domenica 29 aprile 2012

Una Ragione per Morire - 01

Una Ragione per Morire

Colonna Sonora: The Way of the Warrior – Hammerfall (2000)



Ci abituammo alle grida di Kiku. Ormai gridava ininterrottamente da più d'un ora. Nonostante i medicamenti, il sakè e tutto il resto la sua sopportazione al dolore era pari a quella di un neonato. Aveva avuto una ferita grossa alla spalla. Colpo d'alabarda da manuale, la lama ricurva d'acciaio gli bucò l'armatura come fosse burro conficcandosi nell'articolazione che sta tra omero e clavicola. Come se non bastasse la lama aveva anche conficcato quel che rimaneva dell'armatura nella ferita, infettandogliela. L'assalto l'avevamo vinto noi, ma per Kiku era come se avessimo perso. Subito dopo la mischia lo trasportammo dal cerusico di campo, un vecchietto stempiato alto come mio figlio (o almeno come quando lo vidi l'ultima volta). Era un tizio di poche parole, si mise subito all'opera facendogli bere una fiasca di sakè per rincretinirlo. Servì a poco... Non servì a niente. Era il primo ferito grave della nostra campagna in Corea. Stava andando assai bene. Eravamo discesi dalla nave solo l'altro ieri e avevamo già sbaragliato il loro esercito tre volte. Ormai eravamo stanchi.

C'era da dire però che eravamo molto meno di loro e stavamo vincendo a causa della nostra bravura e a causa degli archibugi. Quei meravigliosi pezzi di legno che sputavano fuoco come draghi urlanti. Non ringrazieremmo mai abbastanza i missionari Portoghesi per averceli protati. Evviva il Dio cristiano! Un Dio capace di creare questi bei giocattoli! Bastavano due o tre file di uomini con quei giocattoli per fare una carneficina. I loro arcieri non potevano nulla. Un tempo li usavamo anche noi gli arcieri. I samurai della guerra Taira erano arcieri coi controcoglioni. Erano capaci di lanciare tre frecce ogni venti secondi con precisione chirurgica. Qualcuno è rimasto, ma pochi. Gli archibugi hanno una gittata migliore, fanno più male e gli avversari non sanno nemmeno che cazzo siano. Per loro siamo solo diavoli stranieri venuti dal Meifumado. Personalmente non conosco il cinese/coreano ma mi accorsi del loro stupore mentre facevo volteggiare la mia spada come un ubriaco.

Normalmente non si farebbe una cosa del genere su un campo di battaglia, ma ormai avevamo praticamente vinto e mi andava di spaventarli. La voce si sarebbe sparsa e alla prossima battaglia si sarebbero cagati in mano dalla paura.

Ora mi ritrovo ad affilare la mia katana. Molti dei miei compagni danno nomi alle loro armi, io la trovo una cosa da idioti. Certo, la spada del samurai è la sua anima. Altro feticcio, altra cazzata. Sono solo grossi coltelli per affettare gente. Si può dire qualunque cosa sui guerrieri. Che sono filosofi, che sono maestri, che sono poeti... Ho sentito ogni genere di diceria sul principe Yoshitsune o sul suo servo (il mitico!) Benkei Musashibo. Che fossero grandiosi uomini di cultura e altro. Fatto stà che erano guerrieri, erano infanticidi, erano assassini e chissà cos'altro. Ecco perchè la mia spada non ha un nome. L'unico riguardo che le devo è tenerla in buono stato. Non per farla vedere ma, come potete immaginare, non sarebbe una bella cosa se mi si frantumasse nelle mani in battaglia. Così dopo ogni scontro smonto la lama, l'affilo, la pulisco e la lucido. I maestri dicevano che pulendo la spada si pulisse l'anima. Allora perchè mi sento come prima?

Il nostro campo puzzava di fango. Aveva appena piovuto e aveva fatto un bel casino. Molti feriti che stavano all'aperto si sono ritrovati fradici, qualche amico di costituzione docile è morto per le ferite che si sono infettate col fango e io mi ritrovo ad imprecare perchè mi si sono appiccicati i capelli sulla fronte. E' una cosa che non tollero! Senza contare che sentirsi i panni fradici sotto l'armatura è la cosa più sgradevole, ferite e malattie a parte, che mi è mai capitata. Hai l'impressione di stare in acqua perennemente. Ormai ho messo in conto il raffreddore. E' sempre così.

<< Ehi Itto, il pranzo! >>

Mi chiamò qualcuno. Neanche lo guardai.

Finii la manutenzione del fottuto pezzo di ferro, lo rinfoderai e mi diressi al tendone della mensa. Il pranzo, così come lo chiamava il tizio, era una coppetta di riso in bianco scotto. Sapeva di nulla o forse io avevo la bocca troppo piena di fango per poter capire qualcosa. Lo finii in poco tempo e presi una coppa di sakè. Solo una, non valeva la pena di ubriacarsi, probabilmente sarei morto poco dopo e la morte va affrontata da uomo. Lucido. Il mio maestro mi disse: la morte sorride a tutti, uno non può fare altro che sorriderle di rimando. Il mio maestro sorrise quando lo impiccarono per aver fornicato con la moglie del Daimyo. Non ho mai saputo se era veramente contendo o era una smorfia post-mortem.

Mi diressi alla mia tenda e mi appisolai. Il sonno era prezioso.

[…]

1 commento:

  1. Bella, bella, bella anche questa. In effetti, non sono presenti scene d'azione, eppure l'ho trovata parecchio cruenta per quanto riguarda i pensieri sanguinolenti del samurai. Personalmente, apprezzo maggiormente il punto di vista introspettivo piuttosto che l'azione, ragion per cui lo considero un racconto del quale ricordarsi.
    Piccoli accorgimenti:
    1. Ricontrolla i segni di punteggiatura;
    2. Alcune terminologie vengono ripetute più di una volta in frasi adiacenti. Potresti trovare dei sinonimi.
    3. Trovo alcune espressioni leggermente puerili, e poco adatte al registro scelto. Rendere anch'esse formali, darebbe un'impressione diversa :)

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