mercoledì 23 gennaio 2019

Il Lungo Sonno, Parte 2

Il Lungo Sonno, Parte 2


Il Possente, quindi, tornò nella Sala del Trono, raccogliendo il suo elmo alato, simbolo della sua persona al pari del Mjolnir, il mistico maglio di Uru. E nel farlo, rifletteva. Chi poteva essere? Quale forza mitica e atavica era riuscito a scuoterlo dal suo esilio mentale? Era tutto molto soffuso: anche a lui stesso era difficile comprendere le ragioni profonde che lo avevano portato a "dormire". Semplicemente, un giorno aveva deciso che era abbastanza. Vero è che, a suo dire, non è mai stato adatto al comando, se non altro a quello della più grande delle Città. Il suo cuore non aveva remore e dubbi, Balder avrebbe regnato bene, esattamente come successo finora. Thor, però, era sempre stato la Divinità eletta per i cuori umili, per i deboli e il volgo comune e, come tale, avrebbe riposto le suddette al di sopra di ogni cosa, persino al di sopra di Asgard. Il Figlio di Odino mise mano al maglio e si sentì subito meglio.

Il Principe di Asgard aveva vissuto indefiniti anni, probabilmente era morto e risorto più volte e aveva visto moltissime cose. Aveva perforato il confine dei signo ed era tornato indietro, aveva camminato sul sole e combattuto le più grandi abominazioni anche solo pensabili. Ed era sempre tornato, senza mai soccombere. Mettere mano alla sua arma d'elezione, anche dopo millenni, eoni, era sempre come la prima volta: era come se una scarica di fuoco vivo, di energia, fluisse dentro di lui in un attimo. Si sentiva completo, come non era possibile altrimenti. Ricordava, nelle sue peregrinazioni oniriche, anche di una realtà in cui aveva perso un braccio, sostituito da uno artificiale, fatto di Uru. Pensò subito che potesse essere solo un'assurdità: gli Dei non erano mortali, non potevano essere feriti in maniera così blanda. Fu sul punto di andare, quando pensò alla sua Signora, Lady Sif. Forse era il caso di salutarla. Si diresse perciò nei suoi appartamenti e bussò con la gentilezza di un bambino. Nessuna risposta.

- Mia Signora...

Entrò, aprendo la porta. La stanza era deserta, l'armatura non al suo posto. La sua Signora era evidentemente in missione, chissà dove. Potrebbe andare a cercarla... In tutti i Nove Regni non ci sarebbe stato posto in cui lei potesse essere nascosta alla sua presenza, volente o nolente. Sarebbe una bellissima impresa, probabilmente degna dei canti dei migliori scaldi di tutti i Reami. Ma non poteva, nemmeno l'amore, se anche lo fosse stato, era superiore ai suoi obblighi. Il Dio del Tuono, tuttavia, non vedeva tutto ciò come una costrizione, ma una benedizione. Lui aveva uno scopo, ed era contento di conoscerlo praticamente da sempre. Lui era benedetto da un obiettivo, in un universo in cui la vita sembrava scorrere per inerzia. E così decise. Mosse leggermente la sua arma, aprendo un portale. Vi entrò e deboli folate di vento cosmico fecero cadere uno dei vestiti della Bella Sif, dai capelli corvini. Il Tonante scomparve, come se non fosse mai esistito. Subito dopo, una donna entrò nella stanza. Il suo pianto addolorato e pieno di colpa, si disse, aveva scosso le fondamenta del Palazzo degli AEsir.

Altrove, molto lontano da lì, in mezzo a delle rovine diroccate e a scheletri di autovetture e palazzi, apparve una figura imponente.

