venerdì 19 aprile 2013

Belve

Belve

La bocca sollevò dal fiero pasto.“

- Dante Alighieri, Inferno XXXIII

Un uomo si avvicina a quello che sembra il cadavere di un soldato e gli fruga nelle tasche. Ne trae un diario. L'uomo va alle ultime note e comincia a leggerle. Ad alta voce.

Frammento del diario di Marco Rossi.

Il mio naso pizzica. E' stuzzicato dall'odore di carne bruciata. Bistecca, mi viene da pensare. E per un attimo ci credo io stesso anche se so che non è così. I corpi di due uomini e una donna sono a pochi passi da me, tutti con un foro bruciante nella loro divisa militare. Il fumo appesta l'aria ma a me sembra incenso. Prendo un attimo per respirare, per organizzare il cervello e abbandono la posa che ho avuto fino a questo momento: abbasso la pistola. Mi metto eretto e faccio per prendere la borraccia alla mia cintura. Mi accorgo che è vuota. Lancio la bottiglia fuori dalla mia vista e rinfodero la pistola e mi do all'autocommiserazione. Non dovevo ucciderli. Sono esseri umani. Sono come me, Etc. Una marea di seghe mentali mi distoglie dal vero problema. E io lo lascio fare perché per questi pochi atti voglio sentirmi una brava persona, anche se ormai sono una razza in via d'estinzione.

Nella morte non riesco a distinguerli più. Sono solo tre maschere di morte, tre involucri di carne contenenti organi, sostanze chimiche e una gran quantità di liquido rosso. Stanno fermi lì sull'asfalto e si raggrinziscono. Uno dei due è in una pozza di sangue rappreso, forse una ferita precedente o sangue d'altri. La donna non aveva avuto nemmeno il tempo di prendere l'arma. Senza neanche pensare li ho uccisi tutti e tre e la gravità del gesto mi schiaccia al terreno. E' una sensazione martellante di disgusto e follia. Li guardo e vedo me, fra qualche tempo forse. Pietrificato in una maschera d'orrore che maledice il creatore di quello scempio. Non c'è differenza tra noi esseri umani, in vita o in morte.

Mi lascio lo spettacolo alle spalle e continuo a camminare, mano destra sull'arma. Pronto a uccidere ancora e, magari, a trovare quello per cui sono venuto qui dal mio paese. La crisi globale ci aveva spinti tutti uno contro l'altro senza possibilità d'uscita o di soluzione amichevole. Quando si tratta di bisogni primari siamo animali al 100%, nessuno escluso. E questo va un po' schifo. Ti rode dentro. Perché secoli di storia hanno preteso di portarci da tutt'altra parte. E anche perché bastano gli avvenimenti di due anni per mandare tutto a puttane. E continuo a vagare. Nonostante i miei uomini e donne siano morti tutti sono tutt'altro che pronto ad arrendermi. E' un bisogno reale il nostro. L'aria bruciata mi stimola la salivazione e provo un desiderio incredibile di mordere qualcosa, di masticare.

L'ambientazione urbana intorno a me è decadente. Sembra di stare in un monster movie ma con più cadaveri. Alcuni sono mangiucchiati, altri a pezzi. Un odore di sangue appesta l'aria. Sangue e fumo. Il mio stomaco borbotta, ma non è l'unico. Anzi. Ho la bocca impastata, la mascella va su e giù come una fiera. La testa mi porta l'immagine di una succulenta coscia di pollo e questo mi fa soffrire. Poi torno in me e faccio due più due. Mi fermo a pensare e a riorganizzare il cervello. Come posso controllarmi? Nessuno può. Tutti cadono di fronte alla verità e non c'è niente di più vero del cibo. Niente. E per far tacere il resto del corpo affatico i piedi, accelero il passo ed entro in quello che sembra un parco, tutti gli alberi sradicati, l'erba è masticata ma non si vedono pecore. Un lamento mi fa girare la testa.

