venerdì 17 aprile 2020

A Qualsiasi Costo

Questo racconto è stato scritto per la "Gara Letteraria: Archivio del Manicomio", del "Creature Antiche Vivono Ancora"". GDR.

A Qualunque Costo

E' il 04 Giugno del 1952. Sono il dottor John Randall e ci troviamo all'Ospedale Psichiatrico "Santa Vipera degli Addolorati" di Nouvielle. Questa è la registrazione del trattamento, il numero 66, somministrato alla paziente Alexis Leppington e vale come un documento ufficiale.

J: Bene, possiamo iniziare.
A: Mi chiamo Alexis Leppington e... Dannazione, sarà la centesima volta che lo ripeto: a cosa serve?
J: Tutto ha uno scopo, Alex, anche se non riesci a vederlo. Ti prego di tornare in carreggiata.
A: Va bene... Dicevo, sono Alexis Leppington e sono quì perchè sono malata.
J: Puoi essere più specifica?
A: Ho visto un fantasma e, quindi, ho deciso fosse il caso di rinchiudermi in questo manicomio.
J: Non esagerare. E poi, ti correggo, "credi di aver visto un fantasma". Tu stessa ti sei resa conto del problema e sei corsa ai ripari. E' da ammirare.
A: Si, certo, come no. Del resto, mica lo ha visto lei. Se sono venuta quì è perchè... Oh, al diavolo. I miei problemi sono iniziati con... Si sentono sillabe senza senso e la voce sembra rompersi in un pianto.
J: Abbiamo tutto il tempo.
A: Josh. Tutto è iniziato con Josh. Io lo amavo, credo di amarlo ancora e sono sufficientemente sicura che non amerò mai nessun altro in questo modo. Anzi, forse non amerò nessuno e basta.
J: Come avete iniziato a frequentarvi?
A: Come tutte le persone normali: amici di amici. Era il solito tipo "strano", nonostante tutto. Musicista, appassionato di folklore di popoli lontani e, nemmeno a dirlo, di storie dell'orrore. Tuttavia, almeno i primi tempi, riusciva a tenersi per sè queste sue fissazioni.
J: Quando è cambiato qualcosa?
A: Qualche mese dopo. Con l'intimità, s'è sciolto. Era sempre triste, ansioso e nevrotico... Aveva bisogno di una spalla su cui piangere e di conforto. E, nonostante tutto, sapeva farlo anche lui, con me. Sebbene, spesso si finisse a fare a gara a chi stava peggio.
J: Continua a descriverlo.
A: Maledettamente sensibile, insicuro e instabile. Intelligente da dar fastidio. A letto un totale e inutile incapace, anche se era affettuoso come un bambino. Ogni tanto, però, tirava fuori...
J: Può bastare.
A: Aspetti. C'è dell'altro... Facevamo delle "cose" a letto, cose tra noi. Servirà per dopo. Dicevamo, aveva passioni strane e leggeva un sacco di libri. Se non suonava quella maledetta tromba, maldestramente, credo fosse un musicista mediocre, leggeva. Di tutto e di più. Fu una sera d'estate che mi raccontò di quella storia di fantasmi giapponese, quella del tizio che promette all'altro che si sarebbe fatto vivo la Notte di Capodanno, a qualunque costo. Mi rifiuto di raccontarla nuovamente.
J: Va bene. Le cose, però, sfuggirono di mano.
A: Le coppie litigano sempre e noi non facevamo eccezione, ma problemi seri, direi, non ne abbiamo mai avuti. Se non che, come si sa, morì qualche anno dopo. Una malattia mortale che aveva nascosto a tutti, anche a quella vipera di sua madre. Morì in pochi giorni, sparendo dalla mia vita velocemente come era apparso. Ovviamente... Non la presi bene.
J: Ci mancherebbe.
A: Iniziai a prendere medicine per dormire, frequentai chiese e strizzacervelli, spesso insieme. Ero sempre a farmi la stessa domanda: "perchè?". Come se saperla potesse darmi la pace. Avevo deciso che non meritavo tanta sofferenza e mi ritrovai a sognarlo, a chiedere agli Dei o a Satana, a chiunque, di riportarmelo indietro. Che avrei dato tutto... So che sembra strano, da come ne ho parlato, ma, come dire... Mi capiva. Io avevo bisogno di una persona amorevole. Iniziano a sentirsi sospiri di sigaretta. Forse, il mio, era solo egoismo.
J: Poi?
A: Poi avvenne il fattaccio. Suonarono alla porta ed era lui. Vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, ma con un cappello che gli copriva il viso. Ma SAPEVO che era lui, sebbene il suo odore sembrasse "strano". Provai a gridare, ma mi tappò la bocca con la mano, poi mi portò sul divano e...
J: Sembra un'aggressione sessuale, raccontata così.
A: Si, è vero. Ma era uno dei nostri... "giochi". Per questo, la cosa divenne ancora più incredibile ai miei occhi. Josh era morto, ma era indiscutibilmente lui quello con cui stavo giacendo. Quindi, che fare? In lacrime, mi lasciai andare e, poco dopo, mi svegliai nel mio letto.
J: Forse è stato un sogno. Sei tu che lo hai evocato.
A: Ma sentivo il suo contatto, la sua pelle fredda... Il suo respiro cadenzato, le sue manie... Era tutto lì. E, quel giorno, mi aveva stretto fortissimo i polsi. Al risveglio, me li ritrovai doloranti.
