domenica 22 aprile 2012

Odio

Odio

Colonna Sonora: Bullet Ride – In Flames (2005)



Catanzaro, Ore 16.15



Davide decise che era ora. Buttò con noncuranza per terra il libro che stava leggendo e si alzò con aria assonnata. Aspettava questo momento da circa una settimana. In realtà l'aveva pianificato per ben sette anni della sua vita. Per ben sette anni l'aveva sognato, lo aveva immaginato. Per sette anni aveva sofferto pregustando quel momento. Sentiva il sangue ribollire, l'adrenalina entrava in circolo al solo pensiero di quello che stava per accadere, quasi sapesse.

La vendetta è un piatto che va mangiato freddo.

Lo aveva detto un antico. Davide non sapeva di preciso chi fosse, ma sapeva che era un grand'uomo. Doveva esserlo. Aveva sempre avuto un gusto particolare per le massime universali. Amava conoscerle, ascoltarle e provare a metterle in pratica. Si sentiva bene. Non ricordava neanche più come era successo tutto ma non importava molto. Aveva bruciato tutto in nome di quell'odio, oramai non rimaneva più nulla. Ma Davide lo aveva fatto contento, lo aveva fatto con coscienza. Quel figlio di una gran puttana... Pensava ininterrottamente da quasi dieci minuti. Una frase ripetuta praticamente all'infinito. Una frase che doveva dargli la forza che gli serviva per avverare quello che ormai era diventato un sogno.

L'appuntamento era stato precedentemente fissato per le 17.00 in punto in un vicoletto che era situato in via A. Turco. Era inverno, a quell'ora sarebbe stato sicuramente buio. E questo era importante. Molto importante. Quel bastardo doveva pagare. Quel luogo sarebbe stata una tomba perfetta per quel coglione. In realtà non meritava neanche quello, ma ci si deve accontentare di tanto in tanto. Si, era ora.

Davide chiuse il rubinetto e si asciugò la faccia. Pochi secondi dopo era in camera da letto. Si vestiva per il gran momento. Scelse una maglietta a maniche lunghe nera, completamente; senza qualsiasi simbolo. Nero come la notte. Mise i suoi jeans più scuri e si allacciò gli anfibi. Restò un attimo a fissare il soffitto e a cercare di intravederci qualcosa. Che io abbia paura? Si scoprì a pensare. Probabile. Quando una cosa si avvicina ci si spaventa e quando arriva una cosa tanto attesa l'effetto è centuplicato. Tirò un pugno al muro vicino poi si alzò.

Si diresse nel soggiorno e aprì un cassetto. Prese Goldie. Se la rigirò tra le mani, estasiato. Ogni volta guardarla era come la prima volta. Colore argento lucido. Era splendida. Con quella in pugno si sentiva Dio. Se la mise nei pantaloni. Goldie era la sua Smith & Wesson modello 1911. L'aveva comprata una settimana prima da un'armaiolo situato davanti al teatro che stava lì vicino. L'aveva presa solamente per il suo aspetto, era bellissima. Come e più d'una donna. Era un gioiellino che poteva far saltare in aria, letteralmente, il cervello di un essere vivente, se si sparava dalla distanza giusta. L'aveva provata con dei barattoli in campagna e si sentiva sicuro nell'utilizzarla anche se di mira faceva un po' schifo. Tuttavia, per quello che gli serviva, andava più che bene.

Mise il giubbotto di pelle e mise la pistola nella tasca destra, poi prese le chiavi e uscì di casa. Il cielo era coperto di nubi ma non stava piovendo. Era d'un colore bianco sporco. Davide accellerò il passo. Si fece tutto il corso a piedi, passò vicino a P.zza Matteotti e imboccò la sua via. Lui era lì ad attenderlo.

Davide ebbe un tuffo al cuore. Quello stronzo stava fumando una sigaretta. Appena lo vide accennò un saluto con la mano libera.

Com'era iniziato tutto?

I ricordi erano ormai vaghi,. Davide aveva diciotto anni, Marco ne aveva ventiquattro. Si erano conosciuti quell'estate stessa e avevano legato, erano simili. Poi era accaduto quello che era accaduto e da quel momento avevano litigato in modo serio e i rapporti non erano mai tornati come prima, anche se ogni tanto si sentivano. Davide qualche volta l'aveva chiamato nei momenti di noia. Voleva preparare il campo.

La decisione di chiudere i conti era dettata dal fatto che Davide stava bruciando. Il rancore verso quell'uomo era tale che si sentiva come avvampare. Davide aveva coltivato quel sentimento a lungo. Si sentiva come una falena che, attratta dalla bellezza del fuoco, ci si scagliava contro. Ma evidentemente quel fuoco lo aveva rivitalizzato, invece di bruciarlo. Almeno per il primo momento.

Aveva chiamato Marco la settimana prima fissando quell'appuntamento. Per vedersi, chiarire le cose, salutarsi. Stronzate. Era tutto un cumulo di stronzate. Ma era stato convincente. Marco non s'era accorto di nulla, o almeno così pensava.

Davide mise le mani in tasca.