Una donna si sta avvicinando a me, disarmata. Me ne accorgo poco prima. Mi guarda con occhi confidenti e anche un po' languidi. Non riesco a capire se stia parlando nella mia lingua madre o la lingua di questo posto ma so che riuscirò a comprenderla. E anche questo mi fa paura. Dice di essere incinta e di avere fame (o forse dice che il piccolo ha fame). Sto per risponderle quando mi accorgo dal rilevatore che porto su un occhio, che sta dicendo menzogne. Una scansione del suo corpo a raggi X appare sul mio rilevatore e leggo le sue funzioni vitali. Non c'è un'altra vita in lei e in effetti il ventre le appare normale. Le dico la verità e lei sbianca. Ma si avvicina comunque e mi abbraccia. Prova a baciarmi. La lascio fare perché ho bisogno di quel contatto umano. La sua mano dal mio collo, va alla sua cintura ed anche se non vedo, sento uno scatto metallico: le fermo il polso a pochi centimetri dal mio collo e la spingo. Lei si rialza e urlando, mi si butta addosso col suo machete. La colpisco due volte al torace e cade fumando. 

Le narici si allargano. Decido di scappare da lì prima di cadere in un'altra visione macabra. Corro per dieci minuti buoni completamente senza meta e incappo nel medesimo market. Ne avevo girati decine, tutti ovviamente vuoti. Ricordo, avevo pensato che si fossero mangiati pure le scatole, non solo il cibo. Il rilevatore mi dice che il posto è disabitato. Un bip rassicurante. Quell'aggeggio schifoso costa quando una di queste case eppure non riesce a placare in me un semplice istinto. Mi avvicino all'entrata e decido di fare ancora un tentativo. Entro e faccio un giro del posto.

Non che mi aspetti di trovare qualcosa ma non mi perdonerei di non averlo fatto. La buona riuscita della missione dipende da me solamente e non posso crearmi nessuno scrupolo. Cammino e il mio occhio incappa in qualcosa di metallico sul pavimento: una chiave a scansione, la raccolgo. Sopra c'è disegnato il logo del posto e deduco che debba aprire qualcosa che sta lì dentro. I cadaveri qui dentro sono relativamente pochi e tutti emaciati, ma interi. Forse persone che si sono lasciate morire fin lì sperando nel cibo. Faccio il giro più e più volte senza trovare nulla. Infine, sconsolato, mi dirigo alla cassa. La macchina degli scontrini presenta un foro da chiave. Cosa mai potrò trovare dentro una cassa? Mi chiedo. Ma comunque la infilo e giro. I led luminosi lampeggiano e tutto il bancone si apre in due. Sembra la scena di un film.

E dentro trovo una bellissima scatola grande quasi quanto me. Sulla facciata che ho davanti sta una bellissima mucca che pascola in un campo, poi un cognome straniero che non conosco. Il cuore mi batte all'impazzata e il mio cervello scoppia d'informazioni. Immagino un futuro felice e mi osservo in una casa di riposo per persone obese. Vedo queste e altre cose. Intanto le ghiandole salivari cominciano a produrre, sento che sto sbavando. Come un cane. Mi sento come un uomo normale che trova la prova vivente del fatto che Dio esiste e mi tremano le mani. Afferro la scatola pronto a tirarla fuori. Tutta questa situazione mi ricorda una storia che ho letto da bambino, ma di cui non riesco a ricordare il finale. Un giorno un uomo va su una barca ma questa naufraga. Dopo molte peripezie approda su un'isola deserta e passa il primo mese a mangiare e a scoprirne fauna e flora locale. Si abitua alla sua nuova vita e non la disprezza, cerca di vederne i lati positivi. Va avanti così ma poi, prima lentamente poi di colpo, si affaccia lo spettro della noia e prega che gli accada qualcosa di nuovo o che trovi un modo per cambiare questo stato di cose. Girovagando per l'isola trova un pacco. Incuriosito e felice lo apre, scoprendolo pieno di libri: copertine rigide e tutti colorati. Il suo cuore è colmo di gioia. Proprio come il mio. Ma non so perché non ricordo come finisca quella storia. La fantasia svanisce mentre apro la scatola e trovo tanti piccoli involucri del tutto uguali a quella della gigante scatola. Sbavando per terra per la contentezza ne apro una e dentro trovo una marea di pillole.

