martedì 23 ottobre 2018

Una Capanna nella Nebbia


Una Capanna nella Nebbia


Pioggia, neve, grandine, fango. Tutto quel che poteva cadere dal cielo cadde quel giorno. E la notte prima. E ora, grazie a non si sa quale Dio, pareva finita. Quasi al crepuscolo, il viaggiatore potè finalmente vedere qualcosa in quel nulla esistenziale. Si trovava, ormai da giorni, a camminare in quella vallata, tra colline scoscese e dirupi colpiti dai lampi e la visione che ora era davanti a lui pareva rincuorarlo con promettenti proposte. Il cielo, che tendeva al grigio, pareva l'unico testimone dei fatti e il sole morente pareva sussurrare parole incomprensibili, mentre il viaggiatore si fermava per un attimo, a rimirare il paesaggio. Durante il suo viaggio aveva visto di tutto: castelli diroccati, locande a pezzi, rovine di monasteri, mura, case, villaggi distrutti. Tutta la miseria possibile e non una sola forma di vita. Eccetto una manciata di piante e qualche altro arbusto. 
L'insieme di colori fra le nubi era davvero incantevole, si scoprì a pensare lo straniero. Pensò anche che non sarebbe stato affatto male trovare un rifugio decente, almeno per quella notte. E quel qualcosa pareva proprio la risposta a quel desiderio. Mentre una sottile e leggera nebbia si alzava, il viaggiatore, intabarrato in pellicce, cappelli, sciarpe e stivali pesanti, ricominciò il suo andare, diretto chissà dove. Dopo un certo tempo, nella bruma, distinse la sagoma di una persona, umana a dirla tutta. Il solitario signore, avvezzo ai più strani scherzi della vita, non sussultò nè emise alcun suono, nemmeno si avvicinò. Si limitò ad osservare la figura, nera dalla testa ai piedi, apparentemente nuda, che indicava un punto in lontananza, proprio quel qualcosa. Pareva la figura di una donna un pò in carne, non troppo vecchia, gli occhi slavati emergevano prepotenti dal nero di quella figura. Era come un'ombra, uscita dal passato da un antico tomo di fiabe. Era un'eventualità interessante, dato che l'uomo, essendo passato in molti posti e avendo anche esplorato molti (antichi) insediamenti umani, non si sarebbe aspettato di trovare qualcuno in quella solitudine naturale. Il viaggiatore annuì col capo, poi si diresse nella direzione indicata dall'apparizione. La donna, se tale era, parve sorridere, anche se sembrava non avere una faccia.

L'unica cosa che emergeva dalla nebbia, che ormai si era resa più pesante, era una capanna. Da un comignolo uscivano volute di fumo a intervalli regolari e l'interno, visibile da una finestra rettangolare, era così rosso e caldo da dare quasi le vertigini, in tutto quel grigiore. E stava diventando notte. Di sicuro, stare all'aperto non era una buona idea, sopratutto davanti a quel bel posto. Un'insegna lignea, consumata dal tempo, recava la dicitura "Il Ritrovo dei Solitari". Una locanda, dunque. Un'insolita fortuna, capitata a fagiolo. La porta non cigolò neppure, mentre veniva aperta. L'interno, caldo e accogliente, rendeva onore al nome del posto, dato che l'unico essere pareva essere un ipotetico locandiere, ricoperto di vestiti e con la testa coperta da un cappuccio, come se avesse freddo anche lì dentro, davanti al camino abbellito da vari trofei di caccia e da uno scudo rotondo, che pareva aver subito indicibili vessazioni. Il viaggiatore parve comprendere qualcosa, poi si sedette al primo tavolo che vide. Il locandiere scomparve in una porta, per poi apparire, dei minuti dopo, con un vassoio. Al cliente venne offerto uno stufato di carne, non si sa quale, e fuori non vedeva animali da giorni, accompagnato da una caraffa contenente un liquido scuro. Si rivelò la birra scura migliore che l'avventore avesse mai assaggiato, insieme ad un piatto che, oltre a riscaldare il suo corpo, aveva rinfrancato anche la sua anima. Chiese un bis di tutto, poi ancora da bere, e altre volte. Abituato alle avventure alcoliche, l'uomo quasi non sentì il piacevole tepore che stava arrivando dai piedi. Si avvicinò al focolare scoppiettante col boccale in mano. Era tutto al suo posto... Eppure nessuno aveva fiatato.
Il locandiere prese infine uno strumento a corda da sotto il bancone, a quattro corde, simile ad un liuto. Poi iniziò a suonare.