<< Quanto tempo... >> Così esordì Marco.

<< Già, tanto. Come va? >>

<< Non c'è male. L'università mi sta rompendo i coglioni, ma si tira avanti. >>

<< Sono felice per te... Che mi dici di nuovo? >>

<< Un cazzo. Quella puttana m'ha mollato. >>

<< Oh mi dispiace... >> Disse Davide con un'amara punta di sarcasmo. Gli sorrise in faccia. Marco se ne accorse.

<< Beh? Che cazzo ti ridi? Ancora quella storia? >>

<< No è che... >> Prese fiato. Nella sua mente andò alla ricerca delle parole giuste. Le parole che aveva ripetuto tutto quel tempo. Il soggetto di quella sega mentale infinita. Ora poteva liberare quello che aveva dentro, si era stufato di aspettare. << Non m'è mai andato giù. Lo sai... Siamo anche venuti alle mani se non erro. >>

Nessuna risposta.

<< Me la combinasti davvero grossa. Ma ora è tempo di chiudere questo capitolo infelice. >> Gli porse la mano sinistra sorridendo.

Marco era pensieroso ma accettò la stretta, fu in quel momento che risuonò lo sparo. Poi un grido.

Blam!

Il giubbotto era bucato e fumante. Davide, dopo aver sparato, lo gettò per terra e guardò Marco. Si teneva lo stomaco con entrambe le mani. Il sangue usciva copioso.

<< Dovevo immaginarlo... Perchè? >> C'era rimpianto nella voce.

Davide assaporò il momento. Quello stronzo era alla sua completa mercè. Si sentiva come in paradiso. Fu come sballarsi. Non riusciva a connettere più, tanta era l'euforia. Aveva cercato quel momento così a lungo... Ora era arrivato. E si sentiva felice.

Decise di liberarsi. Di sputare tutto, di chiudere il sipario. In quel preciso momento decise che avrebbe chiuso con quella farsa. I pensieri si affollavano, dovevano uscire. E avrebbe dato loro la libertà.

<< Perchè ti Odio. Ti ho odiato più di quanto abbia amato lei. Molto di più. Non hai idea di quanto ho sognato di vederti così... >> Marco non rispose, Davide proseguì. << Già quando mi combinasti quel bello scherzetto pensai di ammazzarti con le mie mani, come farò tra poco. Ti assicuro che c'ho provato. Ho provato a cercare di spiegare razionalmente il perchè di un rancore così profondo. In realtà non è che mi hai fatto chissà cosa eppure... Non so, era come un bisogno chimico. Come la fame. Io ho bisogno di avere qualcuno da odiare. TUTTI abbiamo bisogno di odiare qualcuno. E' il sentimento primo dell'esistenza. Il conflitto generato dall'odio. Ogni forma di rapporto interpersonale è dettata da un conflitto, di qualsiasi genere... Sia a parole che con una pistola in pugno un conflitto è sempre tale. L'istinto dell'uomo, la sua voglia di prevaricare il prossimo è una cosa reale. Gesù Cristo e tutti quelli come lui sparavano solo un mucchio di stronzate. La pace non esiste. Non è mai esistita. Siamo venuti al mondo scalciando e urlando e questo è il nostro destino... Perciò urla. >>

Sparò un secondo colpo, alla gamba. Marco gridò e sputò sangue, una seconda volta. Davide continuò il monologo.

<< La conclusione a cui sono giunto è che tutti hanno bisogno di qualcuno o qualcosa da odiare. Un obiettivo in cui incanalare le proprie ambizioni, i propri pensieri. L'uomo ha bisogno dell'odio più di qualsiasi altra cosa. Più dell'amicizia, dell'amore... Tutte stronzate. Non sono altro che riflessi capovolti dell'odio. L'amore, come tale, non esiste. La prova di questo sta nella storia. Un popolo non si è mai compattato senza un nemico comune, un obiettivo comune in cui incanalare disprezzo. L'Italia fa finta di essere unita perchè non ha mai avuto un vero serio nemico. Ci siamo sempre fatti la guerra fra di noi. La guerra... Io l'ho capito. Questa è l'unica vera verità universale. Cartesio magari ti direbbe Odio ergo Sum. Io ti dico semplicemente vaffanculo. >>

Non aspettò nemmeno una risposta o qualsiasi cosa. Il terzo sparo. Dritto in mezzo agli occhi.

Davide prese il giubbotto e lasciò quel posto. Arrivò a casa. Si sentiva benissimo. Era come essersi appena fatto un bagno rivitalizzante. Si stava godendo quella beatitudine. Stranamente si sentiva anche eccitato.

Prese una birra, la scolò. Poi cominciò a masturbarsi. A sangue.

1 commento:

  1. Decisamente: questa diventerà un'altra delle mie storie preferite! *_*
    E' tutto un fuoco ardente in cui bruciano odio, paura, vendetta. Sangue. L'odore ferroso del rancore che diviene un discorso forgiato con parole assordanti come spari. Se mi dai il permesso, vorrei scrivere delle parti sul mio diario. E' stato così bello ed angosciante che ho ancora i brividi!

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