Davanti ai miei occhi appare qualcosa che associo a pillole di aspirina, ma intuisco dall’odore che non è così. Sento gli occhi umidi. Reminiscenza: la storia terminava con una macabra scoperta: tutti quei libri erano scritti in giapponese. All’improvviso quella narrazione terminava in quel modo…..ma la mia prosegue. Resto immobile per mezz'ora tentando di non pensare a niente ma non ci riesco. Butto giù due o tre pillole. Le ingoio e non sento niente. La crisi globale era giunta di soppiatto e ci aveva colti tutti all'improvviso. Nessuno era riuscito a reagire con prontezza e criterio. I rapporti diplomatici furono le prime cose a cadere e diventammo tutti, all'improvviso, nemici. Loro hanno il nostro cibo. Non si riusciva a pensare ad altro. Noi soldati del B.I.M.B.I., ente governativo speciale del mio Paese, ci trovammo in terra straniera in cerca di viveri. E questo è quanto. La gloriosa missione del mio paese... E troviamo pillole. I miei superiori mi faranno a pezzi se porterò loro questo schifo. E' tutto un delirio. Voglio mangiare! Voglio mangiare! Voglio-

Le note si interrompevano all'improvviso. L'uomo guardando sotto di sé si accorse che accanto al cadavere vi erano pure i corpi di tre esseri umani spolpati fino all'osso. Vide anche sul braccio sinistro di uno dei corpi vi erano evidenti segni di morsi. Il terreno ora è colmo di quelle che sembrano medicine.

sabato 13 aprile 2013

Reali Finzioni

Reali Finzioni

Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo.”

    - Blaise Pascal



Il rumore degli spari copre tutti i suoni di sottofondo, non riesco nemmeno a percepire il battito del mio cuore. Ma so, senza alcun dubbio, che batte con un frastuono tale da competere con un assolo di batteria suonato a velocità allucinante. In questi casi tutti sparano ma senza mirare. Sono tutti troppo impauriti o scossi da fermarsi un attimo a prendere la mira. Siamo esseri istintivi, in fondo vogliamo tutti solo riportare a casa la pellaccia. E quindi spariamo riducendo i nostri ripari a scolapasta. C'è qualche colpo fortunato e magari qualche grido. Magari qualcuno cade a terra. Esulti due secondi contati e poi continui. Ecco, ora è proprio così. Guardo a destra cercando di intravedere il mio socio. Mi da un ok con la mano. Siamo ancora tutti interi.

Qualche passo dietro c'è anche il terzo elemento della squadra. Di solito lei è l'hacker del gruppo ma per questa sortita ha scelto di venire con noi. Ovviamente la sua mira è ridicola ma si da da fare. Non è eccessivamente bella né affascinante ma sono terribilmente attratto da lei. E c'è un buon 10% che la cosa sia ricambiata. Ad ogni modo avanziamo lentamente: le nostre pistole a impulsi funzionano a dovere e non c'è mancanza di proiettili. Dieci minuti dopo l'ultimo è caduto e ci alziamo dai nostri ripari. Il mio compare lamenta un dolore al ginocchio, ma ce la farà. Mi dispiace per il dolore: il ginocchio, insieme allo stomaco, è il punto più doloroso in cui ricevere un proiettile. Esperienza personale.

La tipa si ferma a soccorrere il ferito mentre io procedo da solo. Secondo la planimetria che è dentro il mio Magiko dovrebbe essere la seconda a destra. Avanzo con cautela, il silenzio è tutto. Svolto l'angolo e mi ritrovo davanti un energumeno. Riesco a colpirlo in due punti prima ancora che riesca a prendere in mano l'arma. Sentendo l'odore della carne bruciata lo supero, eccomi alla porta. Non riesco a leggerne i caratteri ma so benissimo che è lì. Questa scena me la sono prefigurata un milione di volte e ognuna di esse aveva un finale diverso. L'avercela davanti mi fa solo sorridere. Prendo fiato e la sfondo con un calcio frontale, facendo irruzione come dei poliziotti da fiaba.

La prima cosa che vedo è il mio primo obiettivo: il quarto elemento della squadra. Era stata presa poco tempo prima perché aveva avuto la fantastica idea di giocare a fare l'eroe, da sola. Si trovava su una sedia con le mani legate dietro la schiena e un panno appallottolato nel cavo orale. Sembrava insultarmi ma non capivo bene. Bene, sono a metà. Mi avvicino a lei ma appare un tizio che mi sbarra la strada. Non sembra molto contento di vedermi. E' mio fratello, il braccio destro di tutta quell'organizzazione malata che volevamo fare a pezzi. Ci guardiamo in cagnesco, da bravi gemelli quali siamo. Come in un copione buttiamo le armi e ci mettiamo in posizione di combattimento.