La polvere galleggiante e il vento non sembravano toccarlo. Il suo mantello rosso scarlatto era al di sopra della debole terra di Midgard e nemmeno svolazzava per il vento. Era lì, ma allo stesso tempo no. Il grido di aiuto che aveva sentito lo aveva legittimato a spogliarsi dei panni dell umiltà, per indossare quelli dell'autorevolezza. In quel momento era più vicino ad un padrone che ad un amico. E quale effetto potevano fare semplici effetti climatici e sporcizia al più grande Signore degli Elementi? E brillava di luce divina, in quel posto ombroso. Il sole sembrava coperto da nubi arancioni e ovunque c'era solo desolazione. La sua amata Midgard sembrava una latrina. Questo lo addolorò, ma non cambiò espressione. Si lasciò guidare dall'istinto, come un cane che segue il fiuto. Avrebbe trovato la fonte della preghiera, avrebbe giurato non sarebbe stata molto lontana. Chi aveva causato quella sciagura? Perchè non vedeva nessuno? Chi aveva potuto spegnere le luci di quella mirabolante città? Sembrava uno di quei pianeti discarica che tante volte aveva visto nei suoi viaggi.

Davanti a lui, però, ecco apparire due luci rosse: inbdubbiamente degli occhi. Ma appartenevano a qualcosa di non umano. Non appena il Tonante si avvicinò, lentamente, notò dei colori familiari. Giallo e rosso. Il Dio non aveva perso la memoria, per nulla. A causa di questo si ritrovò subito a pensare alla cosa più ovvia. Ma, nel tempo di questi pensierei, la figura imponente si fece vedere, in tutta la sua grandezza. A Thor ricordò vagamente il distruttore, anche se un pò più grezzo, essendo privo della magia mistica della sua terra e, anche, delle forme gentili forgiate dagli Dei. Sembrava in tutto e per tutto un'armatura del suo amico Tony, solo mille volte più grande. L'istinto, inoltre, stava suggerendo al Tonante che la luminescenza minacciosa degli occhi non fosse una cosa positiva. Ancora in dubbio sulla faccenda, allungò una mano, come a voler parlare. Ma la macchina, in un attimo, forse percependolo tramite sensori, emise un singulto. In seguito una salva di missili partì dall'esoscheletro, colpendo ogni centimetro del corpo del Dio, in un attimo. La figura divina si ricoprì dei fumi dell'esplosione, mentre l'automa lanciava una nuova arma. Un raggio luminoso, rosso, scaturì dal suo petto, diretto verso il Figlio di Odino. L'esplosione che ne scaturì fece crollare degli alberi lì vicino e ridusse le macerie antistanti a polvere.

Probabilmente una tale scarica di danni, così repentina, avrebbe potuto sopraffare il più forte dei mortali o il mostro più spaventoso. Qualcuno avrebbe potuto dire che sarebbero stati in grado di ferire persino esseri superiori... Ma in quel momento, e soprattutto contro quell'avversario, l'esito fu differente. Dal fumo della battaglia, si stagliò di nuovo la sagoma del Dio del Tuono, senza nessun danno, nemmeno il suo mantello si era sgualcito. Come poteva essere altrimenti? Come poteva una banale macchina anche solo "pensare" di lasciare il minimo segno sull'Araldo del Fulmine? Ma il Dio non perse tempo e scomparve. Il suo volo a velocità inumana lo portò nel ventro della bestia, perforata da un possente colpo del suo maglio mistico. Una volta all'interno, a colpi di martello, si fece strada nel corpo della creatura, in apprensione, dato che aveva paura ci fosse un mortale dentro. Ma non trovò niente e ormai, a causa del suo attacco interno, il nemico era ridotto in pezzi. Non riusciva a capire, ora più che mai era roso dal dubbio. Su un pezzo di lamiera, vi erano scritte le lettere "DemiGod-Killer MK". Il nome del modello era mutilato, probabilmente il resto del codice alfanumerico era in giro per la zona, forse in più parti. Ma l'Asgardiano non notò le parole, perso in voli pindarici della mente.

E mentre rifletteva, cercando una soluzione, una nuova minaccia apparve all'orizzonte: una schiera di altri droni, tutti uguali a quello appena distrutto. Camminavano uniti, come un esercito, con lo stesso ritmo e passo. E, sopra di loro, figure umane volanti. Non solo... Anche ai fianchi e davanti ai robot vi erano piccole figure umane: ne sembravano i comandanti.
Fu allore che Thor comprese almeno una cosa, dell'intera faccenda: gli Eroi di Midgard gli stavano dando il benvenuto.
Con le armi.

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