giovedì 29 marzo 2012

Andare Avanti

Andare Avanti

Colonna Sonora: The Spirit Carries On – Dream Theater (1999)



Torino, 25 Aprile 1911



... spezzando la penna.” Dissi.

Parlavo mentre scrivevo. Per convincermi, perchè sono amareggiato. Perchè ne ho bisogno.

La lettera ora è conclusa, la chiudo, la sigillo e mentre la guardo mi viene da ridere. Ovviamente è una risata priva d'allegria, isterica forse. E io di isteria ne so qualcosa. Ne so anche troppo. Quanti mesi sono passati da quando ho fatto internare Ida? Mesi? Anni? Non ricordo più nulla. Ricordo solo che una volta, esasperata, ha cercato di colpirmi con una bottiglia rotta. Ancora oggi non ne capisco il motivo. Ne lo ricerco, a cosa servirebbe?

A nulla. La risposta per molte domande.

La penna. E' ancora nella mia mano. E' interessante, non l'ho mai lasciata andare durante tutto questo tempo. Da quando avevo quindici anni... Ora quanti ne ho? Non ricordo nemmeno questo. Beh, in ogni caso finirà tutto. Oggi. Fra poco. E questa volta nessuno mi intralcerà o, giuro sui miei figli, che lo ammazzo.

Rido di nuovo pensando all'eventualità che gli stessi editori vogliano fermarmi. Avrei la scusa per ammazzarli. Quelle sanguisughe. Quelle serpi. Mi hanno rovinato, è una vita che speculano sulla mia pelle e io non ho mai saputo far nulla. Sono ancora ingenuo come un ragazzino.

Dannazione!

Mi scoprii digrignare i denti. Reazione normale. Mi alzo dalla sedia e butto la penna per terra. L'inchiostro macchia il pavimento. Chi lo pulirà? Poi mi dirigo nel bagno. Non mi sono ancora rasato. Comincio il rituale e in dieci minuti ho finito. Guardo il rasoio. Lo pulisco. Lo asciugo, lo metto in tasca.

Probabilmente oggi è l'unica giornata in anni e anni che non scrivo. Provo una strana sensazione. Ho l'impressione di sentirmi male ma so benissimo che non è così. Suvvìa... Mi hanno spremuto come un limone ogni giorno. Questa vacanza mi sembra irreale.

Mi vesto. In modo elegante, più che posso. Con il denaro che mi ritrovo non sono riuscito trovare roba migliore di quella che ho addosso. Mi dirigo in soggiorno e guardo la libreria. Uno scaffale o due è solo roba che ho scritto io. E' imponente. Anche a me stesso.

Tutto ciò che rimarrà...

Mi viene da piangere, ma cerco di trattenere le lacrime. Non voglio mostrarmi debole davanti a loro. Non lo meritano. Alla fin fine è tutto ciò che lascio. Quelle centinaia di lire destinate ai miei figli non contano nulla.

Prendo il cappotto ed esco di casa. E' mattina presto. Non incontro nessuno nel tragitto, tanto meglio. Non avrei salutato nessuno. Mi dirigo dove voglio andare con andatura spedita, non riesco ad attendere oltre. E' diventato un bisogno quasi morboso. Ho calcolato tutto nei minimi dettagli da diversi giorni. E ora che ci sono vicino fremo come un bambino che sta per aprire un pacco regalo.

E che regalo...

Bosco della Madonna del Pilone. Un bel posto. Anche per morire.

Da qui si vede un'alba bellissima, basta alzare lo sguardo. Un posto così non l'ho mai visto. Anche se, in fondo, ho viaggiato poco. E sembra davvero un paradosso...

Il posto lo scelgo con cura. E' una radura sotto un burrone. E' il punto dove, quando albeggia, il sole si vede meglio. Getto il cappotto a terra. Getto a terra il soprabito. Come i panni sporchi e luridi che sono. Mi sbottono la camicia. L'aria mi carezza la pancia come una donna.

Prendo il rasoio dalla tasca. Lo guardo. Poi strappo una striscia dalla camicia, dalla parte che sta di tergo e comincio a fasciare l'impugnatura. Non ha un motivo particolare: è solo che nell'illustrazione che ho visto la lama del guerriero era fasciata. Termino con un nodo. Ricordo ancora come si fanno. Come sulla mia vecchia nave...

Mi inginocchio. Come si chiamava questa posizione? Dannazione, l'ho letto ieri... Nella biblioteca. Ah si, si chiama seiza.