Iniziamo a darcele. Avevamo studiato entrambi il combattimento corpo a corpo nell'esercito e avevamo le medesime caratteristiche. Sarebbe stata la fortuna a decidere chi sarebbe stato il vincitore... Sembrava di combattere con uno specchio. Dopo molti tentativi lo stringo all'angolo e piazzo un calcio circolare alla sua tempia, le gambe gli cedono. Lo scruto per vedere se succede qualcosa ma niente, abbasso la guardia. Poi lui, improvvisamente, si lancia verso la pistola che aveva lanciato pochissimo tempo addietro e prova a spararmi, io mi tuffo per terra schivando il colpo e contemporaneamente prendendo la mia. Poi gli sparo, disintegrandogli il cuore. Si accascia senza vita ma non piango per lui, se l'era cercata. Libero la mia compagna e usciamo insieme dalla stanza.

Grazie.” Mi dice. Poi mi abbraccia.

Dovere!” Rispondo ricambiando l'abbraccio.

Decidiamo che io sarei andato a scovare il capo mentre lei avrebbe disattivato la rete elettrica per non permettergli di fuggire. Ci separiamo e sono di nuovo solo. Cammino ricontrollando il mio Magiko sulla mano. Arrivo ad un altra porta, molto simile a quella di prima. Non busso ma apro lentamente la porta. Lui è lì ad aspettarmi. Guarda il paesaggio fuori dalla finestra con le mani intrecciate dietro la schiena.

Finalmente ti vedo. Sarà un piacere molto breve perché ho intenzione di svitarti la testa!”

Vieni a prendermi!” Gli dico stringendo la pistola. Lui si getta verso di me e cerco di sparargli...



<< Bene, fermiamoci qua. >> Dice il Raist il Mago. << Si è fatto tardi e domani ho lezione all'università di Kinston. Raccogliete la vostre cose, vi voglio fuori da casa mia entro cinque minuti! >>

<< Ma stavo già tirando i dadi per vedere se lo colpivo! Proprio alla fine... >> Rispondo lasciando cadere i dadi sul tavolo. << Mancava così poco. >>

<< Beh comincio anche io a essere stanco. Domani ho il giro di ronda. >> Dice Carmon. E' un soldato che sta ai cancelli della città. Di fatto non fa nulla tutto il giorno, ma ogni tanto si presta a questi giochi.

Le due donne si alzarono ringraziando. Poi se ne vanno insieme dato che abitano insieme nelle camere dell'università dove lavora il vecchio mago che ci fa da Magister.

<< Pip, buona notte! I giochi per stasera sono finiti. >> Mi chiude la porta in faccia.

Me ne vado verso la taverna, insoddisfatto. E' tornato tutto come prima, una normalissima serata senza alcun colpo di scena. Di draghi non se ne vedono più da secoli e il regno è in pace. Non si sa né come né perché ma persino le tasse sono basse. Il mio impiego come fabbro mi da abbastanza per campare dignitosamente ma manca qualcosa. Mi sento inutile. Al mattino quando mi sveglio, la notte quando vado a dormire, mentre lavoro, al mercato. Non è noia, ho tante cose da fare, eppure sento che manca qualcosa. Le serate da Raist sono le cose che aspetto tutte le settimane, almeno nel mondo di Arret sono un importantissimo soldato sempre in giro per il mondo a sgominare organizzazioni terroristiche con un super team. Qui sono solo un fabbro. Alcolizzato per giunta.

In taverna Otiv mi fa le solite domande. Ormai è abitudine, dopo ogni serata di gioco mi aspettano due pinte di birra (e spesso anche altro...). Lui nota la mia solita espressione storta e laconica. Non mi fa la solita domanda, ma invece mi chiede perché continuo ad andarci. Dice che mi sto facendo del male e che questo mi farà stare sempre peggio. A stare sempre fra le nuvole si perde di vista il fatto che esiste comunque la forza di gravità. Bevo due sorsi pensandoci poi decido di rispondergli. O forse rispondo a me. Quando saprà la risposta ve lo farò sapere.