Era una musica dolce a calda, come un bagno coi sali profumati mentre fuori piove. O una crostata appena sfornata, data da mangiare ad un bambino che aveva giocato tutto il giorno. Una melodia di corde pizzicate cadenzata da brevi colpetti che l'oste dava alla cassa dello strumento. Stava raccontando una storia senza parole. C'era un chè di triste in tutto quello, ma era una tristezza strana, quasi accettata, maturata dagli anni. Il viaggiatore decise che quello era il momento più bello della sua vita. Per la prima volta, era riuscito a dimenticare tutto, a non concentrarsi su niente. C'erano solo il fuoco, il nettare nel suo boccale e la musica migliore del mondo, suonata da quella che sembrava un'anima in pena. Ma nonostante tutto, era qualcosa di accogliente. L'uomo decise che, se di una trappola si trattava, avrebbe subito tutto con gioia. Poi accadde qualcosa nella sua mente. Iniziava a prefigurarsi una storia, come se ne sentisse le parole.
Molto tempo fa... Quasi sentì, senza stupirsene. Amava le storie. Un uomo tornò dal suo viaggio. Imbracciava uno scudo logoro e alla cintura aveva un fodero senza spada. Era stanco, con la barba lunga e il corpo segnato di cicatrici. Ma la sua donna era là, al molo, ad attenderlo. Un pò invecchiata, ma più bella che mai. Quella notte dormirono abbracciati, guardando dalla finestra una luna così grande che sembrava finta. Lei aveva un sogno, voleva viaggiare, ma non poteva. Lui aveva viaggiato a sufficienza, ma non ne poteva più di vedere mari, tempeste di soffrire il freddo. Insieme decisero di iniziare un progetto insieme e l'indomani il vecchio guerriero senza spada, ancora stanco, prese un martello da carpentiere.

Il viaggiatore si scosse dal tepore. Si scoprì sonnecchiare su un divano che prima non aveva visto, davanti al fuoco. Si alzò, fuori era notte fonda, con una luna enorme e stupenda. Dell'oste nessuna traccia anche se il signore avrebbe giurato di sentire dei rumori al piano di sopra. C'era un piano di sopra, dunque? Si scoprì a pensare, avendo improvvisamente trovato una porta. Oltre una scalinata vi erano diverse porte di legno. La prima, la più vicina, era quella della cucina, coi piatti e i tegami ancora sporchi. Le altre erano stanze destinate ai clienti. Un uscio, però, pareva diverso dagli altri, come fosse più antico. Dietro vi era un letto matrimoniale sfatto, come se due persone se ne fossero appena andate. L'unica finestra era aperta e una piccola libreria, a fianco del letto, era l'unico tocco di colore in quello spazio di legno. Lo sconosciuto sorrise, poi scese di sotto. Il suo boccale era di nuovo pieno. Come mai tutto questo non lo inquietava? Non aveva una risposta. Desiderava solo assaporare ancora la sua bevanda e vedere le fiamme scoppiettare. Quel calore era ultraterreno.
Si assopì sul divano, con la musica nelle orecchie, una musica dolce. Non fece sogni. Dormì così profondamente che, al risveglio, si sentì più giovane. Il fuoco ormai era spento, poteva vedere la cenere. Per la prima volta, si sentiva solo nella capanna. I vestiti, che non ricordava di aver tolto, erano poggiati su una sedia lì vicino. Se li mise addosso, uscendo dalla locanda, che improvvisamente pareva morta. Chiusa la porta, e fatti pochi passi, si girò verso la costruzione.

Il tetto sembrava caduto da anni, la finestra era sfondata, forse da qualche animale. Nei ruderi dell'interno, tra tavoli spezzati e sedie distrutte, c'era uno scudo rotto a metà. La cappa del camino sembrava in piedi, ma sotto quella polvere non si vedeva bene. Se c'era mai stato un piano di sopra, ormai era confuso nelle macerie che aveva davanti. Al suono di un richiamo che parve sentire solo lui, si diresse sul retro, fuori dal perimetro del muro sbrecciato. Due tombe, vicine, erano l'unica cosa perfettamente visibile del posto. Immacolate, pulite, con dei fiori freschi lasciati lì di recente. Solo i nomi vi erano scritti, nemmeno le date. Non c'erano foto. Il viaggiatore abbassò il capo e mormorò una preghiera agli Dei che, credeva, avevano in custodia quella parte del mondo.
Aprirono una locanda. Così lui potè finalmente riposarsi, e lei sentire i racconti dei viaggiatori, come se li avesse fatti lei. In quel luogo di passaggio, al crocevia, la locanda divenne un punto di ritrovo per ogni genere di persona. Un focolare in mezzo alla neve e alla nebbia.
Ma la fine arrivò, come in tutte le cose.
Grazie infinite. Disse il viaggiatore, quasi versando una lacrima. Poi se ne andò senza voltarsi.