Il seppuku è una cosa che si fa in due, quando un samurai decide di togliersi la vita. Si inginocchia, avvicina tre volte la spada corta, la wakizashi, alla pancia per calmare il suo spirito e affonda, proprio nell'ombelico. Proprio nel punto in cui c'era il cordone ombelicale. La ciclicità della vita.

Una volta che ha affondato il pugnale, la mano sale e squarcia la pancia, in seguito la lama viene portata verso la destra squarciando ancora l'addome. Se il taglio è eseguito correttamente le visceri escono fuori. Infatti è una regola di cortesia suicidarsi a stomaco vuoto, per far sì che le visceri non puzzano. E io sono a digiuno. Anche se penso che nessuno mi guarderà... Non c'è nessun daimyo, nessun porta-spada. Ci sono solo io. Io e le foglie. Come quelle che cito nei miei romanzi.

In seguito il migliore amico del samurai, o semplicemente un uomo adibito a farlo, esegue il kaishaku, ovvero il taglio netto della testa. Con un solo colpo di spada. Ho sentito che le lame nipponiche sono affilatissime. Si deve morire di lusso con quelle. D'istinto l'occhio mi cade sul rasoio.

Ben povera spada. Si dice che la spada del samurai sia la sua anima.

E' dannatamente vero. Ecco lì la mia anima. Piccola (l'ingenuità), poco affilata e anche discretamente sporca nonostante la lavi ogni giorno. E' quello che mi merito.

Noto che il cielo comincia a cambiare colore. E' ora.

Espongo per bene l'addome. Impugno il rasoio, per come posso, a due mani. Lo avvicino la prima volta. L'amarezza.

Lo avvicino la seconda volta. L'odio.

Poi la terza e ultima volta. Il futuro.

Cosa rimarrà di me? Cosa diranno i posteri di un povero vecchio che si è suicidato perchè non ne può più di una vita di stenti? Di una persona che parla di luoghi lontani senza averli visti?

Domande di cui non conoscerò mai la risposta. Ma un pugno di certezze mi rimangono. Qualcuno mi ricorderà. Chiunque leggerà qualcosa di mio, chiunque sarà nelle mie condizioni, chiunque abbia voglia di morire... Penserà a me. Lascio ai posteri la mia opera magna e il mio disprezzo. Perchè ormai non m'è rimasto altro.

Di me rimarrà anche la protesta. Verso una vita ingiusta e verso delle persone che avrei voluto strangolare come fossi un thug.

Per tutto ciò il mio spirito andrà avanti.

Affondo la lama nell'ombelico. Mi scoppia tutto, mi si annebbia la vista, grido. Nessuno mi sente. E' un dolore atroce e lancinante. Come nascere... All'improvviso mi tocca un pensiero stupido. Forse è la morte che si burla di me: perchè non ho mai scritto di samurai e guerrieri nipponici? Altra domanda senza risposta.

La mia convinzione vacilla. Il mio istinto d'autoconservazione vuole fermarmi, ma io sono più forte. Almeno ora, una battaglia la devo vincere. Muovo il rasoio verso l'alto. Sangue ovunque. Poi lo sposto ancora. Altro sangue. Comincio a vederci doppio. Comincio a piangere, voglio vomitare. Vedo delle cose che sembrano serpenti uscire da me. Sputo una bolla di catarro rossastro e puzzolente. Libero il rasoio.

Chi mi taglierà la testa? Chi sarà il mio kaishaku-nin?

Sarò io. In mancanza d'altro ci si deve arrangiare. Ma come farò a tagliarmi la testa con una lama così. Al diavolo...

Mi conficco il rasoio nella carotide e, con l'ultima forza rimastami, cerco di squarciarmi la gola. Mi accascio a terra sputando ancora sangue. Guardo il cielo. Il sole è bellissimo...



[…]



Emilio Salgari aveva lasciato indicazioni per trovare il suo corpo su una lettera. Il suo cadavere venne scoperto dalla lavandaia.


Nota a parte: questa è la mia storia preferita (intendo che è quella riuscita meglio).

1 commento:

  1. Mi dicesti che questa è una delle storie più belle che tu abbia scritto. Beh, ancora per me è presto per giudicare, ma posso dirti per certo che dalla prima all'ultima frase, brividi hanno percorso il mio corpo. Sei riuscito perfettamente a gemellarti con il grande scrittore Salgari (che io, purtroppo, conosco molto poco), dando vita ad una fiction veramente superba. I pensieri, le descrizioni degli ambienti, gli stati d'animo sono descritti in maniera davvero magistrale. Sembrava quasi di vedere in prima persona la scena del suicidio!

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