<< Lo faccio perché è divertente. Questa vita mi sta stretta, voglio correre all'avventura e fare qualche stupidata. Penso che, nonostante questo bel periodo di prosperità, ci sono persone che non possono essere felici perché vogliono comunque qualcosa di nuovo. Non basta stare bene perché troverai rogne anche quando stai bene. E' un circolo vizioso infinito. >>

<< Io sto benissimo e gli affari non vanno così bene da tempo. >> Un'argomentazione che fa a pezzi il mio castello di convinzioni fittizie.

<< Beh io no. Tutto questo non mi basta. Qui non sono nessuno. Almeno una sera a settimana sono chi scelgo di essere, senza se e senza ma. Ho bisogno di sentirmi importante suppongo. >>

Mi ride addosso. << Ma è una finzione Pip. E' solo nella tua testa. >>

<< Esatto, ma a me sembra reale, almeno per quelle due o tre ore. E non cominciarmi a dire che sono troppo grande per queste cose. La verità è che mi manca qualcosa, odio la monotonia. Mettere ferri ai cavalli non è il massimo della vita. >>

Otiv se ne va a servire un altro cliente e io continuo a rimuginare su queste cose. Penso che vivere senza autostima sia come camminare con un piede ferito e solo Roht sa quanto mi fanno male i piedi. Finisco la birra e, dopo un poderoso rutto, torno a casa.

sabato 6 aprile 2013

L'InFerno è Freddo

giuseppe 7

L'InFerno è Freddo.

A volte l'uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.”

    - Fedor Dostoevskij



Una strada sterrata, la via è diretta. Cammino mano nella mano con una donna, il suo volto è sfocato, non riesco a vederlo. Chi è? Poi volgo la testa proprio davanti a me e lo vedo, chiaro come il giorno nonostante sia buio. E' davanti a me e cerca di risucchiarmi. Un Baratro gigantesco. Un burrone di proporzioni epiche. Il cuore comincia a battere forte e mi assale la paura. Lei vuole spingermi giù e cerco di staccare la mia mano dalla sua. Urlo...

Mi sveglio gridando. E' tutto molto vivido dentro di me, a parte il viso della donna. Sono sudato fradicio nonostante sia inverno inoltrato. Ho i capelli umidicci e ho solo voglia di fare una doccia. Vengo investito da un mare di ricordi. Belli e brutti. Insignificanti e non. Una cascata di immagini, suoni, colori e odori. La mia mente, in quel caos primordiale, li cataloga come una brava segretaria e il caos dura solo pochi secondi. Investito dal getto di acqua calda cerco di analizzarli uno per uno. Alcuni mi sono tornati in mente ultimamente, altri no. Non sembra esserci un ordine o, in ogni caso, io non sono in grado di intravederlo. Ricordo il mio primo giocattolo, il cane che non ho mai avuto, il compito di greco che ho sostenuto il terzo anno del liceo (quello in cui presi 3). E dopo tutto questo materiale sepolto che torna indietro come zombie affamato rientra anche lei. Potentemente, come se fosse un ariete che spezza i portoni della mia mente. E d'un tratto capisco chi diavolo era quella donna. Subito dopo concludo che era meglio non sapere. Come disse un saggio in un film “l'ignoranza è un bene”. Sono dell'opinione che chiunque critichi questa frase sia un idiota. Senza se e senza ma. E sono anche conscio del fatto che, grazie a ciò che ho detto, saranno molte le persone a reputare ME un idiota. Ma tanto è tutto già visto. Niente di nuovo sotto il sole.

L'acqua bollente mi morde delicatamente. Sento un leggero benessere. Un calore che rigenera, che nutre. Dentro la doccia tornano prepotenti altri ricordi che non avrei voluto assolutamente rivangare, ma tanto è il tema della nottata, suppongo dovrò rassegnarmi. Mi vengono i mente tutti i regali inutili che le ho fatto e tutte le volte che mi sono comportato da zerbino. Una spirale di azioni stupide condite da buonismo impeccabile e da quello che io chiamo “sputare arcobaleni addosso alla gente”. Dio come mi odio. Ad un certo punto l'acqua diventa di colpo fredda. Realizzo che sono rimasto sotto l'acqua più del dovuto e che è finita l'acqua calda. Ho perso la cognizione del tempo, immerso com'ero nei ricordi. Sembra sia passato solo un attimo... Metto l'accappatoio e vado in soffitta a cercare qualche indumento più caldo da mettere. Tra scatoloni di robaccia e vecchie riviste di fantascienza trovo quello che cerco: una scatola bianca senza imballaggio. Tolgo gli indumenti uno ad uno per arrivare a quello che cerco e proprio sopra una felpa vecchissima vedo ciò che non avrei proprio voluto vedere. Non oggi, almeno. Quella foto. Non la vedevo da diversi anni. La cornice è di plastica, una di quelle che si compra per due euro in una qualsiasi cartoleria, alcune righe bianche sull'immagine fanno capire che è stata piegata diverse volte.