J: Autosuggestione, oppure ti sei adoperata da sola.
A: Indubbiamente. Ma successe altre volte. Così tante che credevo di essere impazzita. La voce sembra cambiare tono, diventando più stridula. Era lui, il mio Josh, eppure... Era così freddo, i suoi occhi così blu. Era un sogno: un sogno e un incubo insieme. Mi sentivo felice, ma impaurita... Cosa fare? Ma lo lasciai fare.
J: O, meglio, hai iniziato a darti da fare su te stessa.
A: Dopo chissà quante volte, glielo dissi: "Non posso continuare a stare con un morto! Dannazione, vattene!" L'avevo ormai compreso, stavo amando un morto vivente. Il dottore non riesce a reprimere un risolino. L'amore mi aveva reso cieca, ma, col tempo, persino un idiota l'avrebbe compreso. Lo mandai via.
J: E "lui"?
A: Mi rispose in un modo che non volevo. "Tu mi hai chiamato!" Aveva urlato, ricordandomi di quella stramaledetta fiaba. "Ci siamo scambiati amore eterno e io sto saldando la mia parte! Sono quello che vuoi, ma non basta più!" Diceva, col suo solito modo nervoso di parlare... Pare che, certe cose, nemmeno la morte le può cambiare.
J: Ti prego, finiscila di parlarne come se fosse successo davvero.
A: Lei era lì, dottore? Silenzio. Il suo pragmatismo è asfissiante. Ma, ad ogni modo, lo mandai via.
J: Ma "lui" continuò a farsi vedere.
A: Si, ovunque. Al supermercato, in Chiesa, a lavoro, nei miei sogni e sotto la mia finestra. Aveva iniziato a spiarmi, lo vedevo ovunque. Iniziai davvero a preoccuparmi, non potendo più dire a me stessa che me lo stavo inventando (perchè ci avevo provato!). Tornò il panico da fine del mondo, anche se per motivi diversi, e smisi nuovamente di dormire. Iniziò la tiritera di medici e medicine, prima di andare alla Stazione di Polizia.
J: Non andò bene, vero?
A: Evitiamo di parlarne... Sento ancora le risate. E non era cambiato niente. Urlava "Ti Amo" alle finestre, mi aggrediva mentre facevo la spesa, mi spiava in bagno... Alexis sembra aver iniziato a piangere, seppur sommessamente. Io lo amavo, capite? Lo amo ancora, ma... E' diverso. E' morto, diamine! Che se ne torni nella sua bara di merda! Singhiozzi.
J: Quì sei al sicuro, Alex. 
A: Come fai a svegliarti la mattina, vedendo il tuo amore morto davanti alla porta di casa? Come? A raccontarmi sempre quella maledetta storia di fantasmi, per tormentarmi! Urla di pianto. Maledizione! 
J: Poi cosa avvenne?
A: Non potendolo allontanare, me ne andai io. Venni quì, sperando di risolvere il maledetto problema. Quì evadere è difficile, per cui, ho pensato, raggiungermi era difficile. E per un pò, ebbi ragione. Venni ricoverata per le solite cause: isteria femminile, nevrosi e tutto il resto, ma mi andava bene. Non vedevo più Josh. 
J: Cosa è successo una settimana fa?
A: Ero nel mio letto, stavo prendendo sonno... E l'ho visto. Era un'ombra pallida, evanescente, ai piedi del mio letto. Con la sua solita espressione e il cappello in mano. Sembrava triste. Io avevo talmente tanta paura che mi paralizzai, mandandogli maledizioni dal silenzio della mia mente. Ma lui si avvicinò, fino a toccarmi. Il suo tocco sembrava quello dell'acqua ghiacciata del Nord. Mi disse: "Hai visto? Sono tornato, te l'avevo promesso! Come in quella storia!" Urlai, arrivarono gli infermieri e... E... Mi avete fritto il cervello. Friggete sempre il cervello di tutti. Ma, da come sto ora, deduco che il voltaggio fosse basso. Spero lo aumentiate, così sarò libera.
J: Ma, se muori, non ti ritroveresti nel suo stesso "regno"?
A: Come, scusi?
J: Dicevo, se morissi, poi con chi passerei il mio tempo? Silenzio, lungo un minuto. Alexis inizia a respirare pensatemente. E' successo ancora?
A: Certo. Sembra il ritmo di respiro di uno in preda al panico. Molte notti... Lo vedo nella mia stenza, pallido come uno spettro. Deve aver venduto il suo corpo al DIAVOLO così da poter superare le pareti come un fantasma. Come...
J: Come la storia, sì. Il samurai, imprigionato dai nemici, per evadere dalla prigione e superare tutti quei chilometri, si era tagliato il ventre. Da spirito aveva mantenuto fede alla promessa. Ammirevole.
A: Come ha detto? Ma si sta sentendo?
J: L'ora sta per terminare, si affretti.
A: E' tornato altre volte... Mi tocca con quelle sue mani CONGELATE, mi tocca ovunque. E' successo anche stanotte. Io... Mi aiuti!
J: Cosa potrei mai fare? Dovresti accettare il suo amore. 
A: Porca puttana, è impazzito! Eppure lei è il medico!
J: Il MIO amore! "A qualunque costo", come ti dissi! Eccomi!
Alexis urla, si sente rumore di colpi, tavoli che sbattono e grida soffocate. Poi, silenzio.

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