà. >>

<< Mio papà era orbo ma, per fortuna, gli occhi cavati non si ereditano… >>

<< Orbo? Apperò… >>

<< Una storiaccia. Centrava un pozzo, bah… >> altro sorso << Non mi va di pensarci. >>

Pausa. Solo la musica ricordava lo scorrere del tempo.

<< Lei da dove viene? >>

<< Dal nord. >>

<< Milano? Quelle zone lì? >>

<< Non proprio… Ah ah. Un po’ più su, anche se a Milano ci sono stato, molto tempo fa. Ma mi dica… >> finì il boccale in un sorso. << Codesta scelta musicale… Siete allergici all’allegria? >>

<< Quante domande ‘sta sera. Sempre quel mio amico, ogni martedì e giovedì la metto, mi fa ricordare lui. A me nemmeno piace. Era un tale idiota. >>

<< Oh, non ne dubito. Sembrate molto legati. >> silenzio. << A me piace molto la musica. >>

<< Ha l’aria di uno che suona, magari questa robaccia. >>

<< Oh no… >>

<< Non hai un gruppo? >>

<< Beh sì, ma… >>

<< Come vi chiamate? >>

<< Ci chiamano Aesir, ma… Non facciamo proprio… Bah. >>

<< Non la seguo. >> Il ragazzo sembrava improvvisamente sveglio, ma manteneva il silenzio.

<< Facciamo… Musica tradizionale, si. Folk scandinavo, coi tamburi… e quelle robe li. >>

<< Interessante. >> Mentì. Poi parve intuire qualcosa. << Cosa la porta qui? >>

<< Noia, un po’ di malinconia. Sono tempi duri… >>

<< Non sa come ha ragione, tra disoccupazione e tutto il resto. Ma, senta… >>

<< Si? >> l’omone parve guardare ancora tra le birre alla spina.

<< Non è che per caso lei è… >> l’imbarazzo era evidente. Che razza di domanda doveva essere?

<< Mi dà un’altra pinta di… Scusi, qualcosa non va? >> il vecchio sembrava avesse visto un fantasma. << Ehi? >>

<< Oh scusi… Ero perso nei ricordi, la vecchiaia fa schifo. Gesù… >> Iniziò a riempire.

<< Ho l’aria di essere Gesù? >>

<< No.. Ma che… Oh, cazzo. Mi scusi. >> l’anziano parve perdere il filo del discorso. L’omone rise, poi bevve la seconda birra tutta d’un fiato, come fosse acqua, tra lo stupore del barista e del ragazzo che, improvvisamente, sembrava molto interessato. Silenzio.

<< Fa un tale caldo… >> disse il barman senza pensarci. Non era vero, faceva freddo, ma sembrava in tilt.

<< E’ vero. >> disse lo sconosciuto, rivestendosi. << Ci vorrebbe un po’ di pioggia. >> aprì il portafoglio. Poi prese una banconota, senza nemmeno vedere quale fosse, e la diede alla persona dietro il bancone. Poi si girò, per andarsene, col sorriso. Dalla cintura pendeva qualcosa.

<< E’ un martello, quello? Dannazione, lei è… >>

<< No, che dice… Ah ah ah ah. E’ il mio trapano, faccio lavori di ristrutturazione. >>

E se lo porta anche in giro, pensò il barman, senza dirlo. << Buona serata, allora. >>

<< A lei, è stata una serata piacevole. Arrivederci! >> Una volta chiusa la porta, ai due presenti parve di svegliarsi da un sogno strano, con la differenza che i soldi erano effettivamente sul bancone. Il ragazzo si mise a ridere. Il vecchio stava piangendo. Non solo, si era appena sentito il rombo di un tuono e stava piovendo. All’improvviso.

 

Tempo dopo, un altro sconosciuto, questa volta con un buffo cappello, entrò nel Pub. Si sedette ad un tavolo senza dire una parola e attese. Il vecchio, forse ricordando qualcosa, andò a servirlo, portando il taccuino.

<< Vorrei dell’idromele. >> disse togliendosi il cappello. Era orbo da un occhio.

<< Oggesù! >>

<< Beh? Che succede? >>

Il vecchio era arrossito.

 

Dedicato a Pucciotto