E' una foto che abbiamo fatto durante un viaggio in America, si intravede il gran canyon sullo sfondo. Poi ci siamo io e lei uniti in un bacio, uno di quelli da film che non esistono nella vita vera. Siamo messi di proposito lontani dal centro, per permettere a chi guarda di intravedere il paesaggio circostante. Ormai non si vede quasi più niente. La foto è deturpata in più punti. Ricordo che passai un'intera giornata a graffiarla con le unghie, con una penna, usando anche un taglierino. E' incredibile quello che riesce a fare un uomo quando è sufficientemente motivato a fare qualcosa. E anche un po' frustrante. Ho rovinato quasi tutta la foto rendendo così l'immagine simile ad un paesaggio evanescente o fantastico. Io volevo solo rovinarla... Poi noto un particolare che non avevo mai notato prima e che mi spinge a digrignare i denti per la sorpresa e anche per il fastidio. La sua figura è quasi immacolata. La mia furia distruttiva ha, non saprei dire se volontariamente o no, corrotto gran parte della figura lasciando intatta solo la sua figura. Altra cosa frustrante di questa sera. Mi vesto e rimetto a posto la foto nella scatola. Tanto ormai è entrata di prepotenza nella mia mente.

Mi sento sotto assedio. Ringrazio iddio che l'indomani è domenica e posso dedicarmi al dolce far niente tutta la giornata. Poi mi rituffo a letto. Le forze nemiche non lanciano altri assalti.

La mattina la passo a guardare porno e a guardare b-movies, mi aiuta molto (ma non abbastanza). Non faccio altro che pensare alla foto e al perché abbia lasciato lei immacolata. E' stato un caso? E' stato l'inconscio? Ero sbronzo? La foto sembra non voler rispondere. Così esco. Pranzo fuori e passo il pomeriggio al cinema. C'è un bel film che aspetto da tempo. Il film tocca alcune corde, come ogni film che si rispetti, ma riesco a non pensare troppo. E' stato solo un sogno... Uscendo mi dirigo al pub, dove ho un appuntamento con alcuni amici. Fuori fa davvero freddo. Respirando libero nuvolette bianche e mi sembra di fumare. Improvvisamente sul campo di battaglia della mia mente comincia a scendere un velo bianco di neve. Prendo la prima birra verso le nove, mentre iniziano a suonare. La musica di sottofondo è un toccasana per la mia mente dilaniata. Mi riscalda un po'. Arrivano i miei amici e cominciamo a parlare. Cerco di non far vedere i miei problemi ma più o meno tutti capiscono (tranne la ragazza del mio migliore amico, ma lei è davvero un idiota). Cercano di coinvolgermi nonostante il mio silenzio forzato. E continuo a scolare birre. Quando comincio ad essere un po' brillo sento qualcuno dire qualcosa come “di nuovo?” guardandomi di sottecchi. Capisco al volo ma non replico.

Il troppo alcool nel corpo mi da una sensazione come di gelo e comincio a tremare. La mia mente vaga alla ricerca di qualcosa e penso a quanto sarebbe bello sdraiarmi insieme ad una persona, a stringermi nel suo calore come fosse un bozzolo. Ne sarei rinato come una falena, attratta da un nuovo fuoco più in là nella sua breve vita. Le mani che mi toccano, i denti... i Capelli. NO. Non oggi. Non stasera, gli assedianti vogliono prendermi per fame, dato che non riescono con le armi. Butto altri soldi al bere e torno caracollando al tavolo. Gli occhi semichiusi fanno capire agli altri che non è serata ma la prendono a ridere. Nessuno, come me, vuole crogiolarsi nel freddo. Circa un'ora dopo, nel totale oblio, mi butto sotto al palco a dare qualche spintone a qualcuno. Cado ridendo più di una volta, ma mi rialzo sempre. Quando tutto finisce mi ritrovo per terra, nella pozza del mio stesso vomito, una lacrima mi solca la guancia ma tutti pensano sia sudore. Mi caricano di peso, poi chiudo gli occhi. Appena li riapro vedo un paesaggio sfrecciare intorno a me mentre un rumore borbotta. Chiudo gli occhi un'altra volta ed entro nella notte più nera.

Fa molto freddo. E sono da solo, avanzo nella tormenta di neve. Sto camminando in un piazzale. Intorno a me sfrecciano uomini coperti d'acciaio, qualcuno mi urta ma mi chiedono subito scusa. Dall'alto cadono come delle comete. Impattano sulla costruzione dietro di me, cadono pietre. Cammino senza meta sentendomi sempre più spossato. Rientro nel castello, in cerca di un fuoco ma non trovo nulla. Provo ad accenderlo e riesco solo dopo molti tentativi. Neanche un'ora dopo dietro di me sento una presenza. Mi giro e vedo una figura in armatura completa, ha in mano uno spadone a due mani e ha la faccia coperta dall'elmo. Anche se non ne vedo gli occhi so che mi scruta. Alza la visiera e vedo lo stesso viso del sogno dell'altra notte. Un viso bellissimo, dai lineamenti delicati. Sta sorridendo. Ma io ne ho solo orrore. Afferro una spada che si trova a fianco del caminetto e mi preparo a combatterla come fosse un diavolo dell'inferno. La sua bellezza è la mia paura, i suoi occhi blu mi guardano e mi ghiacciano, sono impietrito. Non riesco a restituire lo sguardo.

Mi attacca con la sua spada, per poco non mi taglia la testa. Perché lo sta facendo? Questa fortezza è inutile, sta in mezzo a nulla e non ha importanza da nessun punto di vista. Conquistarla non le darebbe niente. L'unica cosa che prenderebbe sarebbe la mia vita, ma quella in parte se l'era già presa. Questa consapevolezza la fa vacillare. Capisco di essere nel giusto. Siamo piccole isole nel nulla, siamo in mezzo ad un deserto fatto di neve e per comunicare dobbiamo tracciare lunghi sentieri nella neve. Come l'inferno. L'inferno non può essere caldo e pieno di fuoco. Il calore è la frenesia, il movimento, la furia: la vita. Il posto peggiore di tutti non può essere così. Il freddo è la stasi, la solitudine, l'immobilità. La morte è immobilità, la fine del movimento. E i suoi mostri sono fatti di ghiaccio. Ma questi mostri li ho creati io e perciò li posso distruggere. La guardo negli occhi con sicurezza e tutto mi è chiaro. Prima che tutto diventi bianco rimane il viso di lei impresso nei miei occhi. Davanti a me c'è una persona che scambio per lei ma è solo un residuo del sogno. E' un dottore che mi dice cose ovvie.

Lo ascolto con finto interesse e poco dopo sono pronto per tornare a casa. Mi sento diverso, più sicuro e perfettamente in salute. Tutto il contrario di ieri. E mi sento anche cambiato, forse un uomo nuovo. Mi riprometto di non lasciarmi più andare in balia dei ricordi e torno a casa. Cerco quella foto, determinato a deturpare anche la sua figura, ora che l'ho sconfitta. Ma quando la prendo in mano scopro che qualcuno l'ha già fatto. O che forse ieri mi era apparsa immacolata a causa della mia suggestione. Non avrò mai la mia risposta. E non mi interessa. Per quel che ne so è sempre stata così. Il mio è stato solo un sogno. E non ricapiterà mai più.



Una settimana dopo...



Una dura giornata di lavoro. Torno a casa e mi butto nel letto senza togliermi i vestiti. Crollo subito nelle spire di Morfo.

Una strada sterrata, la via è diretta. Cammino mano nella mano con una donna, il suo volto è sfocato, non riesco a vederlo. Chi è? Poi volgo la testa proprio davanti a me e lo vedo, chiaro come il giorno nonostante sia buio. E' davanti a me e cerca di risucchiarmi. Un Baratro gigantesco. Un burrone di proporzioni epiche. Il cuore comincia a battere forte e mi assale la paura. Lei vuole spingermi giù e cerco di staccare la mia mano dalla sua. Urlo...